Breve, spartana, a una sola rampa, ma per noi, bambini degli anni Sessanta, era una cosa assolutamente magica. Appena varcata la soglia dell’Upim (aveva aperto nel suo palazzo in corso Alfieri, dopo i primi decenni in piazza Statuto angolo via Bruno), si spalancava un mondo di luci e sorprese. La più intrigante era all’ingresso addossata al muro di destra: una “giostra” bellissima e gratis. La nostra prima scala mobile. Si saliva e si risaliva emozionati cercando di cavalcare quel rullo continuo di gradini che si formavano e sparivano anche controcorrente, nonostante i rimproveri delle mamme e di qualche commessa. Era pericoloso sporgersi salendo e avevano messo delle “asticelle” segnalatrici di plastica.
Quell’esperienza ci faceva assaggiare il “brivido della grande metropoli”, noi così provinciali e ingenui, capace di riempirci di euforia anche se non avevamo nulla da comprare nell’unico vero grande magazzino di allora ad Asti. Mai avrei pensato che quel mondo così affascinante, quella parte di Asti così ricca di fascino e di risorse, avrebbe perso nel giro di pochi anni gran parte delle sue attrattive. Anche se il mio mondo è sempre stato corso Dante dove ho vissuto per quasi trent’anni prima del mio trasferimento per lavoro in Lombardia, ho trascorso i primissimi anni della mia vita in via Ospedale, ai tempi (metà anni Sessanta), arteria vivace, comoda per il mio babbo medico che molti ricorderanno (Carlo Ferrari è stato per 26 anni primario di Anestesia e Rianimazione dal 1977 al 1993), a pochi passi dalla sua sede di lavoro. Per questo sono rimasto molto affezionato a quell’ala est di corso Alfieri, l’ex contrada Maestra, che andava da piazza Alfieri, passando per piazza Santa Maria Nuova fino a piazza Primo Maggio. Un tratto di strada che allora era tutta un’esplosione di attività e iniziative, motore economico della città, ma che in questi ultimi decenni ha conosciuto un evidente declino.
Il declino evidente del tratto Est di corso Alfieri
Vederla così, francamente fa molto male. Pesa la responsabilità degli uomini che, più o meno scientemente, hanno contribuito, a partire dagli anni Ottanta-Novanta, alla sistematica deriva di un mondo di cui ora restano solo brandelli di memoria. Chi transita oggi in quel tratto di corso Alfieri, dove realtà coraggiose stanno remando controcorrente (un nome su tutti: il ristorante Campanarò, alfiere delle tradizioni culinarie della nostra terra), farebbe fatica a immaginare quali strutture imponenti e cruciali per la storia cittadina, quali commerci e negozi stile grande città, una volta vi avevano sede.
Quel triangolo svanito tra ospedale, Upim e caserma
Ospedale, Caserma e Upim erano i tre pilastri su cui poggiava in gran parte la vita della zona e i cui indiscutibili ritorni economici andavano a riflettersi anche sul resto della città, ma poi tante altre attività contribuivano ad arricchire quel mondo. Fin dall’Ottocento questo era “er Quarté”, nome usato per indicare la zona tra S. Maria Nuova e S. Pietro. Prima ancora l’area era conosciuta come il Quartiere della Mussa, già indicato nel 1810 come proprietà comunale adibita a fabbrica di salnitro e magazzino. Tornando a tempi più recenti, inutile dilungarsi sull’Ospedale di via Botallo, se non per rimarcare, al di là delle grandi qualità umane e professionali dei medici e di tutto il personale che vi operava, l’enorme contributo anche in termini di ricadute economiche (non solo di carattere commerciale, ma anche in termini di personale lavorativo diretto e legato all’indotto) di cui beneficiava tutta la zona. Tutti sapevano che alla fine sarebbe stato chiuso, cosa che è avvenuta nel 2005, ma proprio per questo è sembrato delittuoso a molti che non sia stato pianificato per tempo un suo piano di recupero e riutilizzo. Così, abbandonato, nel cuore della città, diventa ricettacolo per malintenzionati, saccheggiato inesorabilmente e fonte di degrado soprattutto notturno. Raccolte di firme di cittadini e progetti vari hanno cercato di cambiarne il destino, ma finora invano. (Si veda anche Astigiani numero 3, marzo 2013 “Il brutto addormentato nel centro” ) .
La Caserma Colli di Felizzano vide avvicendarsi diversi reggimenti di fanteria e di cavalleria, fino ai fanti del battaglione Guastalla, che la lasciarono definitivamente nel 1991, per ospitare negli ultimi mesi i primi 700 profughi albanesi giunti in Puglia dopo aver attraversato il canale d’Otranto. La caserma con i suoi militari di leva non era solo una scuola di vita per migliaia di reclute, ma una fonte economica importante e garantita per l’intera città. A riguardo ricordo solo, da giovane cronista, le barricate che minacciarono di alzare alcune parti politiche a proposito delle prime voci che si stavano diffondendo circa una possibile chiusura della Caserma. Lo sbarco degli albanesi (Astigiani numero 15, marzo 2016) creò in quei mesi non pochi problemi anche sul fronte dell’ordine pubblico. Poi, sgomberati gli albanesi, un lungo abbandono dell’intera area.
Non ancora completato il recupero della Colli di Felizzano
Va detto che, almeno in questo caso, c’è stato un parziale recupero degli spazi con la sede universitaria di Astiss, in grado di garantire una risposta culturale di spessore, ma è un progetto di recupero che deve essere ancora completato. E nonostante la sistemazione della nuova sede della Guardia di Finanza, della Motorizzazione e di altri uffici, ci sono ancora parti importanti della ex caserma da far rivivere. C’era il progetto di un parcheggio sotterraneo sotto il ribattezzato piazzale Fabrizio De André e si annuncia la nascita di una palestra e di laboratori per l’università. Vedremo.
Torniamo all’Upim, per le generazioni del boom economico a tutti gli effetti i grandi magazzini di Asti, cui ci legava un’idea di progresso, simbolo di quel consumismo che ci pareva potesse continuare in eterno. Scala mobile a parte, l’Upim era un appuntamento per la clientela astigiana e non solo che lo affollava a caccia di occasioni sui due fornitissimi piani ricchi delle ultime novità della moda, dei casalinghi, ma anche della cancelleria per la scuola, dai quaderni agli astucci, dai righelli alle cartelle. In anni successivi si aggiunse un terzo piano e venne aperto, nel sotterraneo, lo spazio del supermercato alimentare Sma. Poi dal 2005 la chiusura, si disse per mancanza di parcheggi, e da allora è rimasta la traccia della grande insegna sulla facciata in paramano del palazzo.
Altre vetrine, ora spente, un tempo accendevano la vita nella zona
Oltre a questi tre punti fermi, ricordo tanti altri negozi della zona. A fine anni Sessanta tra le insegne più importanti c’era la gastronomia che l’alessandrino Ugo Coscia aveva aperto con la moglie: grande qualità e assortimento uniti alla cortesia e ai sempre preziosi consigli culinari della coppia ne facevano una mecca per i buongustai, così come La Milanese e la sua leggendaria panna montata, che divenne nel tempo un appuntamento fisso per studenti e tante famiglie che portavano i loro bimbi in quel “dolce” paradiso, insieme all’altra dolce sosta della pasticceria Cortese. Altro negozio di altissimo livello, aperto negli anni Settanta, era Scaffardi Formaggi, che sfociava già in via Fontana, con un assortimento caseario di primissimo ordine, selezionato dal titolare, che mi pare fosse di origini emiliane e trasferì poi il negozio al mercato coperto. E ricordo anche Angelo Breschi con il negozio in un cortile che vendeva bombole del gas e e oggetti da campeggio che profumava d’avventura. Botteghe che avevano preso il posto di altrettante insegne storiche della zona come i cicli di Alfonso Garelli, il banco lotto di Tina Mainini, la drogheria De Alexandris, la salumeria Maggiora, la fruttivendola Angiolina e la panetteria Manzone.
Ma, al di là di questi esempi e senza citare personaggi e volti popolarissimi che hanno accompagnato quell’epopea, è bello ricordare un momento felice della nostra città, rispetto ad anni più recenti, in cui Asti sembra un po’ ripiegata su se stessa. C’erano più industrie, l’economia girava, permettendo un po’ a tutti un potere d’acquisto se non soddisfacente, dignitoso. Poi, al di là delle crisi più o meno profonde come quella degli ultimi anni, per questa porzione di territorio cittadino è avvenuto qualcosa di anomalo, con la distruzione di un mondo, con i suoi traffici, le sue iniziative, senza preparare, da chi pianificava il futuro, un adeguato ricambio “in loco” nei confronti di quelle strutture che a un certo punto della loro storia hanno dovuto ammainare bandiera bianca.
Aggiungo ancora la chiusura del Politeama, con la sue trasformazioni, e il mai decollato sviluppo commerciale della Galleria Argenta. A tutto questo si è accompagnata la conseguente e logica caduta verticale anche dei prezzi immobiliari nella zona: un tempo, un appartamento in corso Alfieri angolo piazza S. Maria Nuova valeva grosso modo al metro quadro quanto quello di un suo analogo nell’altra ala, quella ovest, di corso Alfieri, all’angolo di via Palazzo di Città: adesso la forbice a vantaggio di quest’ultima è netta. In corso Alfieri ci sono “figli e figliastri”. L’arteria-vetrina deve trovare una sua nuova identità, da piazza Primo Maggio e piazza Torino tornando a essere la via Maestra degli astigiani.