Il ruolo dei banchieri “lombardi”
Asti è stata una piazza finanziaria importante che ha visto agire famiglie di banchieri e prestasoldi con un ruolo centrale in Europa tra Medioevo ed Età moderna. Un’epopea che ha contribuito a rafforzare il peso astese a livello politico-finanziario e che costituisce una della pagine fondanti della storia del credito a livello europeo. Va detto che sulle principali piazze economiche internazionali, gli uomini d’affari astigiani erano spesso indicati come “lombardi” poiché, nel corso del Medioevo, tutta l’Italia nord-occidentale era di fatto individuata come Lombardia. Una connotazione geografica, insita nell’appellativo “lombardi”, destinata a sfumare gradualmente assumendo il significato tecnico di una specifica professionalità in ambito creditizio. A questo proposito va rilevato che dal 1318 esiste nella City, il cuore economico di Londra, una famosa Lombard Street e che altre strade dedicate ai lombardi sono presenti in molte città d’Europa. Peraltro è sufficiente inserire su un motore di ricerca la dicitura lombard garant per leggere una serie di annunci relativi ad attività finanziarie nei paesi dell’ex-URSS, a riprova della consolidata diffusione del riferimento ai “lombardi” nella sfera del credito.
Il notaio Ogerio Alfieri fissa l’avvio dell’attività di prestito internazionale al 1226
È il notaio astigiano Ogerio Alfieri a precisare, nella sua cronaca di fine Duecento, che l’attività di prestito internazionale degli astigiani si sarebbe avviata nel 1226. Un’attività destinata a protrarsi per secoli, come rivelano le testimonianze della presenza di operatori astigiani in area fiamminga in atti di lite di inizio Seicento, relativi alla famiglia Mazzetti. Quali le ragioni di questa peculiare vocazione economica degli astigiani? Si tratta di uomini d’affari particolarmente intraprendenti, la cui attività è favorita dal fatto di provenire da una città dell’interno, lontana dal mare, ma servita fin dall’epoca romana da un buon sistema di vie di comunicazione. Una città, Asti, localizzata in un’area di alta produttività agraria in grado di fornire il surplus necessario per realizzare investimenti di tipo commerciale.
L’imperatore Corrado III concede agli astesi di battere moneta
Alla base il ruolo, esercitato da Asti fin dall’Alto Medioevo, di mediazione tra i porti dell’Italia nord-occidentale, in particolare Genova, e l’area oltremontana, una centralità economica confermata più tardi sia dalla concessione da parte dall’imperatore Corrado III di battere moneta (1141) sia dalla presenza costante degli astigiani alle fiere di Champagne (dalla fine del XII secolo).
Un astigiano diventa tesoriere del conte di Fiandra e finanzia la corte d’Inghilterra
Nei primi decenni del Duecento, come illustra Ogerio Alfieri, avviene il passaggio dal commercio alla gestione del credito, cui si accompagna la capillare diffusione dei lombardi astigiani dalle aree prossime alla Champagne a gran parte dell’Europa centrale, fino all’Inghilterra. Gli sviluppi successivi sono segnati dalla capacità astese-lombarda di costruire una rete estesa di uomini d’affari, in grado di operare ai più diversi livelli, dal credito al consumo, a incarichi finanziari e fiduciari al servizio di pontefici e sovrani.
L’economia a quel tempo cercò una soluzione alla “carestia di moneta”, soprattutto quelle coniate in oro e argento, ricorrendo oltre al concreto spostamento del denaro – praticato anche se decisamente rischioso – a più raffinati strumenti che consentivano il trasferimento di valori attraverso vari titoli di credito, lettere di cambio, scambi di merci. In occasione delle fiere di Champagne, la regione francese divenuta poi famosa per la produzione del vino, le transazioni rimanevano per così dire virtuali fino alla conclusione della fiera stessa, quando i mercanti compensavano i rispettivi crediti.
L’astigiano Simone di Mirabello, il cui padre Giovanni dal 1322 era tesoriere del duca di Brabante, assunse nel 1329 l’incarico di tesoriere del conte di Fiandra – del quale aveva sposato la sorella naturale –, rivestendo un ruolo di primo piano negli assetti politici locali, fino ad assumere la dignità di reggente di Fiandra. Inoltre, i rapporti del “lombardo” Simone con la corte inglese segnarono, nelle fasi iniziali della guerra dei Cent’anni, l’avvio di un’estesa operazione di finanziamento alla corona d’Inghilterra, gestita prevalentemente da prestasoldi astigiani, che costituirono una società ad hoc detta dei Leopardi – dalla figura presente sullo stemma reale inglese –, nei confronti della quale Edoardo III si espose per l’enorme somma di 200 000 fiorini.
Ai vertici della finanza internazionale furono anche gli astigiani Malabaila, banchieri pontifici dagli Anni Quaranta del Trecento, cui fu attribuita la responsabilità di ingenti trasferimenti di denaro e preziosi dall’Europa centro-settentrionale, baltica e insulare, dei servizi postali, della direzione della zecca e degli approvvigionamenti della stessa corte papale avignonese.
L’operativa dei Malabaila era garantita da filiali, che oggi potremmo definire bancarie, nelle principali piazze europee, tra le quali Bruges, Londra, Napoli e Venezia. Un’impresa che si sarebbe esaurita dopo un ventennio, a causa dei bassi aggi sul trasferimento dei fondi (tra il 2 e il 4%), per la perdita, con l’ascesa al soglio pontificio di Innocenzo IV, del monopolio dei servizi finanziari presso la curia e soprattutto in seguito a una congiuntura economica sfavorevole.
Luchino Scarampi operò in Spagna per la Repubblica di Genova
Entro un sistema di relazioni analogo opera, verso la fine del Trecento, un altro finanziere astigiano, Luchino Scarampi, appartenente a una famiglia tradizionalmente attiva tra le fiere transalpine e i porti di Savona e Genova. Banchiere della curia pontificia ad Avignone, fu nello stesso periodo al servizio della repubblica genovese – verso la quale avanzava crediti ingenti – che lo incaricò di missioni diplomatiche ufficiali nel regno di Aragona. Al consolidarsi dei rapporti con l’area iberica si collega il trasferimento a Barcellona, ove svolse anche la funzione di banchiere del sovrano. Chiarita la rilevanza internazionale dei finanzieri astigiani, è opportuno comprendere come la ricerca storica sia riuscita a recuperare – sottraendola a un oblio secolare – la vicenda peculiare degli operatori originari di Asti.
Il merito va ascritto a Renato Bordone (1948-2011), il noto storico di Villafranca d’Asti (Astigiani n° 1 pagina 35) che grazie al rilievo internazionale dei suoi studi ha attirato l’attenzione della storiografia sul caso astigiano. Nonostante la prematura scomparsa, ha saputo costruire un patrimonio di conoscenza che ha restituito a questo territorio la memoria del proprio passato. Tra gli altri, lo ha messo in più occasioni in rilievo Jacques Le Goff che, proprio nel ricordo dedicato a Bordone uscito sul Corriere della Sera del 14 gennaio 2011, ne ha sottolineato la prestigiosa attività, incardinata sul Centro studi sui lombardi, sul credito e sulla banca di Asti – oggi a lui intitolato – che ha sede a Palazzo Mazzola, presso l’Archivio storico del Comune di Asti diretto da Barbara Molina.
L’ombra dell’usura, il rapporto di fiducia e il prestigio politico
Senza dubbio la scelta lungimirante di Bordone di coinvolgere in un sistematico progetto di ricerca alcune delle principali università italiane e straniere ha conferito una peculiare valenza scientifica al tema del credito lombardo: da Torino, a Genova, a Trieste, a Roma, a Bologna, da Treviri, a Lione, a Parigi, a Bruxelles, fino alla Columbia University di New York, a partire dagli anni Ottanta, la metodologia innovativa elaborata da Bordone ha consentito un proficuo accrescimento dell’attenzione al tema. La questione di base, colta da Bordone, è stata quella di comprendere la qualità dell’attività finanziaria dei lombardi la quale, oltre che poco studiata, è stata a lungo oggetto di un generico pregiudizio in quanto ritenuta usuraria.
Si trattava di capire come i finanzieri astigiani – esponenti della classe dirigente di uno tra i principali comuni italiani – potessero conciliare il prestigio politico in patria e sullo scacchiere europeo e, nello stesso tempo, essere identificati con una categoria di operatori “a rischio”, la cui credibilità sarebbe stata cioè intaccata dall’accusa di usura. Le risposte sono state sorprendenti.
In primo luogo, si è chiarito il funzionamento dei banchi: i lombardi non si configuravano come un corpo estraneo alla società dei paesi in cui operavano, ma il loro intervento era sollecitato e autorizzato dalle autorità politiche o religiose. Una conferma deriva dalla richiesta avanzata a inizio Quattrocento dal comune di Bruges ai lombardi affinché assumessero la gestione del mercato creditizio locale poiché, in loro assenza, operatori di Valenciennes e di Tournai avevano imposto tassi di interesse molto onerosi per la popolazione.
Non si tratta di giustificare un’attività oggettivamente basata su tassi elevati, soprattutto se paragonati all’attuale congiuntura finanziaria internazionale, ma di comprendere come il credito “lombardo” costituisse una forma di regolazione di rapporti economici altrimenti destinati a una gestione ancor più onerosa. Il discrimine tra prestito lecito e “illecito” poteva talora risultare labile – come dimostrano le confessioni e le ammissioni di alcuni operatori astigiani in articulo mortis –, tuttavia le grandi fortune accumulate dalle famiglie dei banchieri non sono solo il frutto di un’attività ai limiti della legalità bensì vanno collegate alle concrete condizioni del mercato del credito del loro tempo. E proprio la riconosciuta competenza sul funzionamento dei mercati che li contraddistingueva faceva sì che la loro attività fosse apprezzata sulle principali piazze finanziarie dell’epoca.
Quelle confessioni in articulo mortis sui tassi di interesse
Peraltro le ritorsioni contro i lombardi, in genere fondate su una pretesa illiceità delle loro pratiche creditizie, appaiono legate a questioni di politica internazionale, più che a vere e proprie dinamiche economiche. Esemplare la vicenda che coinvolge gli operatori lombardi in Francia e in Inghilterra negli anni del conflitto tra il libero comune astigiano e i Savoia, a metà del XIII secolo: come rappresaglia contro la detenzione in Asti del conte di Savoia, vengono imprigionati i prestatori astigiani, i cui beni sono sequestrati dalle autorità locali.
Nelle Fiandre, a inizio Trecento, è l’intervento del pontefice Giovanni XXII a ingiungere ai vescovi di cessare ogni persecuzione nei confronti dei finanzieri lombardi – in precedenza scomunicati su richiesta degli ecclesiastici locali –, restituendo ai giudici secolari la competenza su eventuali valutazioni della loro attività, che dunque, per lo stesso pontefice, rientrava tra quelle compatibili con l’etica cristiana. Sullo sfondo il rapporto complesso e controverso tra il credito – con i suoi meccanismi – e la cittadinanza, cioè il diritto di ciascuno a una piena inclusione nel tessuto sociale, che passa anche attraverso il corretto funzionamento delle pratiche economiche.
Un nodo al quale – dobbiamo tenerlo presente – i lombardi, non senza incertezze e oscillazioni, dovettero offrire risposte adeguate se, ancora nel 1473, le comunità dei Paesi Bassi, nel richiamarli dopo un’improvvisa sospensione delle concessioni, sostenevano che «questi mercanti sono necessari per il funzionamento delle attività commerciali».