È il 2 aprile 1925. Un giovedì. Mussolini sta pronunciando davanti al Senato il suo discorso sulla riforma militare. Un ingegnere scozzese ha appena inventato un prototipo di a televisione. Manca poco al primo arresto del socialista Sandro Pertini con l’accusa di attività contro il regime fascista. A fine anno uscirà un colosso del cinema russo, la “Corazzata Potemkin”. Quel 2 di aprile all’ospedale di Alessandria nasce Giorgio Carnevale. Molti secoli prima in quello stesso giorno nasceva Carlo Magno. È figlio di Maria e di Delfino, commerciate, non solo di uve, anche se il suo nome è già segnalato negli annuari dei vini dell’epoca. Vivono a Fubine, ma presto si trasferiranno a Cerro Tanaro. È una famiglia medio borghese: come si diceva una volta per indicare lo status, “hanno anche il cavallo”. Giorgio ha un’infanzia agiata, non gli manca nulla. Arriva a Cerro Tanaro molto piccolo, prima ancora di iniziare la scuola. Ha anche due sorelle più giovani, Giovanna e Sandra, che oggi ha 78 anni. Lui sarà l’unico dei tre figli Carnevale a studiare. Un destino vinicolo. S’iscrive alla scuola enologica ad Alba. E il diploma arriva subito dopo la guerra, nell’estate del 1945. Quando Giorgio entra in azienda è ancora viva nonna Alessandra, per tutti Sandrina. è una donna carismatica, con grande piglio. Le manca una gamba, ma si è fatta adattare una poltrona con le rotelle per andare avanti e indietro tra la casa e la cantina. Da lì, seduta sulla sua poltrona mobile, comanda tutti. Benché l’azienda fosse nata con gli uomini, era lei la donna forte. C’è chi dice che, fino all’arrivo di Giorgio, l’azienda Carnevale era lei. Per Giorgio nonna Sandrina è una figura importante, forse molto più di quella di don Piazzano, un prete che viveva a Roma e che fu il suo confidente per tutta la vita. Giorgio cresce sotto l’ala di nonna Sandrina.
Non comprò mai una vigna
era un “negusiant”
Sono gli anni in cui comincia a venir fuori il carattere di un uomo determinato e le sue doti di grande comunicatore. Nel 1950, a 25 anni, Giorgio sposa Armida Pellegrini, figlia di commercianti di vini del Bergamasco. Avranno quattro figli: Anna Maria, Edoarda, Alessandro e Gabriella. Nonna Sandrina continua a essere la consigliera e lo sostiene anche quando Giorgio decide di dare una svolta all’azienda e mettere per la prima volta il vino in bottiglia, segnando così il passaggio tra un vecchio e un nuovo modo di fare commercio del vino. Era il 1961. Lo sostiene anche quando decide di metterci la faccia e di scrivere Giorgio Carnevale sulle etichette. Una scelta che oggi può sembrare banale, scontata, ma non lo era affatto all’inizio degli Anni 60. Punta su Grignolino, Barbera, Moscato, poi anche sul Brachetto. La prima bottiglia di Giorgio Carnevale esce di cantina quasi in contemporanea con l’emissione del Gronchi rosa, il francobollo che diventerà uno dei più rari del mondo. Non è l’unico evento straordinario di quel 1961. Il 15 febbraio c’è stata un’eclissi totale di sole, l’11 aprile a New York Bob Dylan tiene il suo primo concerto, il 2 luglio si suicida Hemingway. è anche l’anno in cui John Kennedy presta giuramento come 35° presidente degli Stati Uniti d’America. L’etichetta della prima bottiglia riporta una scritta: VECCHIO BARBERA DELLA ROCCHETTA. Fu un altro cugino della madre a consigliare Giorgio nella realizzazione dell’etichetta. L’ingegner Pietro Molinari, uomo carismatico e saggio. Ma un ruolo importante va alla moglie Armida. Fu lei a decidere di dare un tocco francese all’etichetta. La disegnò ricalcando lo stile di una etichetta di un vigneron della Borgogna. Sono questi gli anni in cui attorno all’azienda Carnevale ruotano i primi rappresentanti di vino francese, da Trimboli ad Adriano Romanò fino ai Bolla, sono tutti amici di Giorgio. E Giorgio si confronta con loro, respira da una parte l’aria internazionale, dall’altracontinua a respirare l’aria contadina. Quella dei cugini Giovanni Carnevale di Pinerolo e di Domenico Carnevale, di Fubine, entrambi mediatori di vino. Li ascolta ed è legato alla famiglia, ma pensa a distinguersi da loro. Giorgio è già proiettato in un altro mondo. Ama discutere e confrontarsi con i colleghi che stima. Dalla sua cantina entrano ed escono personaggi importanti. Giorgio ricambia le visite. Frequenta la gran parte dei più importanti produttori astigiani: il nicese Arturo Bersano, Michele Chiarlo di Calamandrana, Pietro Bava di Cocconato, Vincenzo Ronco di Moncalvo, i canellesi dello spumante Vittorio Gancia, Ottavio Riccadonna, Alberto Contratto. Stima, ricambiato, la capacità di far parlare di Barbera il suo “vicino” di paese Giacomo Bologna. Ha contatti con molti produttori dell’Albese da Gaja ai Ceretto a Bartolo Mascarello, e durante i congressi degli enotecnici mantiene i contatti con Piero Antinori, Gianni Zonin, Giorgio Lungarotti. è grande amico di Francesco Cima, uno dei più capaci mediatori di vini del mercato nazionale. Incontra e discute con Luigi Veronelli sulla scelta di non acquistare direttamente vigne. Giorgio Carnevale si fida della capacità di acquisire uva e vini da conferitori che ha selezionato negli anni. Discute di prezzi e mercati. Ha grandi doti commerciali: persino in Svizzera riesce a vendere la Barbera più cara di tutti gli altri. Soprattutto crede in quello che fa. Oltre al vino, Giorgio coltiva anche altre passioni: in primo luogo la musica, in particolare la lirica. Gira i teatri d’Italia e d’Europa, segue i più grandi cantati dell’epoca. Ha un debole per Maria Callas.
Conserva gelosamente tutti i libretti d’opera autografati. Chi l’ha conosciuto, sa della sua passione per il canto. Cantava ogni volta che poteva con bella voce da “tenore leggero”: romanze, ma anche canzoni napoletane, struggenti e sinuose. Amava e si vantava di parlare francese. Ci sono anche i momenti difficili: Giorgio però può contare sulla sua famiglia, soprattutto su quel cugino Giovanni Lombardo, un direttore della Montedison. che lo aiuterà a superare un periodo di grande fatica. Negli Anni ‘70 e ‘80 l’azienda Carnevale ha una decina di dipendenti e un bel nome. Nei ristoranti che contano il suo Grignolino si impone. Arrivano riconoscimenti in Italia e all’estero: nel 1972 il Moscato d’Asti naturale vince il primo premio del salone enologico di Budapest. Ne seguiranno altri e le Douja d’or soprattutto per il Grignolino e la Barbera. Nonostante amasse la Francia e i francesi, Giorgio Carnevale aveva sposato la filosofia del barolista Bartolo Mascarello ed era contrario all’uso della barrique che stavano diffondendosi dopo i viaggi di molti vignaioli in Borgogna e California. Non solo: non credeva nell’investimento agricolo. Non comprò mai una vigna. Fino all’ultimo, fino a quel 14 maggio del 2011, Giorgio Carnevale restò un “negusiant” nell’animo. Fu questo un motivo di discussioni con il figlio Alessandro, entrato in azienda nel 1986. Un passaggio generazionale non facile, acuito dal rapido evolversi dei mercati. Giorgio Carnevale è scomparso il 14 maggio 2011. Nel settembre scorso è stato ricordato alla “Douja d’or” con un incontro organizzato dall’Onav. Si sono assaggiate anche alcune delle sue storiche bottiglie, compreso un 1961, ancora in grado di stupire. Nell’aria le canzoni di un cd che aveva inciso anni prima. Il tenore del grignolino non smette di cantare.