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San Rocco, gioiello del barocco non più visitabile

È la chiesa della Confraternita dedicata al santo, con il cane, che sconfiggeva la peste

Nel cuore di Asti c’è un gioiello del barocco che meriterebbe di risplendere e invece rischia in degrado. È la chiesa di San Rocco, all’inizio di via Brofferio, a pochi passi dal centro cittadino. Era la sede dell’antica Confraternita dedicata al santo, versa in condizioni difficili, soprattutto all’interno, al punto da essere chiusa al pubblico dallo scorso agosto, non potendosi garantire l’adeguata sicurezza. San Rocco, che l’iconografia classica raffigura sempre accompagnato dal fedele cane, è il santo pellegrino, protettore degli appestati. Francese, nativo di Montpellier, fu proclamato santo dal Concilio di Costanza nel 1414. Quando, nel 1630, Asti venne colpita da un’epidemia di peste (Niccola Gabiani ricorda che un’abitazione di via Garetti 16 fu l’unica della città a rimanerne immune) alcuni astigiani superstiti si unirono in una Confraternita, intitolata appunto a San Rocco, e invocarono il suo patrocinio affinché liberasse la città dal mortale flagello.

 

La statua lignea di San Rocco oggi posta sull’altare nella cappella di destra

La Confraternita era finanziata dai tessitori del borgo 

 

La Confraternita di San Rocco ebbe la prima sede nella Collegiata di San Secondo. Si spostò successivamente nella contrada “dei filanti e dei tessitori”, l’attuale via Brofferio, in un piccolo edificio dedito al culto, dove nel 1654 fu collocata la statua lignea policroma del Santo con il cane. I confratelli erano soprattutto gli artigiani del borgo che, traendo fonte di energia dal canale Bealera, svilupparono una fiorente attività di lavorazione della lana e della seta per la creazione di preziosi tessuti esportati in tutta Europa. Per questi motivi la Confraternita era venuta in possesso, fin dalla prima metà del XVII secolo, di alcuni arazzi in seta color avorio, cuciti con “punto asola”, raffiguranti il giglio di Francia, ritenuti opera quattrocentesca, al tempo della Signoria dei Duchi d’Orléans, attualmente conservati nella Pinacoteca civica di Palazzo Mazzetti. Agli inizi del Settecento la piccola chiesa sede della Confraternita divenne insufficiente per il sempre crescente numero di fedeli del popoloso borgo. Fu così che nel 1708 si iniziò la costruzione dell’attuale chiesa, terminata nel 1720. 

 

La facciata della chiesa di San Rocco in una foto attuale

La chiesa ultimata nel 1720 ha una facciata “guariniana”

 

Il progetto venne commissionato all’ingegnere italo-svizzero Carlo Giulio Quadri, attivo a Biella, Roma e Torino, alle dipendenze di Vittorio Amedeo di Savoia. La facciata in mattone a vista di gusto “guariniano” ha corpo centrale sporgente composto da doppio ordine di coppie di paraste con capitello che terminano in un timpano triangolare, spezzato dal motivo di sporgenze e rientranze; i corpi laterali sono curvi. La pianta dell’edificio è a navata unica, con cappelle laterali, sormontata nella prima parte da una luminosa cupola a sesto ribassato. Il coro conserva l’originaria pavimentazione in mattonelle di cotto, sostituita nella navata e nel presbiterio da un pavimento in seminato di marmo realizzato nel 1883. La decorazione ad affresco delle pareti è attribuita a Bartolomeo Rinaldi, allievo del più famoso Aliberti.

 

In questa foto, e nella foto sotto, due vedute della chiesa di San Rocco che dallo scorso agosto è chiusa al pubblico

Nel 1793 fu adibita a punto di raccolta dei prigionieri francesi

 

Le vicende storiche coinvolsero anche la chiesa della Confraternita di San Rocco che nel 1793 subì ingenti danni a causa di una scelta che appare oggi discutibile. Quella di trasformarla in punto di raccolta e pernottamento di soldati francesi presi prigionieri durante la guerra che i Savoia, guidati da Vittorio Amedeo III, alleati degli Austriaci, combatterono contro la Francia repubblicana del post Rivoluzione per il controllo del Nizzardo e della Savoia. Tra i francesi stava emergendo un giovane generale di artiglieria corso, un certo Napoleone Bonaparte. 

 

La chiesa poi venne occupata “da uomini oziosi”

 

Nel manoscritto “Libro dei Priori della Veneranda Confraternita di San Rocco”, conservato nella Biblioteca del Seminario di Asti, si legge questa memoria: “in quest’anno 1793 non si è celebrata nella nostra Chiesa la Festa del Glorioso nostro Protettore S. Rocco, atteso che la Chiesa era occupata dalli Francesi stati fatti prigionieri nella presente Guerra con la Francia e partiti questi è stata occupata dalli uomini oziosi, vagabondi e malviventi di questa Città, arrestati di notte tempo; con aver formato dentro e fuori dalla Porta grande una palizzata di travetti di rovere e nella Sacrestia si è formato un tavolasso per il Corpo di Guardia per li soldati ed altra palizzata avanti l’uscio di detta Sacrestia e per riparare l’Altare maggiore e Sedie del Choro si è formato una rastelata d’assi d’altezza d’un trabucco (circa 3 metri, n.d.r.) e questi vagabondi sono stati solo che giorni tre perché hanno rotto la ferrata alla finestra verso la piazza e strada e vene è fuggito uno per nome Giò Ratto detto Rattino e li hanno tradotti nell’Ospedale di S. Giuliano a S. Michele, poscia occupata dalle nostre Truppe di Re di Sardegna, Austriache ed imperiali venute in nostro soccorso. E per questo la Festa del nostro Santo è stata celebrata nella Chiesa delle M.M.R.R. Madri e Monastero di S.Anna col trasporto della statua d’esso Santo ed Ecce Uomo, stata celebrata essa Festa con Musica, Panegirico e Processione con decoro di divozione e grande concorso”.  Successivamente, nel 1800, l’edificio venne requisito dalle truppe austriache e soltanto nel 1803 si poterono avviare le operazioni di pulizia e parziale restauro. In tempi più recenti,  accanto alla facciata della chiesa è stata murata una lapide che riporta i nomi dei soldati del borgo morti nella Seconda Guerra Mondiale e tra i partigiani, a conferma di come San Rocco fosse un pezzo di città nella città, caratterizzato dalla colorita presenza dei suoi abitanti e dei bersaglieri di stanza nel vicino Casermone (Vedi Astigiani n. 8, giugno 2014). La parrocchia di San Martino, che dispone di una chiesa sulla omonima piazza, è proprietaria della chiesa dell’ex Confraternita. L’alluvione del settembre 1948 provocò a San Rocco ulteriori danni, in particolare al pavimento policromo, cui si è ovviato nel marzo 1951 con opere di restauro. Come ricorda Silvio Avidano, all’epoca giovane apprendista fabbro nella bottega paterna, che si trovava proprio di fronte alla chiesa, in quel restauro furono impegnati molti artigiani del borgo. 

 

Tra le opere d’arte anche un organo d’autore napoletano

 

Grande curiosità suscitò l’opera del pittore Ottavio Baussano e del fratello Salus che, impegnati su un alto e precario trabattello, dipinsero un’iscrizione sopra il portale, nello spazio precedentemente occupato da una grande meridiana (la facciata è orientata a pieno sud). L’affresco ricorda l’evento alluvionale e il precedente conflitto bellico mondiale con queste parole: “Sancte Roche, tu es salus in peste. Sulla furia devastatrice dell’incursione aerea del 24 Febbraio 1945 e della spaventosa alluvione del 4 Settembre 1948 vinse la fede e l’amore dei borghigiani. Grande S. Rocco dona a loro la tua assistenza preservatrice da ogni male”. All’interno della chiesa sono presenti diverse opere degne di nota, come l’altare maggiore. Venne costruito dal marmorino Francesco Ferrari a partire dal 1763 e consacrato dal vescovo Caisotti il 10 agosto 1764. Gli arredi sono gli stessi che vennero commissionati nel XVIII secolo dalla Confraternita a maestranze astigiane, come la bussola d’ingresso realizzata da Agostino Re, il coro ligneo di fattura ottocentesca (conserva ancora gli schienali del 1693, recuperati dalla precedente chiesa della Confraternita), la cantoria realizzata nel 1770 da Francesco Maria Bonzanigo per ospitare il prezioso organo (venne costruito nel 1762 dal napoletano “organaro insigne” Liborio Grisanti, lo stesso artefice dell’organo della Cattedrale), con cassa realizzata dal più famoso nipote Giuseppe Maria Bonzanigo, ebanista del Re e il leggio a fusto, datato 1730. La statua di Cristo alla colonna, originariamente posta ad altezza d’uomo nella cappella a sinistra, oggi è conservata al Museo Diocesano mentre la bella statua di San Rocco, che già esisteva nel 1654 (quando fu trasportata dalla Collegiata di San Secondo alla nuova sede della Confraternita), è ora posta sull’altare nella cappella di destra, originariamente dedicata all’Ecce Homo. Risale al 1999 il restauro della facciata della chiesa e durante gli interventi del 2002 sono state rifatte l’intera struttura lignea del tetto e le coperture. All’interno della chiesa la più evidente condizione di degrado è rappresentata dalla mancata complanarità della pavimentazione della navata: il fenomeno dell’umidità di risalita capillare, unitamente ad altre infiltrazioni dal sottosuolo, ha generato nel tempo un progressivo rigonfiamento del pavimento, soprattutto nella parte sinistra dell’aula, dove raggiunge la pendenza più elevata. La pavimentazione in seminato di marmo, sollevandosi insieme al suo supporto, negli ultimi anni si è lesionata ed è ben visibile un’estesa crepa che, partendo dalla bussola (non più apribile), prosegue verso l’altare di sinistra. L’umidità dei muri dell’intero fabbricato raggiunge livelli molto alti, chiaramente visibili a occhio sia all’esterno che all’interno della chiesa. Tale situazione ha pregiudicato la conservazione degli intonaci della parte bassa dei muri di cui si sono staccate grosse porzioni, oltre alla perdita quasi integrale dello strato pittorico. La parte superiore delle pareti presenta, inoltre, lesioni che interessano la cornice principale e le architravi delle finestre. Un recente distacco di intonaco dalla volta, nella zona del presbiterio, ha decretato la chiusura al pubblico. Senza ombra di dubbio la chiesa, meriterebbe un urgente intervento di risanamento conservativo per essere riportata agli antichi fasti e riaperta ai parrocchiani, ma anche all’interesse dei turisti che potrebbero scoprire le sue bellezze oggi nascoste. 

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Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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