Ci sono giochi ancora vivi nella memoria di tanti, finiti inesorabilmente nei cassetti, ma che se riproposti risvelano intatto tutto il loro fascino. Appaiono semplici se paragonati all’interattività dei giochi elettronici di oggi, ma non per questo meno “intelligenti”. Ne ricordiamo due particolarmente adatti per allenare la mente e le dita.
Il primo è il Gioco del quindici. Un solitario composto da un quadretto di varie dimensioni in legno e poi in plastica con quindici tesserine numerate. C’è un solo spazio libero che consente di muovere una tesserina per volta in orizzontale o verticale. Il gioco fu inventato da Samuel Loyd nel 1878. Lo scopo è di riordinare le tesserine per riportarle nella giusta posizione: dal numero 1 in alto a sinistra, fino ad arrivare al 15 in basso. Era considerato un “rompicapo” per eccellenza, ben prima del cubo di Rubik che fu creato da un professore ungherese nel 1974 e per anni è stato il compagno di molti alunni, che in occasione di lezioni un po’ “noiose” senza farsi notare dai professori, non esitavano a tirar fuori dall’astuccio il quadretto e muovendo lentamente le tessere senza far rumore, si immergevano nel “labirinto numerico”. Oggi, il gioco viene proposto ancora in diverse versioni, anche a doppia tavoletta per consentire di giocare in due. Spesso lo si ritrova come sorpresa nelle uova di Pasqua e nelle confezioni di patatine, frequentemente è proposto sotto forma di puzzle.
È anche riprodotto in formato digitale per computer e smartphone.
Il secondo gioco è invece di abilità e pazienza: lo Shanghai, che tutti i bambini pronunciavano “sciangai” senza preoccuparsi della giusta grafia. Di antica origine, naturalmente cinese, ma se ne trovano versioni anche nella tradizione azteca, è un gioco dalle regole semplici che prevede due o più giocatori. Servono 31 bastoncini in legno colorati flessibili della lunghezza di circa 18-20 centimetri. Nelle versioni più recenti i bastoncini sono in plastica dura. I colori equivalgono a un punteggio diverso.
La tecnica dello “sciangai” parte dal lancio. Bisogna impugnare i bastoncini a mo’ di spaghetti, metterli di punta e ruotarli leggermente in modo che lasciandoli formino una “rosa” sul tavolo. Più intricato è l’intreccio dei bastoncini, più il gioco sarà divertente. Si stabiliscono dei turni. Ogni giocatore dovrà tentare di estrarre i bastoncini senza far muovere gli altri. Il primo a mani nude, gli altri servendosi delle bacchettine via via conquistate. Ogni più impercettibile movimento (fonte di discussioni infinite visto che non c’era il replay) costringerà il giocatore a passare la mano. Si è detto che i bastoncini a seconda del colore hanno un punteggio: ad esempio i blu 25 punti, i verdi 10 punti, i rossi 5, ma il più ambito di tutti è quello nero, unico nel mazzo che valeva almeno 50 punti. La partita è finita quando in tavola non ci sono più bastoncini e vince chi ottiene il punteggio maggiore. Le tecniche per estrarre i bastoncini dal mazzo erano diverse, dal “pizzico” al salterello utilizzando uno “sciangai” già liberato.Il gioco prende il nome dalla metropoli cinese, pare abbia avuto anche delle versioni antiche in Francia già nel 1500 con il nome di jonkets. Se andate oggi nella ipertecnologica Cina a cercare gli “Shanghai” non li troverete facilmente. Pochi negozi di souvenir per turisti ne hanno una versione in legno che vendono con il nome di Mikado Spiel che da noi guarda caso è il nome di sottili “matite” ricoperte di cioccolato. Nel Mikado Spiel il bastoncino più ambito è colorato a spirale, ma le regole non cambiano.