In lavorazione da trent’anni, l’ultima fatica di Bruno Gambarotta esce ora, forse sospinto dall’emozione dopo il crollo del ponte Morandi a Genova.
Il 31 maggio 1939 a Moncalieri crollò il ponte sul Po e morirono nove persone. L’autore immagina un libro in cui far parlare le vittime.
Nei primi anni ’90 inizia a visitare biblioteche, archivi, a sfogliare giornali dell’epoca. Il
lavoro finito alterna pagine di cronaca, documenti di autorità e tecnici che negano la loro colpa, i passi della ricostruzione del ponte.
Poi ci sono le “interviste” ai morti, i cui corpi furono recuperati anche dopo due mesi, e alle persone che erano presenti al crollo. Risvolti drammatici e grotteschi, tipici della
bella penna di Gambarotta.

“Camerata Arduino Giovanni, 14 anni appena compiuti, presente! La mia bicicletta è stata recuperata subito, per il mio corpo c’è voluto un po’ più di tempo. Morto ero morto, niente da dire, però, se mi avessero ripescato subito, avrei avuto il mio bel funerale fascista, con la sfilata, i tabari abbrunati e il grido «Camerata Arduini, presente!»”
Pietro Mollo non è morto, ha sentito cadere il ponte. ”Sono tornato indietro a guardare cosa era successo […]Tolti i pantaloni ci siamo buttati in acqua. Io ho salvato una donna, l’ho sentita gridare…”
In un articolo del 2 giugno 1939 della Stampa sono intervistati i soccorritori delle persone cadute in acqua. Sono carabinieri, militari, ma anche tanti barcaioli che accorrono sul posto per dare aiuto alle persone.
Intervistati raccontano “con la semplicità di chi non dà eccessivo valore al proprio atto, ma ritiene di aver compiuto uno stretto dovere, come, giunti sul posto dove formicolavano tanti disgraziati urlanti di paura e di dolore, riuscirono a salvare quattro uomini e una donna che aveva un bimbo di 17 mesi”.