Il Museo del Risorgimento di Asti, ospitato nelle sale al pian terreno di Palazzo Ottolenghi, possiede dal dicembre 2016 un piccolo tesoro frutto di una vicenda molto particolare che vede protagonista un grande Tricolore con lo stemma sabaudo. Questa bandiera racchiude una vicenda che parte dall’Africa e dall’avventura coloniale italiana in Eritrea, per arrivare ad Asti passando per Monastero Bormida. Qui ha vissuto fino al 1978 Remo Laiolo, con l’azienda di famiglia tra i più importanti impresari edili della zona. Gestì anche i buffet della stazione di Genova.
Nato nel 1898 ha avuto una vita intensa: podestà dal 1934 al 1940, dopo il 1943 fu convinto monarchico badogliano. Nel dopoguerra fu eletto in Provincia per rappresentare la Valle Bormida, dove era noto come “Commendator Laiolo”. Ma la nostra storia risale ai primi anni di guerra e, come lui stesso raccontò al figlio Adriano, spiega perché Remo Carlo Laiolo si trovasse in Africa a bordo di una delle “navi bianche”, così chiamate perché dipinte di bianco e con grandi croci rosse sulle fiancate. Il figlio Adriano, che fu ufficiale dei carabinieri e commercialista spiega perché il padre si era ritrovato in Africa a bordo di una delle “navi bianche”, così chiamate perché dipinte di bianco e con grandi croci rosse sulle fiancate. La “Vulcania” e la “Saturnia” furono adibite dal governo italiano al rimpatrio della popolazione civile e dei feriti che erano stati coinvolti nella breve guerra condotta e persa dagli italiani contro gli inglesi in Africa orientale. Allo scoppio del conflitto, nel giugno del 1940, Mussolini confidava, come i suoi gerarchi, che la guerra sarebbe stata vinta in poco tempo dalla Germania contro Inghilterra e Francia. Bisognava essere al tavolo dei vincitori. Per questo non si preoccupò dell’impreparazione delle truppe e neppure dell’isolamento che l’Africa orientale italiana avrebbe patito a causa del blocco inglese del canale di Suez. In quello scacchiere le sorti del conflitto apparvero ben presto segnate, nonostante atti di eroismo come quello della resistenza del Duca d’Aosta all’Amba Alagi. In pochi mesi furono occupate dagli inglesi tutte le principali città, da Mogadiscio in Somalia ad Addis Abeba in Etiopia.
Le “navi bianche” vennero mandate a prendere, in più viaggi, donne, bambini e feriti da riportare in Italia con il tacito accordo degli inglesi che però – come si è detto – non consentirono il passaggio per Suez e costrinsero le navi al periplo dell’Africa. A bordo del “Vulcania” c’era anche Remo Laiolo, imbarcato da poco con il grado di maresciallo della Croce Rossa. Era un posto che gli era toccato per i buoni uffici del conterraneo maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. Laiolo era Podestà del suo paese, Monastero, e si ritrovò così imbarcato a Genova, destinazione Africa. «L’8 aprile 1941, con la presa di Massaua, tutta l’Eritrea era caduta in mano britannica – scrive il figlio Adriano che ha raccolto la memoria del padre – mentre pochi giorni dopo, in un altro scacchiere bellico, il generale Rommel in un contrattacco in Cirenaica permetteva agli italiani e ai tedeschi di ritornare nei territori a suo tempo perduti e che avrebbero poi definitivamente perso nel 1942. Le truppe anglo-scozzesi, che nella decisiva battaglia di Cheren avevano subito forti perdite, entrarono per prime in Massaua, con una certa sete di vendetta. Come consuetudine il comando richiese, quale trofeo bellico, la consegna di tutte le insegne, i vessilli, le bandiere italiane che dal 1885 sventolavano nei cieli della città. Il mancato rispetto dell’ordinanza avrebbe costituito motivo di immediata e sommaria esecuzione». Le uniche presenze italiane consentite, dopo l’occupazione britannica, erano quelle sanitarie. Le due “navi bianche”, la “Vulcania” e la “Saturnia”, un tempo adibite al trasporto di passeggeri, erano state trasformate in navi ospedale. Si occuparono di raccogliere la popolazione civile che aveva deciso di sfollare, curare i feriti e provvedere al loro rimpatrio. Gli inglesi avevano vietato a queste navi il transito attraverso il canale di Suez costringendole così a un lungo percorso marittimo attraverso il Capo di Buona Speranza. Sulla “Vulcania” prestava servizio, come Maresciallo della Croce Rossa, Remo Laiolo di Monastero Bormida che, durante il trasporto di alcuni feriti, si vide consegnare da un ufficiale italiano un Tricolore con l’invito a riportarlo in patria. L’ufficiale gli disse che quel drappo aveva un valore storico. Era la bandiera che aveva guidato i bersaglieri nella conquista di Massaua più di cinquanta anni prima. Remo Laiolo non era un eroe ma. pur conscio del pericolo che stava correndo, nascose il vessillo in una barella sotto il corpo di un soldato ormai moribondo con la speranza che i militari inglesi non lo perquisissero. La barella passò indenne le ispezioni degli scozzesi al molo di imbarco. Quella grande bandiera tornò così in Italia. Poté essere dispiegata e mostrò le sue grandi dimensioni. «Seguirono tempi in cui non era prudente esibire vessilli con lo stemma di Casa Savoia. Pertanto il Tricolore rimase riposto in un cassettone di casa nostra per anni» aggiunge Adriano Laiolo. Sono passati decenni. Veniamo ai giorni nostri. Adriano Laiolo, in occasione dei festeggiamenti per 150 anni dell’Unità d’Italia, volle donare al Lyons Club Nizza Monferrato-Canelli, di cui è socio, quello storico vessillo. Il Lyons Club Nizza Monferrato-Canelli lo ha accolto e ha fatto restaurare la bandiera dal laboratorio “Principessa Valentina” di Asti. Sul drappo ci sono ancora tracce di sangue, forse del ferito sotto la cui barella è stato nascosto. Ora la bandiera, dopo una significativa cerimonia di riconsegna al Corpo dei Bersaglieri in occasione del raduno regionale tenutosi a Canelli nel giugno 2016, è stata definitivamente assegnata al Museo del Risorgimento di Asti, accolta da parte del sindaco di Asti Fabrizio Brignolo e dalla curatrice del museo Sonia Bigando. Quel vecchio drappo tricolore può ora raccontare la sua storia.