Dalle decine di migliaia di auto che passano ogni giorno sotto il viadotto dell’autostrada in corso Casale pochi lanciano uno sguardo verso un cippo sul lato destro della carreggiata sistemato sotto l’incombente mole dei piloni. Il cippo contiene una piccola lapide, di recente ripulita, che ricorda ai meno distratti una storia tragica. In quel punto il 14 marzo 1945 cadde sotto i colpi di un mitra Prospero Petrini, un mugnaio di 42 anni di Calliano (dove viveva con la moglie Massimina e i figli piccoli Luigi e Franco) che, venendo ad Asti, si trovò nel posto sbagliato al momento sbagliato. Quella lapide non può raccontare che Petrini era partito dal suo mulino alle 10 del mattino e sul suo calesse viaggiava anche l’amico barbiere Giuseppe Saracco. In due venivano in città per affari, si sarebbero ritrovati alle 17,30 per tornare a Calliano.
Alle porte della città, in corso Casale, si imbatterono in un posto di blocco dei militi della Guardia Nazionale Repubblicana che li fermarono per il controllo dei documenti. Aprirono una valigia che Petrini aveva sul calesse, credendo facesse della borsa nera e poi fecero scendere i due e li portarono al comando del posto di blocco, in un’osteria poco distante. Lì trovarono il brigadiere capo plotone Marco Oddone, noto come «Sghèjra», ex aviere scelto motorista, fascista della prima ora, che aveva già partecipato a vari rastrellamenti contro i partigiani. Nulla di anomalo viene rilevato nel controllo e prima di uscire Petrini, certamente teso e intimorito, pare voglia offrire da bere a Oddone e a un altro milite.
Per pagare il vino apre il portafogli, dal quale spuntano numerose banconote (70 mila lire più assegni) che forse sarebbe andato a depositare in banca. Il mugnaio si avvia con l’amico verso il calesse. Pochi attimi e sopraggiungono Oddone e un milite, che intimano «in alto le mani». Saracco obbedisce, mentre Petrini, molto spaventato, tenta di fuggire. Oddone gli spara una raffica di mitra che lo uccide all’istante e poi si impossessa dei soldi, della sua borsa di pelle, di un orologio d’oro e persino del vestito. Subito dopo i due bloccano Saracco, testimone del crimine, e lo malmenano intimandogli il silenzio e minacciandolo di morte. Quaranta giorni dopo la guerra finì e grazie a un altro testimone, Battista Caretto, fu aperta l’indagine su quel crimine che portò all’arresto di «Sghèjra» Oddone.
Il repubblichino fu giudicato dalla Corte Straordinaria di Assise e processato il 5 giugno ’45 anche per altri delitti. Era accusato la sera del 10 marzo di aver ucciso e rapinato a metà di corso Volta il partigiano Simone Cioffi, mentre la sera del 24 aprile (il giorno prima della Liberazione), prima di fuggire con una colonna di mezzi fascisti, aveva partecipato al saccheggio delle Officine Maina, dove si era impossessato di automezzi, biciclette, macchine da scrivere e denaro. Al processo, Oddone si discolpò affermando che a usare il mitra quel giorno contro il mugnaio era stato il tenente Vaccalepre e che lui aveva solo esploso colpi di pistola in aria. Il ritrovamento dei soldi, della borsa di pelle e del vestito di Petrini nascosti in casa sua, però, lo inchiodarono. Oddone fu condannato alla pena di morte mediante fucilazione alla schiena. Con una lettera del 29 ottobre ’45 il Procuratore del Regno comunica alla Corte d’Assise Straordinaria che la sentenza è stata eseguita alle sette del mattino di quel giorno al poligono di tiro di Sessant.