Incontri ravvicinati al nuovo Museo paleontologico del Michelerio
In termini geologici, la Pianura Padana è un elemento molto giovane del paesaggio europeo. Prima che si formasse, circa 1,5 milioni di anni fa, il suo posto era occupato da un mare che si estendeva dall’Adriatico fino alle pendici delle attuali Alpi piemontesi.
Nella parte occidentale, il bacino era segnato da un’isola che prefigurava quelle che sarebbero diventate le colline di Torino e il Basso Monferrato, mentre a sud la penisola delle Langhe si prolungava tra le acque. La geografia era cambiata nel corso del passaggio tra Miocene e Pliocene, circa 5,4 milioni di anni fa, quando il Mediterraneo tornò a riempirsi dopo un lungo periodo in cui era rimasto semi prosciugato.
Il clima era molto diverso dall’attuale: le temperature più elevate e quindi una minore estensione delle calotte polari portò il livello dei mari ben più in alto di quanto sia oggi. Tutti elementi da tenere in considerazione quando si tenta di immaginare quel remoto paesaggio, che doveva assomigliare al centro Asia dei nostri giorni, o alle zone tropicali dell’Africa. Le terre emerse non erano dissimili da quelle odierne, solo l’aspetto delle Alpi non era ancora stato modificato da milioni di anni di piogge, frane e fenomeni glaciali.
Ma con la linea di costa così a ovest, quelle che oggi conosciamo come valli montane erano allora delle insenature molto incise, quasi dei fiordi. Come tutti i mari tropicali, anche quello padano era particolarmente ricco di vita, più dell’attuale Mediterraneo. Le acque erano l’habitat per una grande varietà di specie e gli esemplari raggiungevano dimensioni notevoli: sono stati rinvenuti i fossili di ostriche che avevano raggiunto i 60 anni, arrivando a pesare ben 6 chili.
Tutti gli astigiani conoscono i resti di mammiferi marini, balene e delfini, che testimoniano l’esistenza di ambienti acquatici in Piemonte, ma altrettanto familiare è la vista dei gusci che oggi affiorano in quantità dai fianchi delle colline. Una caratteristica del nostro territorio ben nota fin dagli albori della paleontologia, quando l’area di Valleandona fu studiata da un pioniere come Lamarck.
La ricchezza di fossili dell’epoca pliocenica ha fatto dell’Astigiano un sito con pochi eguali al mondo, insieme alla Toscana e al South Carolina. Dopo tre milioni di anni, l’epoca pliocenica giunse alla fine. La temperatura globale era diminuita, causando l’ampliamento delle calotte polari e il conseguente abbassamento del livello dei mari.
Ma nel Nord Italia stava succedendo anche qualcos’altro, un fenomeno che avrebbe cambiato per sempre la geografia di quell’angolo di Europa. Le Alpi erano state erose, lentamente ma inesorabilmente, e i fiumi che scendevano dalle montagne trascinarono a valle enormi quantità di sedimenti. Abbastanza da riempire il bacino compreso tra Langa e Monferrato, relativamente poco profondo: i fondali più bassi, circa 300 metri sotto il livello del mare, erano nei dintorni di Isola d’Asti. I sedimenti iniziarono a riversarsi anche nella fossa che si apriva a est di Alessandria, portando la linea costiera sempre più verso oriente.
E mentre il mare andava scomparendo lasciando il posto alla neonata Pianura Padana, i territori che tornavano all’asciutto furono colonizzati da una vegetazione del tutto simile alle everglades della Florida. In questi ambienti, acquitrinosi e salmastri, crebbero alberi simili alle sequoie e proliferarono i mammiferi: ippopotami, antilopi, leoni, elefanti, mastodonti. Era il periodo di transizione tra l’epoca pliocenica e quella pleistocenica, definito Villafranchiano proprio per via dell’abbondanza di reperti rinvenuti nei pressi di Villafranca d’Asti.
Tra i più significativi, una mandibola di scimmia e il parziale scheletro di un rinoceronte, quest’ultimo emerso durante gli sbancamenti effettuati nel 1880 durante la costruzione della ferrovia tra Torino e Genova (vedi Astigiani n. 6). Oggi quei resti sono conservati a Torino, all’ultimo piano di Palazzo Carignano, dove ha sede il Museo di Geologia dell’università, purtroppo chiuso al pubblico.
Un reperto fossile rinvenuto nel 1959 a Vigliano
È invece aperto da poco il nuovo Museo paleontologico di Asti, che offre ai visitatori un percorso attraverso la storia degli ultimi 25 milioni di anni del nostro territorio. Ospitato in un’ala del Michelerio e gestito dall’Ente Parchi Astigiani, raccoglie un patrimonio che va dalla balenottera di Valmontasca di Vigliano, rinvenuta nel 1959 e a oggi il reperto più completo del Pliocenico, passando per esemplari unici studiati solo di recente e identificati come nuove specie.
Molto frequentato dalle scuole, è nelle sale di questo piccolo ma affascinante museo che si può comprendere cosa sia un fossile, come si formi a partire dai resti animali e vegetali, e cosa ci racconti della storia remota dell’Astigiano.