La passione di Quintino Sella per lo splendore di Asti medievale
«E se a voi piace adottare la mia proposta, quando io compirò l’ultima parte del mio ufficio e porterò il Codice Malabaila in Asti, questa illustre città nel recuperare il più prezioso ricordo della passata sua grandezza, potrà stimare di aver fatta una importante conquista; ma sarà allora una conquista che avrà il carattere delle conquiste scientifiche, le quali non solo non impoveriscono molti onde arricchire pochi, ma arricchiscono la universalità degli studiosi non meno del fortunato conquistatore». A scrivere queste parole lusinghiere per la nostra città, nel marzo 1876, fu Quintino Sella, fondatore e presidente della Regia Accademia dei Lincei, per tre volte ministro delle Finanze. Prima di morire, il 14 marzo 1884, dedicò gli ultimi anni di vita allo studio del Codex Astensis.
L’avvenimento più notevole nel contesto culturale astigiano sul finire del XIX secolo, di interesse generale per la medievistica, era stata la restituzione e la pubblicazione del “Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur” (“volgarmente chiamato dei Malabayla”). Un’iniziativa dello stesso Sella, che ebbe il merito di riportare all’attenzione degli specialisti la ricerca storica sul Comune di Asti, definito da Quintino Sella «tra i Comuni liberi del medioevo i quali nella parte superiore d’Italia volta a ponente, salirono a maggior grandezza di luce più viva». Grandezza della città di Asti riconosciuta anche da un altro accademico del tempo, Giuseppe Ferrari, che la poneva nella sua originalità nello stesso ordine di Genova, Milano e Venezia, ricordando come «divenne sì ardita, che due volte – nel 1070 e nel 1091 – venne incendiata dalla contessa Adelaide, la quale faceva mettere sulla porta della città una iscrizione il cui senso era: “la fiera Asta è adesso passata sotto l’asta”».
Inviato a Vienna (1876)
Come mai un uomo del calibro di Quintino Sella si interessò, venne a conoscenza e si appassionò così tanto allo studio del codice astigiano? Nel 1876 il ministro si trovava in missione a Vienna, e riuscì a lasciare i tavoli della diplomazia il tempo necessario a recuperare dagli archivi austriaci un indice del Codex Astensis. Era stato il direttore dell’Archivio di Stato di Torino, Pietro Vayra, a segnalare la presenza del prezioso documento. Riscoperto a Mantova il 24 dicembre 1842 insieme a 420 pergamene relative alla storia del Monferrato e alla Cronaca di Benvenuto da Sangiorgio, il Codice passò il 16 maggio 1845 al kaiser Francesco Giuseppe, che lo conservò a Vienna. Risalente al secolo XIV, è una raccolta ordinata inizialmente nel 1292 dal podestà di Asti Guglielmo Lambertini.
Esposizioni di Torino (1880) e Roma (1953)
Comprende 331 documenti dei secoli XII e XIII: trattati pubblici, diplomi e lettere imperiali e papali, atti commerciali, di alleanza e di pace che si riferiscono alla giurisdizione del libero Comune di Asti. È composto di 40 fascicoli in pergamena, di 380 fogli in carattere gotico con 991 documenti, di cui il più antico è del 1065, il più recente del 1353. Oltre alle iniziali miniate, esso contiene sei belle miniature e 100 immagini di castelli in principio dei capitoli. Nella carta geografica dei domini astigiani sono individuati 164 luoghi. Alcune miniature del Codex Astensis sono di un Maestro del Codice Malabayla, attivo intorno al 1353 quando Giovanni Visconti, signore di Asti e vescovo di Milano, ordinò che fosse fatta una copia del Libro dei Privilegi di Asti del 1292. Tra le miniature, quelle dell’imperatore Federico II “Barbarossa” che consegna al podestà i privilegi concessi alla città di Asti e dell’arcivescovo milanese, Giovanni Visconti, che conferma tali privilegi. Dopo il suo ritorno in Italia, mentre era detenuto dal Sella che ne stava curando l’edizione a stampa, il Codex Astensis fu esposto per la prima volta al vasto pubblico a Torino nel 1880. Uscirono così (nel 1880), vivente il Sella, i volumi 2º e 3º contenenti il testo e il 4º con indice e appendici. Il 1º volume, contenente l’amplissima introduzione del Sella, fu pubblicato postumo nel 1887. Nel 1953, su richiesta del Ministero della Pubblica Istruzione, il Codex fu inviato a Roma per essere esposto nel contesto della Mostra Storica Nazionale della miniatura.
Il Liber Ogerii Alferii
Secondo il Sella, il Codex Malabayla sarebbe stato la copia di un più antico codice della fine del Duecento (collezionato da Ogerio Alfieri), voluta da Giovanni Visconti per disporre di «una copia dei diritti di questa città». L’ultimo documento è infatti un decreto dello stesso arcivescovo, datato 1353. Del Codice Alfieri del Duecento è sopravvissuto un frammento di una ventina di fogli, fra i quali una mezza carta topografica del territorio dipendente dal Comune di Asti e tre miniature dei luoghi di Manzano, Novello e Cuneo. In proposito, il medievista Renato Bordone osservò che, se il Codice Malabaila fosse stato una copia del Codice Alfieri, i testi, le miniature dei castelli e delle insegne araldiche dovrebbero rimandare alla fine del Duecento, periodo in cui Ogerio Alfieri operava. Riferendosi ai tre castelli citati, Bordone notò che solo quello di Novello appare nelle miniature del Codice Malabayla, e con qualche reinterpretazione del copista. In realtà dalla fine del Duecento alla metà del Trecento molte cose erano cambiate e molti castelli erano passati alle famiglie più importanti della città e della regione. Il territorio di Asti non corrispondeva più a quello illustrato da Ogerio Alfieri, e anche le insegne riprodotte erano cambiate. Osservando le 99 miniature dell’ignoto Maestro del Codice Malabayla, si nota come il biscione, stemma dei Visconti, sventoli solo sul castello di Rocca d’Arazzo e non sugli altri, come potrebbe invece far supporre la signoria di Giovanni Visconti. Rocca passò alle dipendenze dirette dei Visconti e degli Sforza, che la infeudarono ai Cacherano, ma fu ottenuta dal vescovo di Asti, Francesco di Morozzo, soltanto nel 1379, cioè con Gian Galeazzo Visconti. Il copista aveva dovuto ritrarre le insegne di Rocca non al tempo di Giovanni Visconti ma in quello di Gian Galeazzo, cioè verso la fine del ’300. Di qui la diversa datazione del Codice Malabayla proposta da Renato Bordone verso la fine del ’300 e non nel Duecento, come supponeva Quintino Sella.
L’incarico a Vayra (1884)
Alla scomparsa di Sella, il Consiglio Accademico dei Lincei chiese di completare l’illustrazione del codice a Pietro Vayra, che aveva atteso alla stampa dell’’opera. L’amico e antico collaboratore del Sella accettò l’incarico. Tra i paragrafi più interessanti del documento si deve sicuramente annoverare il primo, in cui si tratta dell’importanza di Asti nel medioevo. In esso il Sella riporta la cronaca di Asti di Ogerio Alfieri, cronista della fine del secolo XIII, uno dei più antichi scrittori piemontesi che abbia scritto una cronaca.
Gli astigiani al tempo del Codex
Com’era Asti al tempo del Codex, chi erano i nostri avi e cosa mangiavano e bevevano? «Nell’anno del Signore 1290 – narra Ogerio – la città di Asti per grazia di Dio fu fatta quasi nuova, chiusa da mura buone e nuove, e piena di edifizi, torri, palazzi e case nuove. Parimenti la città di Asti è ornata di saggi e nobili cittadini ricchi e potenti; di bellissime signore cariche e fregiate di ornamenti d’oro e d’argento e di vesti preziose, e le loro collane sono piene di perle e pietre preziose. Parimenti la città di Asti è fornita di frumento e vino buono e di tutte le altre cose necessarie ai bisogni di una città». L’opera del Vayra fu completata in ogni sua parte nel 1887, con la pubblicazione, da parte dell’Accademia dei Lincei, del primo volume del Codice Malabayla. Tuttora conservato nell’Archivio Storico comunale, l’originale del Codice Malabayla fu donato al Comune di Asti l’11 settembre 1884 da parte dei figli e della moglie di Quintino Sella. All’allora sindaco Cosma Badino vennero consegnati anche gli Statuti del Codice Catenato, ultimati tra il 1381 e il 1387. L’edizione del Codice del 1880 è conservata invece presso le biblioteche, gli archivi e presso alcune famiglie astigiane, ed è diventata ormai rarissima. Il Comune di Asti ricambiò la cortesia con più atti. Il 18 agosto 1887, donò alla vedova dello statista biellese una medaglia d’oro commemorativa. Come atto di omaggio alla figura del Sella, già nel 1884, il Consiglio comunale deliberò di intitolare a Quintino Sella la via delle Caserme, già contrada dei Natta, poi del Carmine, che dall’attuale piazza Cagni si immette in piazza Statuto. Nel 1966 a Quintino Sella fu intitolato l’Istituto professionale di stato per il commercio, come ennesima attestazione di riconoscenza. Con seduta del 25 maggio 1889, il Consiglio comunale concesse la cittadinanza onoraria a Pietro Vayra per le numerose opere pubblicate sulla storia di Asti.
Riordino dell’Archivio Storico comunale (1887)
Nel 1887 l’Archivio Storico comunale venne riordinato. Arricchito di preziosi documenti, tra cui la genealogia della famiglia Natta donata dal teologo Antonio Vitalliano Sossi, prevosto della Cattedrale, ricevette in dono dal torinese Carlo Grassi alcuni documenti riguardanti l’intarsiatore astigiano Giuseppe Maria Bonzanigo. Nel 1888 il presidente della commissione di Archeologia e Storia Patria del comune di Asti, Carlo Alfieri di Sostegno, donò al Municipio alcune lettere autografe di Vittorio Alfieri e della contessa d’Albany, fascicoli di studi fatti sulle lingue latina e greca, la corrispondenza che l’abate Tommaso Valperga di Caluso ebbe con i più grandi intellettuali d’Europa. Il dono del marchese Alfieri portò così l’Archivio Storico ad avere un rilievo pari a quello della Biblioteca Laurenziana di Firenze, che raccolse manoscritti del trageda astigiano, e del museo di Montpellier, a cui il pittore François Xavier Fabre legò i libri postillati di pugno di Alfieri. All’inizio del Novecento comparve a stampa la traduzione italiana del Codice Malabayla a cura di Vincenzo Ratti, preside del Liceo Alfieri, pubblicata con il contributo del conte Leonetto Ottolenghi, munifico mecenate astigiano. Già all’indomani della pubblicazione dei Lincei il consigliere comunale Giuseppe Ottolenghi aveva sostenuto la necessità di una traduzione italiana del Codex, poichè «ormai sono in maggior numero le persone che percorsero le scuole tecniche che non quelle classiche. Crediamo che il pubblicare siffatte traduzioni di un codice che è incontestabilmente la più bella raccolta di documenti della nostra storia patria renderebbe un poco più popolare tra noi le notizie dei secoli passati».
Il consigliere comunale Giuseppe Ottolenghi sosteneva la necessità di una traduzione italiana del Codex
Il mondo accademico, sulla scia del Codex Astensis, riscoprì il fascino della storia medievale con la pubblicazione di altri codici, cartari, regesti, documenti di varie città piemontesi, tra cui Alessandria, Alba, Staffarda, Pinerolo. Anche la chiesa astigiana fu coinvolta dal movimento, con la pubblicazione del Libro Verde della Chiesa d’Asti e le Carte dell’Archivio Capitolare di Asti. Il recupero del Codex Astensis ebbe dunque ricadute sia a livello di storiografia locale sia in termini di recupero di una tradizione civica, in cui confluirono ideali risorgimentali, spirito municipalistico e studi eruditi. Il Codex apportò un contributo sostanziale alla determinazione di uno specifico concetto di astigianità, che dall’esaltazione dell’epopea medievale sviluppò un elemento di identità culturale. In un momento critico per la sensibilità municipale, il Codex Astensis testimonia ancora oggi con tutta l’autorevolezza del documento storico la antica potenza di Asti, ribaltando la recente e mal tollerata subordinazione della città ad Alessandria. Per il tramite del Codex, il richiamo al passato da interesse di una ristretta élite si declina a fenomeno popolare: il Medioevo con le sue leggende, le sue cattedrali gotiche e i suoi castelli già da tempo costituiva l’orizzonte letterario privilegiato del romanzo storico; a partire dagli anni Ottanta la storiografia cittadina produce una cospicua serie di monografie di argomento storico di rilievo non solo locale (Maggiora-Vergano, Vassallo, Bosio, Gentile, Vayra, Ratti, Gabiani), puntualmente recensite dal Cittadino, antico periodico cittadino. Il Codice d’Asti torna alla ribalta nel dicembre 1926, allorquando il sindaco di Asti Giuseppe Dellarissa dovette redigere un’istanza per ottenere dal duce che Asti fosse elevata nuovamente al rango di provincia, già detenuto per secoli: Casa Savoia infatti riconobbe Asti quale provincia con Regie lettere patenti del 22 novembre 1620. Per giustificare la richiesta, datata 22 dicembre, l’avvocato Dellarissa cita a riprova il Codex. Sotto il paragrafo “Ragioni storiche” si legge tra l’altro: «Giova ricordare anzitutto che, tra i comuni liberi del Medio Evo, Asti tenne certamente il primo posto. Già colonia Romana e dotata fin da quei tempi di importanti Magistrati, di valorosi condottieri e di abilissimi artefici, aumentò fino a erigersi a Città libera, sicché nel 1095, essa aveva digià i proprii Consoli autonomi sostituiti nel XII secolo dal Podestà e dai Savi. Conseguito nel 1140 dal Re Corrado III il diritto di battere moneta, ne crebbe la sua potenza e la Signoria sulle terre circostanti, tanto che ben poteva assumere nelle sue monete la superba divisa “Aste nitet mundo”. Il suo dominio si estendeva sopra una parte importantissima del Piemonte, ed il suo commercio fioriva negli Stati principali d’Europa. La libera Repubblica di Asti comprendeva, nel 1300, n.313 terre, le quali presentemente compongono 232 Comuni distribuiti in 10 Circondari, con circa 500.000 abitanti, giusta le notizie date dal preziosissimo Codice Malabayla».
Dal caveau della Cassa all’Expo 2015
Nel 1985, il sindaco Giorgio Galvagno dispose il trasferimento del Codex (fino ad allora collocato nell’antico armadio dell’ufficio del Sindaco) presso l’Archivio storico del Comune sito dal 1979 a Palazzo Mazzola. Solo in tempo di guerra, dal 26 novembre 1942 al 31 ottobre 1945, il comune consegnò il Codice alla Cassa di Risparmio di Asti per garantirne la protezione in locali blindati e incombustibili, in previsione di attacchi aerei agli edifici nei quali erano conservati beni culturali. Entro il 2015, Palazzo Mazzola ospiterà il nuovo Archivio storico cittadino e il Museo del Palio. Come accadde durante la seconda guerra mondiale, i documenti più preziosi tra cui il Codex Astensis e il Codice Catenato, saranno custoditi nel caveau della Cassa di Risparmio di Asti per tutto il periodo dei lavori strutturali. A marzo del prossimo anno sarà esposto a Milano, in occasione dell’Expo 2015, e su richiesta di Palazzo Reale. Si tratta di un ritorno: nel 1958, il Codex fu presentato nell’ambito della Mostra d’arte lombarda “Dai Visconti agli Sforza”, organizzata a Milano proprio a Palazzo Reale.
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