L’avvocato Giovanni Goria, nel suo La cucina del Piemonte Il mangiare di ieri e di oggi del Piemonte collinare e vignaiolo, pubblicato nel novembre 1990, individua tre ceppi nella tradizione regionale: la cucina povera e rustica, quella dei ceti non abbienti, quindi quella dei ceti medi e infine la cucina nobile e di palazzo, per lo più di ascendenza francese. La prima tipologia è legata alle categorie di lavoro e alle corporazioni e, fra i suoi protagonisti, un ruolo particolare è quello degli ortolani della valle del Tanaro. Già nell’XI secolo il Vivarium, cioè la zona destinata alle colture orticole, appare attestato a sud della Città, lungo le rive del fiume, sui fertili terreni alluvionali. Appezzamenti erano situati anche nelle zone del Cimitero e, per quanto riguarda le aree addirittura “cittadine” è attestato che ancora negli anni Cinquanta c’erano orti in tutta la zona ai lati di corso Matteotti (a quel tempo corso Industria) e nella cintura intorno all’odierna piazza Amendola, che gli Astigiani continuano a chiamare piazza Alba. Gli ortolani avevano anche la “loro” chiesa, quella della Confraternita della Santissima Trinità, situata – e non è un caso – in via Cavour, di cui oggi vediamo la facciata incassata tra i palazzi. (Vedi Astigiani n. 8) Dopo quasi venti anni la categorizzazione proposta da Goria ha ancora senso? Si può ancora parlare di ortolani, carrettieri, muratori, soldati, terragnoli poveri? In molti casi certamente no, ma nei dintorni della città, in particolare dopo il ponte sul fiume in corso Savona e nella zona di Valgera le coltivazioni orticole sono una risorsa ancora attuale. In Valgera opera una florida azienda, quella dei fratelli Longo, ultima generazione di orticoltori astigiani: coltiva sia in serra sia in pieno campo una gran bella varietà di ortaggi e sta sperimentando, in una stagione molto sensibile al km zero, la vendita diretta. E poi c’è la tradizione dei vivai specializzati in piantini da orto: vengono acquistati e poi messi a dimora negli orti casalinghi che punteggiano a migliaia le nostre campagne. Insalate, pomodori, melanzane, meloni, zucchine ecc. La proposta è ampia e molto variegata.
Asti può contare su due prodotti “de.co” (sono le “denominazioni comunali, che individuano risorse tipiche ed esclusive di un territorio): si tratta del sedano dorato e del pomodoro Cerrato, una varietà peculiare ancora ben presente nella nostra zona, caratteristica per le grandi dimensioni che è capace di raggiungere. Il sedano dorato ha un grande vigore vegetativo, le foglie sono ampie ed erette, presentano costolature centrali di colore giallo intenso-dorato, di elevate dimensioni e a sezione quasi piena. La densità elevata che ne caratterizza la coltivazione determina un naturale imbianchimento dei tessuti, conferendo loro ottime caratteristiche organolettiche. Due le selezioni che vengono coltivate, quella ”Giuseppe” e quella ”Rissone”. Chissà se le nostre famiglie ortolane di un tempo consumavano il sedano, crudo e croccante, come piace fare a noi, consumatori moderni sensibili alle virtù delle verdure fresche. Nei ricettari classici compaiono insalatine di crudités bianche invernali (con cuori di sedano, di cardo, di finocchio, lamelle di topinambour, di porro, di scarola) e, in una certa fase del Novecento, erano in voga, come antipasto, certe barchette di coste di sedano farcite di gorgonzola. Il discorso si fa più problematico per quelli che erano un tempo un vero e proprio vanto dei nostri orti: i peperoni della Motta di Costigliole. Nella piana di Motta e di Isola d’Asti, il peperone quadrato è stato per decenni una coltivazione privilegiata. Si è trovata documentazione relativa a un “Concorso a premi per la razionale coltivazione degli orti nel circondario di Asti”, bandito nel 1914 dalla Società Orticola Astigiana in cui viene evidenziata la produzione di peperoni da parte di numerosi agricoltori. Ancora negli anni Sessanta-Settanta, partivano, nel periodo di produzione, numerosi camion verso i mercati di Torino e di Milano. E non è certo il caso di ribadire la presenza massiccia di questo ortaggio nella gastronomia tradizionale astigiana, che lo esalta in tutti i modi, foss’anche una semplice falda cruda, soda e carnosa, consumata con un pizzico di sale e un filo di olio. Sostituite prima dai fiori, le coltivazioni di peperoni sono oggi state scalzate, in nome di una moda invadente, dalle ormai onnipresenti piante di nocciole. Talmente trascurate che pare che del mitico quadrato si sia addirittura smarrito il seme. È rimasta la fiera commerciale alla Motta ma i veri peperoni quadrati d’Asti sono quasi introvabili, a scapito delle varietà di Carmagnola. È solo grazie all’impegno meritorio di alcuni giovani volenterosi che il “quadrato” sta ricominciando a fare la sua comparsa sulle nostre tavole.Tra i pochi è senza dubbio da citare Stefano Scavino (da consultare il suo sito “Dui puvrun”) che, rivolgendosi alla banca dei semi di Grugliasco e partendo dai pochi “piantini” che ne ha ottenuto (non più di una quindicina), ha messo in piedi una piccola produzione che sta cominciando a dare i suoi frutti. Lo stesso discorso vale per un’altra produzione tipica astigiana, ancora meno conosciuta e anch’essa coltivata da Stefano, quella dei carciofi senza spine, dai capolini verde chiaro brillante e dal cuore bianco, tenero e dolce. Una varietà tutta nostra, certamente da salvaguadare.