Io e Mariangela diventammo amiche durante i provini per formare il cast di Settimo ruba un po’ meno. Mariangela Melato aveva già lavorato per lo Stabile di Bolzano, io con alcuni registi a Torino. Era la stagione teatrale 1964-65. Eravamo due giovani attrici speranzose di emergere. Mariangela era bravissima ed estremamente generosa, fu anche merito suo (improvvisammo un duetto) se entrambe approdammo alla Compagnia allora più dinamica del teatro italiano, quella di Dario Fo e Franca Rame. Ricordo i primi commenti a bassa voce di Dario e Franca, che ascoltammo casualmente dopo il provino. Lui diceva: «La bionda (cioè io) è perfetta per fare la suora, mentre la bruna è meglio come puttana». Mariangela agitò la mano stretta a becco, la bocca spalancata, io stavo per ridere quando Franca con aria riflessiva aggiunse: «No, guarda che anche la bionda può fare benissimo la parte della puttana». Ci guardammo ridendo dietro il sipario e io pensai che non doveva poi essere un lavoro così difficile! Insomma lei fu “prima puttana” e “seconda suora”, io il contrario.
Nel testo si intrecciavano le parti di suora e puttana
Erano parti significative nell’intreccio della commedia scritta con verve e sarcasmo da Dario Fo. Le prove cominciarono a fine agosto a Milano e fu un mese di entusiasmo e risate. Dario comunicava piacere e divertimento, non seguiva il suo stesso copione, lo modificava in scena, improvvisava e ci trascinava in un divertimento rocambolesco e ipnotico: collaboravamo tutti. Allora ho capito che il vero teatro nasce così, nella contaminazione tra testo e palcoscenico; che il testo è solo letteratura, fino al momento della sua rappresentazione, la quale è in divenire continuo e ogni volta è diversa dalle altre.
Franca Rame, forse era anche un po’ gelosa
Io ero giovane, entusiasta e carina, Mariangela bruna, bella e affascinante, Franca (bellissima) era però (e soprattutto) la moglie di Dario e anche piuttosto gelosa. Ogni giorno ammiravo la capacità di Dario nel dividere le sue attenzioni, le sue parole, i suoi sorrisi tra noi due, ma sempre e solo in presenza della moglie. Forse (solo forse) Franca era un po’ gelosa di Mariangela, ma lui era chiaramente innamorato della moglie (come tutta la loro vita ha poi testimoniato) e così Franca e Mariangela diventarono buone amiche. Tra loro c’ero anch’io. Fu un anno di vera e dolce amicizia tra donne e questo non è così frequente nel mondo del teatro.
La vera capacità di un regista o, come si diceva allora, di un capocomico, consiste nel non imporre all’attore il gesto o l’intonazione, ma nel convincerlo spiegando le ragioni e il retroterra psicologico, migliorando così le sue capacità di interprete. Mariangela iniziò con Fo una carriera straordinaria, fino a diventare la migliore attrice italiana. Io fui arricchita umanamente e culturalmente, ma in seguito interruppi la mia passione per sposare Ottavio, un giovane appassionato d’arte e architettura, e dare vita a una famiglia stabile, cosa non facile da coniugare con l’attività teatrale da professionista.
Quando Dario seppe che il mio fidanzato era anche scenografo chiamò suo fratello Fulvio (allora direttore dello Stabile di Torino) perché lo facesse lavorare. Eravamo felici e creativi. Dario Fo come capocomico della compagnia era anche generoso: ci pagava il 30% in più rispetto al compenso previsto dal contratto, quante volte ci ospitò nelle cene del dopo-teatro, quanti dibattiti tra attori, registi e amici videro l’alba!
Il manifesto censurato ad Asti per non turbare mamma e papà
Ricordo naturalmente il debutto all’Odeon di Milano. Il papà di Mariangela, impiegato milanese, arrivò alla prima con la moglie e alcuni amici. Il suo sconcerto fu totale quando lesse sul cartellone, dopo i nomi di Dario Fo e Franca Rame anche quello della figlia: “Mariangela Melato: prima puttana”. Cercò di abbozzare, di spiegare che era una delle parti ecc., ma l’imbarazzo e i mezzi sorrisi rimasero. Migliorava il quadro il fatto che fosse anche “seconda suora”, ma non poteva bastare.
Quando lo spettacolo arrivò al Teatro Alfieri di Asti, per evitare simili imbarazzi soprattutto ai miei, pregai Ottavio di cancellare sui manifesti “Gabriella Forno: seconda puttana”. Ottavio aveva amici in teatro, intervenne con un pennarello censorio e i miei genitori non lessero mai che la loro figlia, sul palcoscenico, faceva quella parte. Mi videro in scena e capirono.
Dario ci spiegava che il teatro (“specchio della vita” – come dice Shakespeare) deve avere una finalità che va oltre il momento, il divertimento e l’applauso finale. Credeva in un teatro “politico”, votato a migliorare il mondo, conosceva e ammirava Bertolt Brecht. Eterno giullare di un medioevo ancora presente, credeva che l’eternità potesse riposare nello scopo ultimo del bene sociale. Era un formidabile oratore, simpatico, cordiale, e motivato dalla profonda fede marxista, interprete del bisogno di uguaglianza e giustizia sociale. Dopo tante battaglie politiche, da “Soccorso Rosso” alla sinistra bertinottiana, ultimamente era approdato al Movimento 5 Stelle, sodale e sostenitore di un altro guitto geniale: Beppe Grillo.
Per nove mesi (tanto durò la tournée della compagnia) giorno dopo giorno Dario riuscì a sorprenderci con novità e improvvisazioni. Noi attori spesso restavamo bloccati dai suoi cambiamenti di testo, poi imparammo ad adattarci. Si rideva sul palco e nei camerini, a volte, anche più del pubblico in platea.
Un giorno (non ricordo in quale città) andò a incontrare il grande mimo francese Marcel Marceau, ma al rientro in albergo ci confessò la sua delusione perché non avevano scambiato che poche e stentate parole. Franca serafica osservò: «Siete due mimi, perché mai ti aspettavi una conversazione?». Finì in risata. Ricordo gli applausi e gli esponenti dei partiti della sinistra che venivano a trovarlo ogni sera dopo lo spettacolo. Un mondo, un modo di essere a teatro che forse è scomparso. Dario credeva e lottava per l’uguaglianza e i diritti.
Dario e Franca avevano già lascato clamorosamente la Rai nel 1962, dopo le censure alla loro Canzonissima.
Ci diceva che nessuno rimane indifferente di fronte ai poteri veri e non elettivi, che si può essere solo compiacenti o ribelli, dissacratori. Lui credeva fermamente nella forza di ribellione della risata.
Mi sono commossa quando gli hanno dato il premio Nobel e ho vissuto quel momento con un certo orgoglio. Dario Fo era un onesto e meraviglioso sognatore, è mancato, ma il guizzo, la parola del giullare che incarna e insieme nasconde la speranza di un mondo più giusto continua a vivere in tante persone. È un sogno che non può finire, anche grazie a un caro e geniale capocomico.