lunedì 20 Ottobre, 2025
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1911-1975
Novecento

Valdo Fusi, quando l’amore vince sulla politica

Sepolto a Isola con la moglie nella tomba della Riconciliazione
Valdo Fusi, noto avvocato torinese, componente del CLN piemontese riposa nel cimitero di Isola Villa. Il legame di Fusi con l'astigiano si deve alla storia d'amore con Edoqrda Gerbi, nipote dell'ex podestà di Isola che l'avvocato sposa nel 1948, superando il clima d'odio della guerra civile. Edoarda é la figlia del Colonnello Biglio, uno dei giudici del Tribunale militare che nel 1944 ha condannato a morte otto compagni di lotta di Fusi, i martiri del Martinetto. Nel1947 Fusi qccetq di difendere Biglio e durante il processo che si conclude con la sua assoluzione si innamora della bellissima Eda. Eletto 1948 nelle fila della DC, Fusi si stacca presto dalla politica nazionale per il suo carattere diretto e contrario ai compromessi. Affiancherà alla professione forense l'impegno civile per Torino. Interrotto dalle lunghe estati trascorse a Villa nella casa di famiglia circondato da amici astigiani come l'ex sivdaco Erildo Ferro.

Nel ’31 davanti al gerarca si toglie la camicia nera e si schiera con l’Azione Cattolica

 

Il nome di Valdo Fusi ricorda ai più la grande piazza nel centron  di Torino, tra via San Francesco da Paola sede della Camera di Commercio e via Accademia Albertina. Anche Isola d’Asti gli ha dedicato il parco davanti alla chiesa di San Pietro, con affaccio spettacolare sulle colline. Come mai? Pochi sanno che Fusi è sepolto nel cimitero di Isola Villa.

Il legame che ha unito questo personaggio torinese con Isola è stato intenso e racconta una singolare storia d’amore. Valdo Fusi, avvocato penalista torinese, figura di spicco del Cln torinese, poi deputato della Dc e amministratore della Città di Torino, raffinato intellettuale, amico di Luigi Firpo, era molto affezionato al paese astigiano, luogo d’origine della moglie, Edoarda Gerbi. Valdo e “Eda” si erano incontrati e innamorati perdutamente
nel 1947, superando l’ingiuria e le divisioni della guerra.

Tre anni prima, esattamente il 2 aprile 1944, il padre di Edoarda, il tenente colonnello Biglio, sedeva come giudice negli scranni del tribunale militare che pronunciò la condanna per otto antifascisti che sarebbero stati fucilati qualche giorno dopo al Poligono del
Martinetto.

Fusi, arrestato insieme a loro, era stato graziato in extremis insieme a un altro prigioniero, per insufficienza di prove. Cattolico impegnato e antifascista della prima ora, Fusi tornava
ogni estate nella casa di Isola Villa, anche nel periodo in cui stava scrivendo Fiori Rossi al Martinetto, il racconto del processo farsa di cui era stato diretto testimone. «Non era capace di odiare – scriverà di lui l’amico Alessandro Galante Garrone. Anche nei suoi nemici è pronto a spiare il più piccolo barlume di nobiltà e umanità».

Per questo non stupisce che sia stato sepolto nella stessa tomba di famiglia dove riposa anche il colonnello Biglio, divenuto suo suocero, ma che fu tra i giudici che condannarono
i suoi compagni di lotta. Fusi nasce a Pavia il 9 maggio 1911, si trasferisce a Torino con la famiglia quando è già adolescente. Si diploma al Liceo d’Azeglio. Militante dell’Azione Cattolica, diventa segretario della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) di Torino.

Fusi, dopo aver combattuto con i partigiani in Val Formazza e subito un grave incidente d’auto, rientra a Torino nel maggio del ’45 in tempo per assistere alle manifestazioni per la Liberazione

Nel 1931, quando il fascismo prende d’assalto i circoli dell’Azione Cattolica, Fusi frequenta il primo anno di legge. Un giorno – racconta Alessandro Galante Garrone – gli studenti, tutti
con la divisa del Gruppo universitario fascista, vengono schierati nel cortile dell’ateneo di via Po. «Un gerarca dice: “Dovete scegliere, o la milizia universitaria, o l’Azione Cattolica. Chi vuole ancora rimanere nell’Azione Cattolica esca dalle linee”.

Il solo Fusi esce. C’è un silenzio drammatico. E Fusi si spoglia con calma, ogni capo
(la camicia nera e tutto il resto), lo ripiega bene e lo posa ai piedi del gerarca. È a torso nudo, scalzo, sta per sfilarsi anche i calzoni, ma ci ripensa e dice sorridendo al gerarca: “È meglio che li tenga, altrimenti mi denunciate per oltraggio al pudore”. Così era Fusi, un coraggio eccezionale, che dissimulava con l’umorismo, con una battuta di spirito o con una risata a piena gola. E ce ne voleva di coraggio per dire di no, per di più in maniera beffarda, al trionfante fascismo degli Anni Trenta».

Dopo aver prestato servizio militare nel primo Reggimento Granatieri di Sardegna, Fusi inizia l’attività forense, distinguendosi subito per la preparazione e per le doti di brillante oratore. È tenuto d’occhio dalla polizia politica del regime che ne controlla i movimenti. Ma Fusi è prudente, non si espone.

Dopo l’8 settembre viene chiamato a far parte del CLN piemontese. La pronipote Roberta Ferrato, in un testo pubblicato in rete su Valdo Fusi ricorda che l’ingaggio avviene tramite
l’avvocato Guglielminetti che Fusi definisce “Re dei Vichinghi” per il suo «aspetto monumentale, biondo con gli occhi cerulei». Il collega presentatosi in studio senza preavviso e senza troppi giri di parole gli chiede di rappresentare la Democrazia Cristiana nel Comitato Militare Regionale: «Cominci subito. Domani il Comitato militare tiene la prima riunione a Vercelli. Non so dove. Ti ingegnerai. Dopodomani verrai a riferirmi».

Fusi è perplesso, non sa se andare«… l’indomani è a Vercelli – scrive Ferrato. La riunione lo convince sempre più del fatto che siano “tutti matti”: ma preso alla sprovvista non sa tirarsi indietro e viene trascinato, nella logica della lotta armata all’occupazione tedesca e al rinato fascismo repubblichino. Il suo studio in Palazzo Paesana, scelto come “Quartier Generale”,
comincia a essere meta di uno strano e colorito, spesso simpatico, pellegrinaggio: chi chiede aiuto, chi vuole aiutare, chi vuole protestare o solo proporre. All’avvocato il compito di scegliere,  dirigere, organizzare, dare coesione, finanziare, cercare contatti utili alla lotta partigiana”.

Da avvocato aiuta la lotta partigiana entra nel CLN regionale

Valdo Fusi con la divisa di sottonente del Primo Reggimento Granatieri di Sardegna; noto avvocato penalista torinese, Fusi ha ricoperto ruoli politici nella Dc e in enti pubblici torinesi
Valdo Fusi con la divisa di sottonente del Primo Reggimento Granatieri di Sardegna; noto avvocato penalista torinese, Fusi ha ricoperto ruoli politici nella Dc e in enti pubblici torinesi

Scrive Fusi nel suo Fiori Rossi al Martinetto (Mursia, 1968): «Arriva una ragazza decisa a tutto, trasporto di armi, far fuori i tedeschi in piena luce. Vivente testimonianza di Venere sulla terra, di donne abbiamo bisogno sì, purché non provochino ingorghi. Un tipo come Lei neanche sulla copertina di «Bellezza» è mai apparso. Niente da fare. Lei sarà sempre osservata e pedinata. Grazie lo stesso».

E ancora: «Ogni settimana scendeva dalla Valle di Susa il maggiore Egidio Liberti, comandante militare. Un privilegio la sua compagnia, ma i granatieri che si portava appresso, combattenti arditissimi, erano partigiani con la faccia da partigiano vestiti da
partigiani: chiudevo gli occhi e pregavo».

Il 24 febbraio del 1944 il Duce conferisce al capo della Provincia di Torino, Paolo Valerio Zerbino, l’incarico di liquidare il cosiddetto “ribellismo” con l’impiego della forza. Il regime di Salò vuole dimostrare ai tedeschi di saper controllare il territorio. Si legge però in un rapporto della Guardia Nazionale Repubblicana al Duce (7 marzo 1944): «La situazione politica di Torino ha un’inconfondibile caratteristica: decisa opposizione al regime per circa l’85% della popolazione; la rimanente percentuale è pietista, amorfa, indifferente… L’attività ribelle isola il traffico della città verso le Valli di Susa e di Lanzo: si calcola che in Torino esistano ca. tremila partigiani».

In questo quadro la polizia fascista scatena il colpo contro l’organismo che coordinava la guerriglia in Piemonte, il Comitato Militare composto da socialisti, azionisti, comunisti, democristiani e liberali, affiancati da ufficiali effettivi.

A partire dal mese di marzo 1944, infatti, con l’intensificarsi dell’azione antipartigiana da parte di tedeschi e fascisti, il Comitato subisce numerose perdite e arresti tra i suoi membri. Errico Giachino, organizzatore delle squadre cittadine per il partito socialista, è arrestato il 14 marzo, il 27 Quinto Bevilacqua, segretario della federazione del Psi clandestino, insieme a Giulio Biglieri, azionista. Vengono anche catturati due ispettoridel Comitato, i tenenti colonnello Giuseppe Giraudo e Gustavo Leporati e il tenente Massimo Montano.

L’arresto nel Duomo di Torino, il processo farsa e le fucilazioni del Martinetto

 

La cattura del nuovo rappresentante del Psi Pietro Carlando consente alla polizia fascista di acquisire numerose informazioni, attraverso il sequestro di documenti, e di arrestare il 31 marzo nella sacrestia del Duomo in piazza San Giovanni l’intero Comitato: Perotti, Geuna,
Giambone, Fusi, Braccini, Balbis e Brosio, vengono prima condotti in Questura con una quarantina di cittadini rastrellati nelle vie adiacenti, interrogati e a mezzanotte del 1° aprile rinchiusi alle Carceri Nuove.

Il processo del Tribunale speciale viene istruito in gran fretta. Lo stesso Mussolini ordina di chiudere rapidamente e in modo esemplare la vicenda, per dimostrare all’alleato tedesco l’efficienza repressiva della Repubblica Sociale. Il 2 aprile si tiene la prima udienza al Palazzo di Giustizia, nell’aula della Corte d’assise, alla presenza dei massimi vertici fascisti, tra cui il ministro dell’Interno Buffarini Guidi, il prefetto Zerbino e il federale Solaro.

Scrive Fusi: «Alle dieci ci notificano le imputazioni. Quattro. Mi chiedono che cosa significano esattamente. Rispondo che le ultime tre non ci devono preoccupare. – E’ già qualcosa – dice Giambone – ma perché? – Perché la prima contempla già la pena di morte. –
Così li freghiamo – dice Geuna – le ultime tre non le scontiamo”. (da Fiori Rossi al Martinetto, 1968, Mursia)

Nonostante i tentativi di trattativa messi in atto dal Cln, la mattina del 3 aprile, dopo una seconda udienza, il tribunale pronuncia il suo verdetto: condanna a morte per Balbis, Bevilacqua, Biglieri, Braccini, Giachino, Giambone, Montano e Perotti; ergastolo per Carlando, Geuna, Giraudo e Leporati, due anni di carcere a Brosio, assoluzione per insufficienza di prove per Chignoli e Fusi. Verso le sei di mercoledì 5 aprile gli otto condannati sono condotti al poligono del martinetto e fucilati.

La copertina di “Fiori Rossi al Martinetto”, Mursia, MIlano, edizione del 1973.

Fusi ripara in Svizzera poi rientra tra i partigiani della Val Formazza

 

Valdo Fusi definirà il processo «giuridicamente parlando un’ignominia, macabra e grottesca farsa di giustizia». Egli dimostra sconfinata ammirazione per il coraggio umano, l’integrità morale, la coscienza civile che i membri del Comitato seppero in quei frangenti dimostrare.
Questi erano per lui gli eroi, mentre di sé stesso, parlando con Duccio Galimberti, altro eroe destinato a essere ucciso dai fascisti nel dicembre 1944, diceva: «Non sono del tuo metallo. Ho sempre paura. Non vedo l’ora che finisca questa storia. Galimberti, la guerra fa schifo».

La strage del Martinetto non otterrà i risultati attesi dai fascisti. Fu proprio Duccio Galimberti a riallacciare le fila dell’organizzazione partigiana torinese fino alla cattura per una delazione. Riparato in Svizzera dopo la scarcerazione, Fusi viene internato a Loverciano nel Canton Ticino, ma poco tempo dopo riesce a fuggire e rientra in Italia per andare a combattere con i partigiani.

Rimasto gravemente ferito alla spina dorsale nel ribaltamento del camion sul quale viaggiava in Val Formazza, viene soccorso dai medici della divisione “Garibaldi” e successivamente ricoverato prima a Briga poi a Berna, dove rimane vari mesi. Può rientrare a Torino solo nel maggio del 1945, quando la guerra è ormai finita.

Sul quotidiano democristiano Il Popolo Nuovo, Fusi scriverà il 30 settembre 1945: «Vi ho visti sfilare, meravigliosi ragazzi delle Divisioni patriottiche, e avrei voluto abbracciarvi tutti. E baciare le mani delle vostre mamme, le più benedette, le più fortunate mamme d’Italia. Ero appena uscito dall’ospedale, venivo da terra straniera. Da sei mesi non vedevo partigiani in armi. Vi ho guardato con l’emozione e l’orgoglio di chi era stato il vostro fratello nelComando militare piemontese […] Molti di noi, i migliori, dettero la vita per voi. […] Noi vi ringraziamo, meravigliosi ragazzi delle Divisioni nostre, per averci ridata la gioia di vivere”.

L’ardua scelta da avvocato difendere l’esponente fascista che fu tra i suoi giudici

 

Dopo la Liberazione, Fusi collabora alla redazione del Popolo Nuovo, si candida all’Assemblea Costituente, ma non viene eletto. Nel novembre del 1946 diventa,
invece, consigliere comunale di Torino. Nel fermento dell’Italia che esce dalla
Guerra la storia di Valdo Fusi si tinge di rosa.

«Nel ’47 – ricorda Roberta Ferrato nel suo testo – si presentano nel suo ufficio di avvocato due donne: Felicita Gerbi ed Edoarda Biglio, rispettivamente moglie e figlia del tenente colonnello Biglio,  uno dei giudici del tribunale militare del “Martinetto”, nonché figlia e nipote dell’ex podestà di Isola Villa, Aristide Gerbi». Biglio è stato messo sotto accusa ed è costretto  a nascondersi perché nessun avvocato è disposto a difenderlo: «Adesso lei è
dalla parte di quelli che hanno vinto. Vorrei pregarla di non infierire su mio marito», implora la moglie Felicita. Fusi, superando i ragionamenti sulla convenienza politica della sua scelta, decide di assumere come avvocato la difesa del colonnello, che aveva sì partecipato al processo di Torino, ma in camera di consiglio aveva cercato di evitare il più possibile le condanne capitali.

Valdo Fusi con la giovane moglie Edoarda Gerbi originaria di Isola Villa

Scocca l’amore per la giovane figlia di quel cliente scomodo

 

Il processo a carico di Biglio si conclude con l’assoluzione. In quei mesi di udienze
e incontri, scocca l’amore tra Edoarda e Valdo e pochi mesi dopo l’arcivescovo di Torino Maurilio Fossati celebra il loro matrimonio.

Il 18 aprile 1948 Fusi venne eletto deputato nelle file della DC per la circoscrizione Torino-Novara-Vercelli. Diventato consigliere provinciale di Torino nel 1951, lo stesso anno viene
chiamato a dirigere l’ufficio centrale della DC per gli studi, la propaganda e la stampa: è un incarico che segue con inesauribile energia fisica, fantasia, originalità e capacità comunicativa.

Ma la politica, specie a livello nazionale, richiede compromessi. Non riconfermato nel mandato parlamentare nelle elezioni del 1953 e nemmeno in quelle del 1958, Valdo Fusi riprende l’attività professionale e s’impegna a livello locale. Già presidente nel 1955 dell’Ente Provinciale per il Turismo, nel 1960 crea l’Ente manifestazioni torinesi. Nel 1965 diviene presidente dell’Ordine Mauriziano, carica che manterrà sino al 1970, rinunciando a
ogni emolumento.

Nel dicembre del 1965 il fascicolo di orientamento neofascista «Storia della guerra civile in Italia» pubblica un articolo del giornalista Giorgio Pisanò, nel quale si afferma che gli imputati del “Martinetto” Valdo Fusi e Cornelio Brosio – fratello dell’allora segretario dell’Alleanza Atlantica – erano scampati alla condanna a morte per avere spontaneamente
collaborato con la repubblica di Salò.

Fusi denuncia Pisanò: il processo si chiude con la condanna del giornalista alla pena di otto mesi di detenzione per diffamazione. Fusi nella sua deposizione rivendica la fede antifascista senza rinunciare all’ironia che lo contraddistingue: «Siamo una famiglia per bene. Tutti antifascisti, anche mio fratello fu catturato dai tedeschi. Ma che volete, non sono riusciti a fucilarlo. Che peccato, neppure lui».

Lo storico Pier Franco Quaglieni, direttore del Centro Pannunzio, annota che Fusi «esercitò per tutta la vita l’avvocatura con straordinaria dignità.

Quelle estati a Isola tra letture e lunghe passeggiate

 

A supporto, cita le parole di Vittorio Chiusano  del collega e amico di Fusi: «Naturalmente per questo modo di vivere la professione scontava un prezzo in termini di guadagno e in un certo senso di successo. Ma cosa gli importava la ricchezza? Menava vanto della sua povertà che testimoniava della sua rettitudine. Così come, in fondo, non gli interessava il successo perché non era certo disponibile per esso a cedimenti ideologici, a patti con la coscienza. Perciò non sopportava i cosiddetti tromboni, il parlare per il parlare, la retorica di certe arringhe. Erano difetti che non perdonava, così come la mancanza di cultura, l’arrivismo, la volgarità».

Aggiungerà Diego Novelli, sindaco comunista di Torino, nella commemorazione in Consiglio comunale a pochi giorni dalla morte dell’avvocato: «Non esitò un istante ad andare contro corrente per la difesa della Sua Torino schierandosi sempre e pubblicamente contro progetti e soluzioni che parevano offensivi del gusto, dell’equilibrio, del volto della città».

Fusi trascorreva a Villa gran parte delle estati e vi si rifugiava, anche per brevi periodi, per scrivere e leggere in totale tranquillità. Della serena atmosfera di quella piccola frazione apprezzava, insieme al paesaggio, opere all’epoca trascurate come la Chiesa dei Batù (la Confraternita dei battuti bianchi di San Michele).

L’ex sindaco di Isola, Erildo Ferro, ricorda bene sia lui che la moglie. «Edoarda Gerbi era una donna affascinante, alta, bionda, molto piacevole, aveva una vera adorazione per Valdo. Lui era un fine intellettuale, ironico, sapeva spiazzare con la battuta sempre pronta. Nella casa piena di libri facevamo lunghe chiacchierate, specie di politica, la sua grande
rettitudine lo rendeva insofferente alla mediazione di basso profilo, quella che lui chiamava “intrallazzo”.

È stato un onore e un privilegio conoscere Valdo, dalla sua vasta cultura, in ripetuti e indimenticabili incontri, ho tratto lezioni di vita e preziosi insegnamenti».

A causa del brutto incidente che aveva subito durante la guerra, Fusi non guidava l’auto: «Arrivava da Torino in treno e poi camminava tanto, amava passeggiare soprattutto nella
vallata al confine tra Isola,Vigliano e Mongardino – ricorda Ferro; grazie alla sua umiltà e gradevolezza aveva stretto ottimi rapporti in paese. Quando mio papà fu nominato Cavaliere al Merito della Repubblica, lui ed Edoarda gli mandarono un messaggio affettuoso: “Questi suoi amici vivamente si congratulano per la meritata onorificienza”. miopapà “Pinin” era l’idraulico di fiducia della famiglia, un uomo semplice e laborioso, c’era tra loro grande stima».

 

Cimitero di Isola Villa. Valdo Fusi è sepolto nella tomba della famiglia Gerbi insieme alla moglie Edoarda. Nella stessa cappella sono custodite le spoglie del tenente colonnello Biglio, giudice del Tribunale Militare che condannò a morte otto componenti CLN piemontese arrestati insiene a Fusi il 31 marzo del ’44
Cimitero di Isola Villa. Valdo Fusi è sepolto nella tomba della famiglia Gerbi insieme alla moglie Edoarda. Nella stessa cappella sono custodite le spoglie del tenente colonnello Biglio, giudice del Tribunale Militare che condannò a morte otto componenti CLN piemontese arrestati insiene a Fusi il 31 marzo del ’44

La tomba di famiglia simbolo della riconciliazione

 

L’avvocato si dedicò anche alla storia locale. Un’estate il Bollettino della, parrocchia pubblicò un suo articolo in cui documentava che l’origine della frazione Repergo “Regis Pyrgi” era probabilmente legata alla presenza di un insediamento dei Goti.

Morì d’infarto a 64 anni, il 2 luglio 1975, nella bella Casa Gerbi del paese che aveva tanto amato. Per commemorarlo salirono in tanti al cimitero di Isola Villa, sulla collina di
San Michele. Tra loro il professor Pier Franco Quaglieni (direttore del centro Pannunzio di Torino) e lo scrittore Mario Bonfantini.

Qui la collina astigiana è «un paese di dolce grazia fantasiosa che sottende un duro fondo
eroico», disse lo scrittore nell’orazione funebre «quelle colline fanno pensare all’intima personalità di Valdo, che solo noi, suoi amici, abbiamo avuto modo di conoscere e di apprezzare».

Nel 1982 in un incontro commemorativo a Palazzo Cisterna a Torino, Luigi Firpo trovò parole delicate per descrivere il profondo amore tra Valdo e Edoarda: «Fra le opere di Fusi, forse la più bella, è quella che Egli seppe costruire giorno per giorno con la sua Edoarda, donna sensibile, delicata eppure fortissima, che egli incontrò in un’ora triste, amò e fu riamato a prima vista e che fu per Lui moglie, compagna, confidente nella spensieratezza e nelle difficoltà, e serba ora a Lui una memoria struggente, dolorosa, ma che pure ha profonda virtù consolatrice».

Edoarda morirà nel 2003. Nel 1995 il Comune di Isola ha dedicato a Fusi il parco adiacente
alla Chiesa di San Pietro, luogo particolarmente amato dall’avvocato che «trascorreva ore a leggere seduto sulle panchine del belvedere, in silenzio, con lo sguardo perso nell’orizzonte di colline», ricorda Ferro.

«Nella cappella di Isola Villa riposano le due “Italie” – scrive Roberta Ferrato. Il partigiano Valdo Fusi riposa con la moglie Eda di fronte allo suocero, il tenente colonnello Biglio, giudice del tribunale militare che condannò a morte i suoi compagni, i martiri del “Martinetto”.

Sotto Biglio, riposa Aristide Gerbi, il podestà di Isola Villa. E di fronte a lui il nipote, Gerbi Giuseppe detto “Leo”, uno dei più noti comandanti partigiani dell’Astigiano, appartenente alle formazioni autonome della “Seconda Divisione Langhe”. Appena finita la guerra “Leo” era stato nominato vice Questore di Asti. Si dimise, non contento di come stava evolvendo il panorama politico italiano: «si sono tolti la camicia nera per mettere su quella bianca», e si trasferì in Argentina, dove trovò lavoro come contabile; «in fondo – scrisse – i numeri sono tutti uguali, sia in Italia che in Argentina!».

Dall’aprile 2019 la Biblioteca torinese di Storia e Cultura del Piemonte “Giuseppe Grosso” a Palazzo Cisterna conserva l’Archivio Valdo Fusi: 54 faldoni, 2000 volumi con un insieme di quadri e incisioni che riassumono l’intensa vita dell’avvocato che aveva Isola nel cuore.

 

Bibliografia

V. Fusi, Fiori Rossi Al Martinetto: Il Processo Di Torino-aprile 1944, Mursia, Milano 1968, 16 edizioni

Centro Studi Giorgio Catti sulla Resistenza Piemontese, Valdo Fusi, 1976, Tipografia Torinese Editrice M. Franzinelli,

Il prigioniero di Salò. Mussolini e la tragedia italiana del 194 –1945, Bruno Mondadori, Milano 2012. Archivio La Stampa

 

l'autrice dell'articolo

Roberta Favrin

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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