giovedì 21 Novembre, 2024
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I giochi di una volta erano le Olimpiadi della fantasia

Abbiamo chiesto ai nostri lettori di inviarci fotografie di loro momenti di gioco. Le pubblichiamo aggiungendo a questo nostro album di famiglia la considerazione che un tempo bambini e ragazzi facevano del gioco un momento collettivo di divertimento, impegnando gambe e braccia. Non servivano apparecchi e piattaforme, batterie alcaline e ricariche. Si giocava in libertà secondo regole ben precise passate di generazione in generazione dai padri ai figli, dai fratelli maggiori ai minori. Oratori, colonie, scuole e cortili erano gli “stadi” di queste olimpiadi della fantasia, dove l’importante era davvero partecipare.  C’erano anche i giochi da tavola, ma sempre collettivi.  Le ultime generazioni continuano a giocare ma sembrano incapaci di farlo senza tablet e cellulari. E soprattutto il loro gioco è spesso solitario. Con queste foto e questi ricordi vorremmo spingere i bambini di oggi e i loro nonni a tornare a giocare con la fantasia.

Regina, reginella

Come ne “L’orologio di Milano”, colui o colei che guida il gioco (che in questo caso è la “regina”) si posiziona di fronte a un muro, dando le spalle ai compagni che, a turno, domandano: “Regina reginella, quanti passi devo fare per venire al tuo castello così grande e così bello?”. La regina decide il numero e il tipo di passi, che possono essere da formica (molto piccoli), da canguro (a piedi uniti), da gambero (lunghi e all’indietro) ecc. Ci si muove mentre la regina è voltata. Perde chi non si ferma quando questa si gira; vince chi riesce ad arrivare al muro per primo.

L’orologio di Milano

Si tratta di una variante dell’altrettanto noto “Un, due, tre, stella!”. I partecipanti sono disposti sulla linea di partenza, mentre chi conduce il gioco è voltato verso un muro e dà loro le spalle. Tocca a lui/lei pronunciare la formula “L’orologio di Milano fa tic-tac”: gli altri iniziano ad avanzare velocemente verso il muro, sapendo che, nel dire “tic-tac”, il capo si girerà di scatto: in quel momento tutti dovranno bloccarsi nella posizione in cui si trovano. Chi viene sorpreso a muoversi o perde l’equilibrio sarà eliminato. Colui che rimane in gara per ultimo o raggiunge il muro per primo diventerà il nuovo capo.

Giocavo con l’orsacchiotto

 

Tocca color 

È anche conosciuto come “Strega tocca colore” o “Strega comanda colore”. Quando il capo, o meglio “la strega”, pronuncia ad alta voce la formula “Tocca color…” seguita da una tinta a sua scelta, gli altri partecipanti iniziano a correre, cercando di individuare e toccare un oggetto o un indumento di quel colore. Chi non riuscirà a trovare nulla del colore richiesto verrà eliminato dal gioco; l’ultimo a restare in gara sarà dunque il vincitore.

Minestrone

È un gioco un po’ particolare, pensato addirittura per essere svolto in classe – ovviamente all’insaputa della maestra o del maestro! Ogni alunno sceglie di assumere il nome di uno specifico ortaggio (carota, sedano, prezzemolo ecc.). Quando l’insegnante è distratto, il capo-gioco nomina uno di essi a bassa voce: allora, in silenzio, i giocatori chiamati in causa si alzano rapidamente uno alla volta per poi tornare a sedersi altrettanto in fretta, così da non farsi scoprire. Se, però, viene pronunciata la parola “minestrone”, tutti devono alzarsi in piedi contemporaneamente senza farsi scoprire dall’insegnante che è girato di spalle alla lavagna.

Fratelli sulle ruote

 

Fulmine 

Uno dei partecipanti, scelto all’inizio del gioco, è incaricato di “prendere” tutti gli altri che, nel frattempo, scappano. Chi viene toccato, ovvero “fulminato”, deve bloccarsi immediatamente e aprire le braccia come per formare una croce; i giocatori ancora in gara, però, possono sempre liberarlo dandogli una pacca sulla spalla. Il gioco termina quando colui che rincorre è riuscito a “fulminare” tutti.

Alto e basso 

I giocatori si trovano tutti sullo stesso piano del terreno. Chi conduce il gioco può urlare “Basso!” o “Alto!”: nel primo caso, gli altri partecipanti potranno stare fermi o cambiare posizione, a patto però di mantenersi a quell’altezza. Nel secondo caso, invece, essi dovranno spostarsi su un piano più elevato, ad esempio un gradino. Al capo spetta il compito di acciuffare coloro che non sono abbastanza veloci nel raggiungere la posizione richiesta. Vincerà, quindi, chi sarà riuscito a non farsi acchiappare.

Fratelli sulle ruote

 

I cinque noccioli

Come suggerisce il nome stesso, per lo svolgimento è necessario procurarsi cinque noccioli, preferibilmente di pesca (o, in alternativa, cinque sassolini). Esistono molte versioni di questo gioco; tutte, però, si basano essenzialmente sulla destrezza del giocatore nel lanciare in aria e poi riprendere questi piccoli oggetti. Si può partire, ad esempio, con il lancio di un solo nocciolo, che andrà afferrato dopo aver raccolto da terra (o da un piano d’appoggio) prima uno solo degli altri noccioli, poi due, e così via, utilizzando sempre la stessa mano. Si continua quindi lanciando due, tre e, infine, addirittura quattro noccioli contemporaneamente – il che rende, ovviamente, molto difficile riuscire a recuperare l’ultimo rimasto a terra. Alla colonia di Bordighera i noccioli di pesca opportunamente levigati sulle pietre potevano essere giocati alla “giapponese” che non prevedeva di dover afferrare quello lanciato in aria, e all’americana che prevedeva invece il lancio fino a quattro noccioli da afferrare al volo.

Le conte 

Le conte rappresentano un metodo di sorteggio e sono, in qualche modo, dei “giochi nei giochi”. Dopo che i partecipanti si sono disposti in cerchio, colui che conduce la conta inizia a recitare una filastrocca indicando, a ogni sillaba, uno dei partecipanti. Il bambino a cui toccherà l’ultima sillaba sarà il capo del gioco, o si vedrà comunque attribuire un ruolo. “Ambarabà ciccì coccò”, “Sotto il ponte di Patacca (o Baracca)”, “Ambimblancia la lincia la lancia” e “Pimpiripette annusa, pimpiripette pam!” sono solo alcune delle filastrocche utilizzate.

A pettinar le bambole

 

Figurine

Una tempo c’erano solo quelle dei calciatori. La raccolta negli album con l’immancabile mercato delle doppie e delle rare era segnata dal rosario di chi sfoglia il mazzetto: “Celo, celo, manca!”. Si giocava a muro lanciando a turno un ugual numero di figu contro una parete verticale: vince e le prende tutte chi si avvicina di più. La versione “ciap” con pietra piatta o con la mano consisteva nel far capovolgere un mazzetto di figure.

Rubabandiera

Molti lo chiamano “Il gioco del fazzoletto” o, semplicemente, “Bandiera”. 

Un giocatore tiene in mano un fazzoletto e resta all’esterno del campo di gioco, di fronte a tutti gli altri che, nel frattempo, si saranno suddivisi in due squadre (di pari numero di componenti) e disposti in due file. A ogni coppia di avversari, che si trovano uno di fronte all’altro, viene quindi assegnato un numero progressivo. Quando il “reggibandiera” chiama una delle coppie (urlando, per esempio, “Tre!”), i partecipanti in questione corrono verso il fazzoletto. Si aggiudica un punto colui che riesce ad afferrarlo per primo e a tornare al suo posto in fila senza essere toccato dall’altro; diversamente, il punto andrà agli avversari. Vincerà la squadra che potrà vantare il punteggio finale più alto.

Il pallone è troppo grande

 

Telefono senza fili

I bambini (almeno quattro) si dispongono seduti sulla stessa fila. Parte il primo che sussurra velocemente all’orecchio del vicino una frase di senso compiuto. Questi la trasmette altrettanto velocemente all’orecchio del vicino e si arriva all’ultimo che deve ripete ad alta voce ciò che ha sentito. Normalmente la frase iniziale viene storpiata o cambiata con sicuro effetto comico.

La settimana

Conosciuto anche come “Campana”, questo gioco prevede che inizialmente venga tracciata per terra (con un gessetto, ad esempio) una serie di caselle, singole e affiancate. L’ultima casella rappresenta la base. Il giocatore lancia un sassolino verso la prima casella: se esso ricade al suo interno (e non sulla linea che la delimita o al di fuori di essa, pena la cessione del turno), il partecipante dovrà saltare su un solo piede nelle caselle singole e su entrambi i piedi in quelle doppie fino a raggiungere la base, per poi voltarsi e ripetere il percorso a ritroso. Quindi lancerà il sassolino nella seconda casella, poi nella terza e via di seguito.

Andavo sul navet e suonavo il piano

 

Nascondino

Ancora molto diffuso e amato, questo gioco prevede che uno dei partecipanti, rivolto verso un muro o un albero (la cosiddetta “tana”), conti almeno fino a 30 tenendo gli occhi chiusi, mentre gli altri si allontanano alla ricerca di luoghi in cui, appunto, nascondersi. Dopo aver finito di contare, il giocatore in questione inizierà a cercare i compagni. Quando pensa di averne individuato uno, lo nomina e dice chiaramente dove pensa che si trovi: se ciò che afferma è vero, colui che è stato visto, per potersi salvare, dovrà correre verso la “tana” e raggiungerla prima dell’altro.

Se tutti i concorrenti sono stati “presi” tranne uno, quest’ultimo può ancora liberare gli altri toccando il muro o l’albero e gridando “Tana libera tutti!”: a questo punto al giocatore che ha contato toccherà ripetere il turno; altrimenti sarà il primo a essere stato scovato a prenderne il posto.

Andavo sul navet e suonavo il piano

 

Il gioco dei mestieri

È un gioco che può essere svolto a coppie o in squadre, ma il fine è sempre lo stesso: riconoscere lo specifico mestiere mimato, di volta in volta, da ciascuno dei concorrenti, per accumulare più punti possibile. In Piemonte si usava iniziare ogni turno di gioco pronunciando una formula in dialetto, che significava pressappoco: “Salve, signore, sono venuto a lavorare!”, alla quale si rispondeva: “Lavori un po’, così vediamo!”.

Corda, tiro alla fune

La corda da salto con due manici poteva essere semplice o doppia. Ameno tre giocatori a rotazione si impegnano a saltarla ritmicamente e a diverse velocità. In versione singola era tipica della ginnastica dei pugili. Il tiro alla fune è una gara di forza tra due squadre che all’estremità della corda devono trascinare gli avversari a superare la linea centrale. Tipico gioco da spiaggia a piedi nudi sulla sabbia.

Fuggo nel far west

 

Le penitenze

Esiste una lunga e fantasiosa lista di penitenze, tipicamente destinate agli eliminati dai giochi. “Dire, fare, baciare, lettera e testamento” è di sicuro la più diffusa: al giocatore che deve sottoporvisi tocca afferrare, a occhi chiusi, un dito della mano di un compagno. Il pollice corrisponde al “dire”, per cui vi sarà l’obbligo di pronunciare una frase; l’indice al “fare”, e così via. Curiosi sono la “lettera” e il “testamento”: con la prima il “perdente” ottiene che gli venga scritta una lettera sulla schiena con le dita, procurandogli il solletico; il secondo consiste invece in una serie di pizzicotti. La penitenza “baciare” era spesso causa dei primi turbamenti tra maschietti e femminucce.

Mosca cieca

Uno dei giocatori, la cosiddetta “mosca cieca”, viene bendato e fatto girare su se stesso, cosicché perda l’orientamento. Quando si sarà fermato, il suo obiettivo diventerà quello di “prendere”, sempre con gli occhi coperti, uno degli altri partecipanti, che nel frattempo avranno cominciato a muoversi silenziosamente vicino a lui o lei. Se ci riesce, il compagno “catturato” diventerà la nuova mosca cieca; se, invece, non è in grado di acciuffare nessuno entro un tempo prestabilito, il giocatore sarà soggetto a una penitenza.

Soluzioni:

1 – Carla Forno, a diciassette mesi, con l’orsetto Ciglio.

2 – Enzo Valpreda, geometra, con la sorella Maria Teresa, in bicicletta e in go kart nei primi Anni ’60. Il go kart, perfettamente funzionante ed allora circolante su strada, era stato realizzato dal fabbro Francesco Fantino e da papà Walter con struttura in ferro e ruote di una Vespa 125; era il regalo di Natale per Enzo. Alimentato con accumulatore per auto Fiat 1400, era dotato di fanalini e freno.

3 – Angela Bortot (a sinistra), impiegata e componente del gruppo folkloristico J’Arliquato di Castiglione, con la cugina Angela Guglielmin, oggi libero professionista a Pordenone, nel 1963 in cortile.

4 – Marinella Gavazza, insegnante, nel cortile di via Ventura nel 1958.

5 – Giuliana Barucco, impiegata, sul Tanaro nel 1958 con Patrizia Vada, insegnante, e nel 1961 con la cugina Antonella Torchio, oggi ristoratrice, sul balcone di casa in via Lessona.

6 – A Revigliasco nel 1964 prima di una partita a bocce. Dietro, da sinistra, Mario Perosino, bancario in pensione, Enrico Guelfo, pensionato, Angela Conti, casalinga, Renata Guelfo, pensionata Inps, Piera Negroni, Castello, Alfredo Guelfo, pasticcere, Luisella Sabbione, casalinga, e Roberto Torchio, operaio.

Dietro, da sinistra, Franco Torchio, imprenditore, Elena Torchio, commerciante, Daniele Guelfo, dipendente Asp, Antonella Torchio, casalinga, Claudio Conti, geometra, e Giuseppe Conti, meccanico.

7 – Stefano Masino, geometra e giornalista, con la mamma Carla Maria Amerio sulle giostre della passeggiata di Nervi nel 1974.

8 – Tre momenti delle gare organizzate dai Bagni Caviglia di Albisola nell’estate 1963. Nella gara per il miglior castello di sabbia, la prima a sinistra è Isabella Bigliuti e il quarto è Giorgio Gallo che compare anche nel tiro alla fune (secondo da sinistra) e nella corsa nei sacchi (secondo da destra).

9 – Paolo Gaiato, dipendente Poste Italiane, primo da sinistra, a Pegli nel 1963 in una partita a bocce.

10 – Ernestino Secco, ferroviere in pensione e componente del gruppo folkloristico J’Arliquato di Castiglione, nel 1953.

11 – Pippo Sacco, giornalista, sul terrazzo di casa negli Anni ’50.

12 – Germana Borgo, insegnante di educazione fisica, nel 1954 gioca a fare la mamma della cugina Marina Varesio, sul terrazzo del palazzo di casa Cielo in piazza I maggio, e gioca a bocce al Duca di Valmanera nel 1970.

13 – Ferrante Marengo, architetto, nel 1958 in posa prima di una partita a calcio al campo del San Giovanni, è il primo in piedi da sinistra. Di fianco a lui si riconoscono Giorgio Gamba e Piero Rissone. Sotto, Pinuccio Guasi, Luciano Mascarino, uno dei fratelli Avere e Saraggi. Nell’altra foto è con la squadra di pallavolo dell’Istituto Giobert che nel 1964 aveva vinto il campionato provinciale studentesco. In piedi da sinistra, Armando Meschia, Dino Costa, Ugo Gamba, il prof. Carlo Mosso, Rey e Giancarlo Tavella. Accosciati, da sinistra, si riconoscono Renato Massetti, Ferrante Marengo e Meo Bosia.

14 – Bianca Terzuolo, segretaria d’azienda in pensione, Adriana Bosticco, insegnante in pensione, Maria Biagioni, insegnante in pensione e Sergio Forlano, medico, a Brusson nel 1958.

15 – Daniele Guelfo, dipendente Asp, a Revigliasco nel 1964.

16 – Massimo Amisano, impiegato, ad Asti nel 1975.

17 – Vincenza Argenta, all’età di tre anni, a San Carlo di Rocca d’Arazzo; oggi lavora a Revigliasco d’Asti

18 – Pubblichiamo anche queste foto storiche di Amelia Platone, pittrice, e della sorella Elena (con le trecce), nel giardino di casa Tedeschini in via al Castello, insieme alla mamma Maria. Le foto sono state scattate nel 1937 da Felice Platone, primo sindaco di Asti dopo la Liberazione.

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

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Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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