sabato 27 Luglio, 2024
HomePassato RemotoLa vita sulle nostre colline
Medioevo

La vita sulle nostre colline

Tutto comincia da un leprotto
Questo è il testo di una relazione che Renato Bordone tenne all’enoteca regionale di Canelli il 13 settembre 2008, in occasione di un incontro sul tema del paesaggio. Si era agli inizi del percorso di avvicinamento all’Unesco per valutare la possibilità di inserire le cattedrali sotterranee di Canelli e i paesaggi viticoli del sud Piemonte nella lista dei siti degni di diventare patrimonio dell’umanità. Un percorso intrapreso ma non ancora ultimato. Questa di Renato Bordone è una testimonianza ricca, intensa e documentata sul legame tra la coltivazione della vite e il territorio. “Astigiani” la pubblica come omaggio all’opera e alla figura del grande medievalista scomparso il 2 gennaio 2011 a Villafranca d’Asti.

Paesaggio viticolo e consumo del vino nel Medioevo astigiano

Renato Bordone, nato a Torino il 21 gennaio 1948, morto prematuramente d’infarto nella sua Villafranca d’Asti il 2 gennaio 2011. È stato tra i più apprezzati storici italiani, ordinario di Storia medievale alla Facoltà di Lettere dell’Università di Torino.

 

Del paesaggio astigiano dei tempi più remoti sappiamo ben poco per la scarsa presenza di rinvenimenti archeologici; soltanto nel territorio dell’attuale Castello d’Annone infatti sono state ritrovate significative attestazioni di insediamenti umani che, a partire dal Neolitico medio, perdurano in maniera ininterrotta fino al medioevo. Pare che tali insediamenti ospitassero in origine – dal 4500 al 3800 a.C. – comunità di agricoltori che coltivavano cereali e leguminose in radure ricavate dalla originaria foresta planiziale, caratterizzata da latifoglie. In questo paesaggio fatto di boschi, campi e pascoli il vigneto irrompe improvvisamente, dopo millenni di occupazione umana, quando gli antichi abitanti dell’Astigiano introducono nella loro dieta il vino, imparando a coltivare la vite la cui comparsa segnerà forse la più profonda e duratura trasformazione ambientale del territorio. Su quando avvenne questa determinante innovazione i pareri sono ancora discordi e i problemi rimangono aperti. È probabile che in precedenza anche in questa area gli abitanti bevessero birra (o cervogia), ricavata dai cereali coltivati, benché a Castello d’Annone fosse presente l’uva selvatica fin dall’avanzata età del Bronzo, impiegata forse come integrazione zuccherina di bevande ricavate dal succo di bacche. Mancano per l’Astigiano ritrovamenti e studi specifici che hanno consentito altrove di proporre un’importazione dall’Etruria di anfore vinarie databili alla fine del VII secolo o agli inizi del VI a.C., quasi parallela alle prime sperimentazioni di vite coltivata in Lombardia secondo la tecnica etrusca dell’alteno, cioè del far salire i tralci con i grappoli sui rami di alberi ad alto fusto, sostenendoli con pali e pertiche.
In età romana – se non prima – la viticoltura, nel clima più asciutto rispetto al passato, si dovette certo diffondere anche sui colli bene esposti dell’Astigiano centrale, come accadeva nella vicina area albese da dove proviene (probabilmente da Cherasco) la stele del I secolo d.C. rappresentante un carro carico di botti vinarie.

Ecco la prima testimonianza della presenza della coltivazione dell’uva nelle terre astigiane. Bassorilievo di un leprotto che mangia un grappolo, presente su una stele della fine del II secolo d.C., ora conservata al museo Lapidario.

 

Dall’epigrafia propriamente astigiana proviene invece la raffigurazione di un leprotto che mangia un grappolo d’uva, presente su una stele della fine del II secolo d.C., ora conservata al museo Lapidario.
Si tratta di poco più che una suggestione sullo sviluppo della viticoltura locale, ma che fa supporre una coltivazione diffusa. Anche, i riferimenti letterari, spesso citati quando si menziona il vino astigiano, in realtà appaiono genericamente attribuiti dagli autori all’intera Cisalpina e possono servire, al più, da inquadramento regionale, senza escludere analogie anche strette con la situazione locale: così fin dal II secolo a.C. Polibio ricorda la produzione vinicola dell’area, poi in età augusteo-tiberiana Strabone accenna alle grandi botti in uso presso i gallo-romani e Plinio il Vecchio, infine, suggerisce di aggiungere resina ai vini troppo aspri di queste regioni.
Il consumo del vino, forse tra il I sec. avanti e il II dopo Cristo, contribuì certo a una profonda trasformazione del paesaggio, destinando alla viticoltura colline in precedenza coperte di vegetazione spontanea, tanto nei dintorni di Asti quanto nell’area a sud del Tanaro, dove sono rimaste tracce epigrafiche e archeologiche dell’insediamento romano a Calamandrana, Canelli, Cossano Il suo perdurare nell’alimentazione dei secoli successivi rese poi duratura la coltivazione che sopravvisse gagliardamente anche alla recessione agraria degli ultimi secoli della romanità perché il vino venne ben presto apprezzato anche dalle popolazioni barbariche che avevano occupato l’intera area.
A prestar fede a Paolo Diacono, infatti, nella prima metà del VII secolo (633) il re dei longobardi Grimoaldo avrebbe fermato l’esercito dei franchi ricorrendo allo stratagemma di fingere di abbandonare l’accampamento dove aveva lasciato abbondanti scorte di ottimo vino di cui i nemici si inebriarono, e nella notte, quando ormai i franchi erano ebbri, tornò con i suoi, menandone così grande strage che in seguito il luogo fu chiamato Refrancore, cioè “Rivo dei Franchi”, dal sangue sparso nel vicino torrente. Proprio ai longobardi – insediati capillarmente nell’Astigiano che fin dalla conquista,- si deve, d’altra parte, la più antica attestazione documentaria di una vigna nel territorio, risalente alla metà delI’VIII secolo: si tratta della vendita di due piccoli appezzamenti de vinia situati a sud del Tanaro nell’area di Vigliano-Montaldo Scarampi, confinanti con altre vigne, il che fa supporre una più ampia zona destinata alla viticoltura.
Nei secoli successivi vi fu qui continuità di coltivazione, dal momento che ancora due secoli dopo, nel 960, negli stessi luoghi comparivano vigneti appartenenti al vescovo di Asti.

Un particolare dell’arazzo “La vendemmia” della fine del XV secolo, custodito al museo di Clunj a Parigi.

 

Dalla complessiva attività economico-fondiaria della Chiesa di Asti si ricava che nel X secolo la vigna era diffusa tanto nelle immediate vicinanze della città, quanto nel territorio circostante (a Settime, a Quarto, a Calliano, a Valfenera, a Variglie, a Portacomaro, a S.Marzanotto e a Vigliano). I vigneti potevano sorgere vicini alle abitazioni contadine, ma anche in mezzo ad altri coltivi o in aree completamente vitate che avevano ormai assunto i significativi toponimi di Vignetus (presso Valfenera) o di Vignalis (nella zona di Calliano). È interessante poi rilevare come nel 986 la Chiesa di Asti avesse ricevuto in donazione, insieme con un vigneto, tre cassinas ciascuna con un torchio, site nel territorio di Scurzolengo: si trattava probabilmente di edifici rustici sorgenti in mezzo alle vigne, antesignani di quelli che sarebbero stati in seguito indicati col nome di ciabòt.

Viticoltore al lavoro in una miniatura del XIII secolo.

Il Vescovo concede nuove vigne ma esige un sostanzioso obolo

L’incremento demografico avviatesi nel corso dell’XI secolo favorì gli investimenti destinati alla messa a coltura di nuove terre: così nel 1029 il vescovo di Asti concedeva nuove terre dove coltivare cereali e impiantare una vigna con l’obbligo di versare alla Chiesa il giorno di Santo Stefano dopo cinque anni un quinto della produzione dei campi e dopo dieci un terzo della produzione del vigneto, eloquente segnale di quanto fosse ambito il prodotto vinicolo, ma al tempo stesso di come fossero lunghi i tempi per andare a regime con la produzione. Nei contratti che la Chiesa di Asti stipulava per la coltivazione delle vigne a conduzione diretta fra XII e XIII secolo le condizioni imposte ai contadini appaiono sempre dettagliate: così a Quarto nel 1227 prevedono la conduzione nel vigneto dei pali (bropas) necessari, la sua recinzione con vimini, il conferimento del letame richiesto dai canonici e infine il trasporto di tutte le uve in Asti, dove avvenivano la pigiatura e la torchiatura. La tutela dei vigneti, il consumo e il commercio del vino furono regolamentati con particolare attenzione dalle autorità pubbliche che provvedevano a stabilire norme, comminando ammende e punizioni a coloro che non le osservavano. Gli statuti del Comune di Asti multavano chiunque – dal principio di agosto fino alla vendemmia – fosse entrato nella vigna di un cittadino di Asti senza il suo permesso, ugualmente era punito il proprietario di un bovino o di un equino sorpreso a brucare le foglie della vite.

Una riproduzione a stampa d’epoca della vite coltivata in alteno, cioè sugli alberi.

 

Era poi proibito andare a caccia di lepri e di caprioli con cani nelle vigne dal principio di marzo fino a tutto il mese di ottobre: chi lo avesse fatto, oltre ai danni, era costretto a pagare una multa per ciascun cane entrato nella vigna. Oltre al risarcimento dei danni eventualmente provocati da persone o da animali, la legge perseguiva naturalmente i furti che potevano avvenire nelle vigne: pene salate erano infatti previste per chi vi asportava viti, sarmenti, “bropas, perticas, cloendas.” Del frutto pendente, infine, ci si poteva servire solo con la stessa moderazione già prevista dall’editto di Rotari: non più di “tres rapas” d’uva a persona, superando la tal quantità infatti si era subito accusati di furto e ogni grappolo sarebbe costato carissimo all’incauto consumatore occasionale.
Tutta la produzione viticola doveva infatti essere destinata alla vinificazione e proprio al vino e alla sua commercializzazione è rivolta una specifica normativa statutaria. Anzitutto si stabiliscono le misure legali per il vino, regolarmente ‘bollate’ dagli ufficiali, comminando multe ai tavernieri che vendono il vino al minuto con misure contraffatte; gli stessi dovranno poi servirlo puro e non annacquato, incorrendo in caso contrario in una forte multa ogni qual volta saranno sorpresi a farlo.

Agli adulti un litro e un quarto di vino al giorno. Due bicchieri anche ai bambini più piccoli

Non si sa molto, invece, sul commercio del vino astigiano al di fuori del territorio, commercio che tuttavia doveva essere già fiorente nel Medioevo, dal momento che i mercanti della città fin dal X secolo avevano ottenuto privilegi commerciali e di transito verso i paesi oltremontani, dove avrebbero in seguito proficuamente sviluppato i loro traffici. Sappiamo comunque che nel 1279 inviavano il loro vino alla fiera di Besançon, dove si consumavano prevalentemente i rossi, e avevano ottenuto l’esenzione dal pedaggio di Susa; la famiglia dei Della Rocca (d’Arazzo), riconosciuti come ‘lombardi’ dall’arcivescovo di Colonia, nel 1308 avevano da lui ottenuto la franchigia di poter introdurre a Bonn 6000 carra, di vino e 750 ad Andernach, esenti da dazio: se i dati sono attendibili su tratterebbe di oltre 30 mila ettolitri di vino, anche se è poco probabile che fosse tutto prodotto nell’Astigiano.

Affresco dedicato ai lavori di potatura del mese di marzo, fa parte della serie pittorica custodita a Palazzo Schifanoia di Ferrara, attribuita a Francesco Delcossa e dipinta tra il 1436 e il 1478.

 

Qualunque fosse il vitigno coltivato nell’Astigiano – problema tuttora aperto -, il consumo di vino pro capite nell’epoca medievale (nell’Astigiano come nel resto dell’Europa) appare elevato rispetto ai nostri criteri; così negli statuti di Castello d’Annone a proposito dell’appalto della gabella del vino, vengono definite le quantità annue previste “prò bucchis bibentibus vinum”, suddivise in fasce d’età: da tali indicazioni si può ricavare che alla metà del Quattrocento per gli adulti sopra i 15 anni era prevista una quantità giornaliera di un litro e un quarto, per i fanciulli da 7 a 15 anni 80 cl, per i bambini da 2 a 7 anni poco più di mezzo litro (60 cl) fino ad arrivare, quasi paradossalmente, agli infanti fino ai 2 anni per i quali si prevedeva la somministrazione di 20 cl giornalieri (quasi due bicchieri)! Sappiamo, d’altra parte, come le qualità antisettiche del vino potessero difendere l’organismo dalla minacce di infezione presenti nell’acqua, spesso non completamente potabile o addirittura inquinata, che i contemporanei attingevano da pozzi scavati a poca profondità, situazione che li obbligava a miscelarla con altre bevande per ragioni igieniche.
Il vino, poi, era anche in grado di integrare diete ipocaloriche, come quelle dei contadini medievali, e veniva dunque consumato da tutti i ceti sociali: dai ricchi signori che volevano sulla mensa solo “pane bianco e vino buono, puro e limpido” (“panem album et vinum bonum purum et nitidum”), come è richiesto a Govone nel 1266, agli umili che nelle festività ne potevano fare anche un uso eccessivo, come accadde in quegli stessi anni a un certo Gandolfo di Chiusano che, celebrando le nozze il giorno di Pasquetta, si ubriacò in modo tale (“multum ebrius…quasi mortuus”) da non essere più in grado di ricordare se avesse o no preso in moglie Agnesina di Portacomaro. Il consumo quotidiano del vino continuò a essere elevato anche dopo il medioevo, nonostante la carestia del SeiSettecento; sappiamo infatti che alla fine del Cinquecento ai sacerdoti che officiavano nelle rurali venivano somministrati annualmente quattro sacchi di frumento e una botte di vino che corrispondono, all’incirca, a un chilogrammo di grano e a poco più di un litro di vino al giorno, valori che rientrano nella norma medievale.

Incisione di scuola francese, attribuita a Bonnart (XVII secolo). Si notino gli attrezzi usati all’epoca per il lavoro dai vignaioli: la gerla, la zappetta, la roncola, uncini e raschietti.

Sulla mensa dei ricchi solo pane bianco e vino limpido

Alla metà del Settecento, invece, la razione di cereali pro capite è dimezzata rispetto al passato, mentre è mediamente calata di poco meno di un terzo quella del vino che in alcuni casi tuttavia – come per il parroco di Albugnano – sale addirittura a 2 litri al giorno; le ragioni del mutamento sono da ricercarsi nel generale peggioramento del regime alimentare, provocato da una vertiginosa crescita demografica a cui non bastavano le risorse disponibili.
Nell’Astigiano, attanagliato dalla fame cronica, si ricorreva dunque al vino per compensare le carenze caloriche della dieta solida.

Contro la fame cronica del Settecento ecco il vino alimento

Le conseguenze sul paesaggio furono un forte incremento della viticoltura, che qui pareggiò l’estensione dei coltivi cerealicoli, e il drastico ridimensionamento del bosco.
In conclusione da oltre duemila anni le colline dell’Astigiano hanno conosciuto la coltivazione della vite che ebbe modo di svilupparsi in particolare durante il Medioevo, ma fu soprattutto in età moderna e contemporanea che la viticoltura – per motivi prima di sopravvivenza, poi di commercializzazione – diventò un tratto caratteristico e ancora inconfondibile del paesaggio di questo nostro territorio.

 

L’AUTORE DELL’ARTICOLO

Latest posts by Renato Bordone (see all)

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

3,917Mi PiaceLike
0FollowerFollow
0IscrittiSubscribe

GLI ULTIMI ARTICOLI CARICATI

IN EVIDENZA
Paolo Conte nello studio a Torino con altri musicisti astigiani durante la registrazione di Torretta Calipso nella primavera del 1980

Paolo Conte: avvocato, cantautore… enigmista

In che consiste il gioco? Chi si cimenta con questi enigmi deve trovare una frase cioè la soluzione partendo da un enunciato (esposto) che...

Patente di Astigianità

Sappiate che Da 35 a 40 risposte esatte Ottimo! Siete Astigiani doc, eccellenti conoscitori delle terra dove vivete. Meritate la patente di Astigianità. Da 24 a...

Ciao Luciano

Astigiani pubblica nella pagine seguenti frasi, pensieri, poesie scelti tra i tanti messaggi che ci sono stati inviati o sono stati scritti nella nostra...

Sonetto al sacrestano dimenticato

Una pagina per sorridere su personaggi, vizi e virtù di un passato appena prossimo ancora vivo nella memoria di molti. Ricordi al profumo della...

Quei 10.000 km sulla Topolino verde oliva

Organizzare un viaggio in auto lungo migliaia di chilometri in paesi sconosciuti, il tutto senza l’ausilio di Internet. Oggi sembra un’impresa impossibile, nei primi...

Sul calendario Ottobre-novembre-dicembre 2018

21 ottobre In una Cattedrale gremita di fedeli, Monsignor Marco Prastaro è nominato vescovo di Asti dall’arcivescovo di Torino, Monsignor Cesare Nosiglia. Concelebrano l’ex vescovo...

CONTRIBUISCI A QUESTO ARTICOLO

INVIA IL TUO CONTRIBUTO

Hai un contributo originale che potrebbe arricchire questo articolo? Invialo ora, saremo lieti di trovargli lo spazio che merita.

TAG CLOUD GLOBALE

TAG CLOUD GLOBALE
INVIA IL TUO CONTRIBUTO

POTREBBERO INTERESSARTI ANCHE