Quando parla di musica Gianfranco Amerio ama ripetere uno dei concetti base che gli ispirano la vita: «Suonare è bello perché riempie il cuore e ci si diverte e fa divertire anche chi ascolta. L’esistenza del suonatore è ricca di situazioni particolari, spesso divertenti». Amerio i suoi ricordi musicali li assapora socchiudendo gli occhi come quando suona il sassofono o il clarinetto. Si concentra sul discorso per rendere la rievocazione più nitida possibile, malgrado il tempo abbia sbiadito qualche particolare. La sua è stata una vita musicale intensa e nomade, nel senso che è passato in diverse band, ma sempre con il comun denominatore dell’amicizia.

A Cairo Montenotte un esordio da corto circuito
Da dove cominciare? Dagli Anni Sessanta. Dai tempi in cui da ragazzo a 17 anni fu ingaggiato per la prima trasferta fuori Asti. «Facevo parte del gruppo “Gli assi” con Pierino Cossetta, tromba, violino e vibrafono; Franco “Corsi” Camerano, batteria; Cicci Adriano, pianoforte e Cecè Ivaldi, voce e contrabbasso. Andammo a suonare a Cairo Montenotte, nell’Appennino verso Savona. Per quei tempi era già un bel viaggio. Era la mia prima uscita con la divisa del gruppo: giacca granata, calzoni neri, papillon e io mi davo un sacco di arie. L’impresario ci mandò a prendere con una Fiat Millequattro. Ci stipammo nell’abitacolo con gli strumenti che non stavano nel bagagliaio sistemati sulle ginocchia. A metà viaggio di andata, il vetro di un finestrino scese nell’intercapedine della portiera lasciandoci al freddo. Arrivammo in ritardo, eravamo nervosi e per fare in fretta infilammo la spina dell’impianto nella presa di corrente senza controllare il “cambia tensione”. Un disastro, perché il nostro impianto era predisposto per la tensione che allora ad Asti era di centoventicinque volt, mentre a Cairo Montenotte c’era la duecentoventi: pluff!. L’apparecchiatura andò in corto. Niente amplificazione. Suonammo con un impiantino preso in prestito, consapevoli che l’impresario ci avrebbe applicato la penale prevista per il ritardo. Al ritorno, a quella stessa Fiat Millequattro si staccò una parte del tubo di scarico. A quel punto, il lampo di genio lo ebbe Cecè Ivaldi che tolse una delle corde al contrabbasso e la usò per legare la marmitta».

Papà Pinin aveva una falegnameria molto musicale
Gianfranco Amerio è nato nel 1945 ad Asti. Papà “Pinin” (Giuseppe), classe 1912, ferroviere, aveva anche un piccolo laboratorio di falegnameria in corso Savona dove andava a lavorare nelle ore libere. La passione per la musica era di famiglia. Suonava a pieno polmoni il sousaphone, la grande tuba dal suono possente nelle orchestre da ballo e in quel laboratorio, tra sgorbie, chiodi e martelli, trucioli e segatura i musicanti facevano le prove. Gianfranco ricorda con nostalgia quando andava ad ascoltarli. «Fu proprio lì che decisi di suonare anch’io e mi innamorai del sassofono di Franco Dezzani. Per avere un po’ di basi mi iscrissi a un corso di musica tenuto dal maestro Bosi al vecchio oratorio Don Bosco. Con me c’era anche Rudy Migliardi. Lui scelse il trombone a tiro e io il clarinetto. Bosi tirò fuori da una cassetto gli strumenti e assemblò il mio con pezzi di diversa provenienza, avvolgendo la canapa attorno ai punti di giunzione, un po’ come fanno gli idraulici. Finalmente arrivò il giorno che mio padre mi comprò un sassofono marca Rampone». La vita musicale di Amerio, come si è detto, è errabonda: nel 1966 andò a suonare con “I Ranger” insieme a Vittorino Fossa, pianoforte; Mario Ferraris, batteria; Gigi Maranzana, basso; Giuliano Vezzani, chitarra e Guido Diliberto, voce.

All’inizio degli Anni ’70 eccolo nel gruppo “Sesto senso”, con Mario Patritti, Sergio Puppione, Guido D’Agostino, Giorgio Pettenuzzo, Luigi Garrone e Bruno Beltracchini. Più tardi un’altra esperienza fu quella con i “Jolly Folk”, formazione composta da Fossa, Magnone, Maccagno, Arborino e Vezzani. «Facevamo anche un po’ di dixieland», ricorda con nostalgia. Nel 1977 eccolo schierato con i “Canonici” (Pino Gammino, Virano, Penna, Manina, Avedano e Bruno Siriotto), passare da una sala da ballo all’altra.
L’ultima stagione, prima delle big band, lo vide nelle file dei “Jolly”, insieme a Renato Bocchino, Fiore Magnone, Berzano, Beppe Cresta e Franco Ghia. Nel ’97 Gianfanco fece parte della Meo Cavallero Music Story. L’allora sindaco di Quaranti, ideatore della delibera per far sposare gli scapoli del suo paese, girava il Piemonte e gli studi delle prime tv private con uno spettacolo di canzoni tradizionali e scenette teatrali. La musica è divertimento sempre. Nel 1984 Amerio è tra i componenti del gruppo “Los Vaselinas”, promosso dal dottor Luciano Longo. C’erano anche Remigio Passarino, Remo Fantino, Cesare Trinchero, Livio Carlevero, Mario Ferraris e Iudicelli, il cantante. «Andammo anche in trasferta in Brasile, per promuovere la cucina italiana».

Un altro gruppo di cui fece parte era “I Rubacuori”. Tra le esperienze più importanti, quella di cofondatore della AT Big Band ’82, confluita, in seguito, nella Big Band di Gianni Basso. «Una bella stagione, quella con Gianni. Per me è stato, oltre che un maestro, come un padre. Molto esigente come band leader, ma sempre grande nei rapporti umani» ricorda con commozione. Gianfranco continua a suonare in varie formazioni, ma i suoi punti fermi sono la “Mobil Swing Band” e la Banda Città di Asti “Cotti”. Il 12 gennaio di quest’anno ha compiuto 70 anni, 35 dei quali passati alla Way Assauto da impiegato. È sposato con Luciana, ha due figli, Elisa e Paolo, e tre nipoti, Lorenzo, Emma, Enea, ai quali trasmetterà la passione per la musica. Le tradizioni di famiglia non devono andare perdute.




