Vive e lavora da molti anni a Roma, Lidia Ravera, scrittrice e attualmente assessore alla cultura nella giunta della Regione Lazio guidata da Nicola Zingaretti, ma le sue origini sono piemontesi.
È nata a Torino come la madre e qui ha condotto i suoi studi, al Liceo Gioberti. Il padre, invece, era originario di Santo Stefano Belbo, con studi dai salesiani a Torino, la guerra e poi la laurea al Politecnico.
Intellettuale attenta alle trasformazioni della società e sensibile ai problemi dell’universo femminile, a partire dagli anni Settanta è stata interprete, con i suoi romanzi, delle trasformazioni giovanili e dei problemi connessi ai legami familiari. Temi che sono una costante dei suoi romanzi (la madre, la sorella, la maternità), elementi che condizionano pesantemente la crescita, la vita personale e sociale degli individui.
Dopo i primi lavori, quelli degli Anni ’70, che riflettono il disagio di una generazione irrequieta e idealista, titoli come Bagna i fiori e aspettami, Due volte vent’anni, Sorelle, Né giovani né vecchi sono riflessioni sul tempo che passa e sulle diverse età della vita.
A chi gli chiede delle sue radici piemontesi, Lidia riponde: «A dire il vero il Piemonte l’ho conosciuto davvero attraverso i romanzi e i racconti di Cesare Pavese, che scovai da bambina nella biblioteca di famiglia e letteralmente divorai. Era l’edizione Einaudi delle sue opere complete, quella con la copertina grigia, che ricordo bene».
Pavese, evidentemente, era nel suo destino, dato il luogo d’origine del padre e di uno zio che dell’autore de La luna e i falò era stato compagno di scuola alle elementari.
Una famiglia numerosa e importante, la sua, che ha lasciato tracce profonde nei suoi lavori di scrittrice, in cui il tema dei rapporti familiari ritorna spesso, con gli stereotipi nei rapporti genitori-figli che spesso tendiamo a riprodurre in quelli di coppia. Una famiglia che è stata molto presente nei suoi anni giovanili, con le vacanze trascorse dai “parenti di campagna”, prima a Santo Stefano, appunto, e poi a Castagnole Lanze, dove lo zio era titolare della farmacia sulla piazza di San Bartolomeo, accanto alla chiesa.
A Castagnole la bambina-ragazza Lidia trascorreva volentieri qualche periodo di vacanza estiva con le cugine che avevano la casa nel paese alto.
In un suo racconto il ritorno in paese con le ceneri della madre
Proprio Castagnole Lanze ritorna in uno dei suoi racconti più toccanti, Il dio zitto (edizioni Nottetempo), in cui l’autrice racconta il viaggio compiuto insieme al padre verso il cimitero del paese, per deporvi le ceneri della madre. Un viaggio in macchina fatto «insieme a mio figlio, a suo padre, a mio padre e alla figlia della mia sorella morta… una minuscola tribù di laici scanzonati e stravaganti…il tipo di persone che non sa interagire con la morte», fino «al cimitero dove l’aria fredda di una giornata azzurra di dicembre faceva scintillare le lapidi. Nessuno aveva pensato a portare dei fiori. Io tenevo per mano mio padre, come se fosse un bambino da ammansire. Lui chiacchierava volubile della prospettiva che inquadrava la tomba di famiglia in un totale che aveva come sfondo le colline. Non tornava al suo paese da quarant’anni. I suoi fratelli, due nomi e quattro date, erano già “dentro”. I loro resti e i resti delle loro mogli attendevano i resti di mia madre.
Mio padre riconosceva i cognomi sulle tombe e me ne indicava le funzioni in vita: quelli erano i macellai, quella è la famiglia del medico condotto, quelli erano panettieri». Oggi Lidia ritorna periodicamente, in Piemonte, come giurata del Premio Bottari-Lattes, che ha sede a Monforte d’Alba, o per altri impegni legati al lavoro di scrittrice, come nel periodo in cui frequentò Novi Ligure seguendo le tracce di Erika e Omar, la cui vicenda agghiacciante ha poi raccontato in Il freddo dentro. Ad Asti è tornata il 24 novembre scorso, per concorrere e ricevere il premio Asti d’appello per il suo ultimo romanzo, Piangi pure, la più recente puntata della sua riflessione sulle età della vita, uno dei temi che ritornano nei suoi lavori, convinta com’è della necessità di rimanere vivi, senza nostalgie, al di là della giovinezza. Che è solo una delle età che ci tocca attraversare. Il libro è diventato anche una pièce teatrale, Nuda proprietà, con protagonista Lella Costa. Una curiosa combinazione lega l’autrice e l’attrice. Entrambe sono state bambine negli stessi anni con estati astigiane trascorse dai parenti: Lidia Ravera a Castagnole Lanze e Lella Costa a Costigliole dalla nonna che aveva una tipografia cartoleria. (Vedi Astigiani 4 del maggio 2013).