lunedì 17 Marzo, 2025
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Otto secoli di controllo della città

La storia del corpo della Polizia Municipale
In ogni fase della sua storia, la città di asti si è dotata di guardie per garantire l’osservanza delle proprie normative. Fin dall’epoca del libero comune medievale, le guardie di giustizia, guardie daziarie, guardie cittadine, gabellieri e militi delle guardie civiche hanno vegliato sulla sicurezza e sui commerci della città. sono i primi passi di una storia lunga secoli che ha portato alla costituzione della moderna polizia municipale. L’evoluzione di questo corpo, che oggi conta 73 agenti attivi 24 ore su 24, ha accompagnato la crescita e il lento cambiamento di una città, fin dai tempi in cui in Corso Alfieri si faceva la multa ai carri in divieto di sosta. Con iniziative come la Befana del vigile, il corpo è entrato nella vita sociale astigiana.

Nel tardo medioevo la questione dei dazi era di competenza della Ferrazza

un disegno del 1850 per il progetto di uniforme delle Guardie municipali.

 

Polizia Municipale, Vigili Urbani, prima ancora “Guardie”. Il corpo preposto all’osservanza delle leggi cittadine ha cambiato nome molte volte, nel corso della sua lunga storia. Ma il primo di cui si ha traccia è un termine ben poco noto: ad Asti, gli antenati dei vigili erano conosciuti come ferrazzieri.

Siamo nel tardo Medioevo e la questione dei dazi o reve era di competenza dell’Ufficio
della Politica, detto anche Ferrazza, preposto al controllo delle norme e all’esazione dei tributi “sulle derrate che dovevano vendersi a peso e a misura”, ovvero sull’ordine del commercio, fisso e ambulante, e sull’esercizio delle arti e dei mestieri in genere.

Le disposizioni che disciplinavano tale ufficio derivavano dai capitoli degli Statuta Revarum (1377) e venivano pubblicate tramite i Bandi o Ordini Politici, una dettagliatissima raccolta
di norme riguardanti il commercio di prodotti alimentari, i mercati, l’esercizio di arti e mestieri, la sicurezza urbana, la sanità, la nettezza delle strade, l’occupazione del suolo pubblico, la prevenzione degli incendi, l’edilizia, oltre alle sanzioni previste per le infrazioni e la tutela degli addetti alla vigilanza.

I bandi erano redatti dal Giudice di Politica che la città aveva facoltà di nominare tra i giudici ordinari e venivano affissi nelle pubbliche piazze “acciò niuno possi pretenderne
ignoranza”. Vennero compilati, con successive modifiche e riforme, fino al 1858 quando il Consiglio Comunale presieduto dal sindaco Giovanni Matteo Palmiero stabilì nuovi bandi con la denominazione di “Regolamento di Polizia urbana” che si è mantenuta ancora oggi.

Tornando al Medioevo, la Ferrazza non era gestita direttamente dal Comune ma veniva data in appalto e l’assegnatario incassava una percentuale degli introiti della riscossione dei dazi. Venne messa all’ “incanto” fino al 24 gennaio 1698 quando fu riformata a seguito delle
corruttele degli appaltatori (accensatori) e dei loro addetti (ferrazieri). Dalle somme incassate tramite accordi occulti, questi si assicuravano profitti illeciti consentendo ai trasgressori qualunque frode.

Per mettere fine agli abusi, il sindaco Conte Marc’Aurelio Capra di Azzano propose di abolire
l’appalto della Ferrazza, assumendo per tale ufficio “una persona d’onorate qualità” con l’incarico di “Conservatore degli Affari della Politica e Polizia”. Questa figura, in cambio di un
“ragionevole” stipendio e l’assistenza di un subordinato, doveva controllare i mercati, ispezionare magazzini e botteghe, verificare la giustezza dei pesi e delle misure e la qualità delle merci poste in vendita, tenendo un registro delle sanzioni elevate. Doveva inoltre “aver cura di non lasciar gravare i Cittadini [e i mercanti], tanto dalli Portinari, che da Dazieri e Caporali”.

450 lire all’anno per il primo vigile professionista nel Settecento

 

L’incarico venne affidato dal Consiglio a Melchiorre Lavezeri, al quale venne attribuito uno stipendio di 450 lire annue: può essere considerato uno dei primi esempi di attività professionale di polizia gestita dal Comune per il controllo dei regolamenti e per la tutela di cittadini.

Lavezeri mantenne l’incarico fino al 1711. Successivamente, i Conservatori vennero definiti
genericamente “invigilatori di Politica” e il responsabile venne detto Capo-invigilatore o Ispettore. L’attività degli invigilatori era tutelata dalla legge che proibiva a chiunque “sotto qualsivoglia pretesto [di] ingiuriar [e] minaciar di batter, meno far bravate ad alcuno de conservatori della Pollitica sotto pena di lire due…oltre l’esser criminalmente punito alla
forma delle Regie Constituzioni.”

Tuttavia, nell’ambito del grave stato di decadenza economica del Settecento, gli impedimenti per riscuotere le penali e la conflittualità con il pubblico nell’applicazione delle
norme rendevano difficoltoso l’esercizio di tale attività. A tal proposito il notaio Cavalli, archivista comunale, riportava in una sua relazione del 18 giugno 1737 che i giudici trascuravano l’ufficio della Politica per gli scarsi emolumenti percepiti e l’odiosità incontrata.

Allo stesso modo, riguardo gli “invigilatori”, non si trovavano persone oneste disponibili
ad occuparsi di un incarico tanto sgradevole e fastidioso, quanto poco retribuito.

Con la presentazione del bilancio comunale del 1801 fu ristabilito il profilo di ispettore di Polizia e Politica: venne attribuito al capo-invigilatore Carlo Marello. In particolare, si
dispose “in ordine agli invigilatori di Polizia Municipale”, che giurassero “di prestare un servizio fedele, di eseguire puntuali le incombenze e di fare esattamente il loro dovere”. È questa la prima occasione in cui si riscontra in un documento ufficiale il termine di Polizia Municipale.

L’introduzione nel 1804 del Codice Napoleonico quale legge fondamentale dello Stato non revocò l’attività dell’antica Politica: si disponeva, ad esempio, a proposito delle norme per l’esercizio delle boulangeries [panetterie] che “la liberté de la vente du pain doît être sur la surveillance de la Police Municipal” (La libertà della vendita del pane deve essere sotto la supervisione della Polizia Municipale).

Nonostante ciò la polizia “non ebbe, per mancanza di fondi assegnati, un servizio assai regolarmente stabilito”.

È necessario aprire una parentesi poiché le origini della Polizia municipale vengono spesso erroneamente collegate con le varie milizie locali. Queste, organizzate per secoli in città, erano formate da cittadini per lo più volontari con compiti di sorveglianza urbana: nel medioevo erano detti “custodes”.

Con napoleone la Guardia Urbana doveva vigilare sulla vendita del pane

Una foto del 1954 nel cortile interno del Municipio. Al centro, in borghese, da sinistra, l’ispettore Luigi Goria, il sindaco Giovanni Viale, l’assessore Ugo Fassio e il comandante “reggente” Fulvio Monticone

 

Nel XVIII secolo alcune funzioni di pubblica sicurezza, tra cui la vigilanza alle porte della città, erano attribuite al Corpo volontario di Milizia urbana volta alla “conservazione dei
frutti della campagna” da devastazioni e a “promuovere e conservare la quiete e la tranquillità pubblica”.

In una sala del pianterreno del Municipio era allestito un Corpo di Guardia anche allo scopo di custodire le armi che si trovavano ai piani superiori. Per i servizi notturni i militi dovevano “trovarsi al Corpo di guardia del Palazzo di Città alle otto di sera e rimanervi fino a giorno e farvi le pattuglie per la città che saranno ordinate …”.

La Guardia (o Milizia) Urbana o Civica, con funzioni di mera vigilanza cittadina, va comunque distinta dalla Guardia Nazionale che era corpo di riserva militare volontario,
organizzato in Piemonte dal generale Joubert nel 1798, dopo l’occupazione francese, e inquadrato a livello locale di supporto all’esercito.

Con la Restaurazione il Re Carlo Alberto, attraverso la legge del 4 marzo 1848, ricostituì
la Guardia Nazionale in forma di Milizia comunale per mantenere l’obbedienza alle leggi, conservare l’ordine e la tranquillità pubblica e sostenere l’esercito. Era composta da tutti i “regnicoli” che pagavano un censo o tributo qualunque ed era posta sotto l’autorità del Sindaco. Il servizio era considerato obbligatorio salvo le eccezioni stabilite.

Nel 1821 un’ordinanza di divieto di sosta per i carri in corso Alfieri

 

Chi ritiene di associare oggi l’attuale attività della Polizia Municipale principalmente al controllo della sosta dei veicoli, troverà senz’altro di attualità il provvedimento del 9 giugno
1821, emesso dal Giudice di Politica Giuseppe Bonanati, su disposizione del sindaco Paolo Mazzetti di Frinco: si trattò di un’ordinanza di divieto di sosta dei carri che ingombravano
l’odierno corso Alfieri appartenenti ai venditori del mercato dei bozzoli da seta che si teneva nella “contrada della torre dell’orologio e nella piazza della Confraternita dell’Annunziata”
e disponeva che “nessun carro o altro oggetto relativo alla condotta o trasporto dei bozzoli potrà fermarsi o collocarsi nella strada maestra a pena che verrà fatto rimuovere dagli
agenti di politica e polizia”.

Anche la conduzione di veicoli e relativi animali da tiro era oggetto di disciplina da parte dei Regolamenti comunali: nel 1822 chi attraversava la città per la strada maestra, seduto sul carro senza condurre l’animale per la cavezza, come prescrivevano i bandi politici, veniva sanzionato di due lire vecchie.

I carri, apparentemente lenti, spesso non erano tali nel percorrere le vie astigiane. Alcuni conducenti erano soliti condurre animali ad andatura inadeguata e pericolosa, tanto che nel 1864 il sindaco Giovanni Matteo Palmiero ritenne opportuno richiamarli alla stretta osservanza dei Regolamenti “all’oggetto di ovviare ai funesti accidenti che possono facilmente derivare dal malvezzo di taluni che si compiacciono di spingere a grande velocità i loro cavalli da tiro o da sella nel percorrere le via di questa Città, senza nemmeno rallentare nei risvolti…”.

Anche allora l’aspetto sanzionatorio non era ovviamente l’unico carattere dell’attività della polizia locale: nel 1825, agli invigilatori in servizio venne assegnata una gratifica per lo
“straordinario servizio [svolto] onde riparare i guasti recati dal Tanaro [in piena] nei vari luoghi, come esigeva il servizio del pubblico, senza veruna interruzione e con tutta sollecitudine”.

Insieme agli “invigilatori” o “agenti di polizia” e “Politica” operavano anche altri dipendenti comunali addetti a funzioni di controllo: i “campari” e i “servienti”, figure presenti anche
in altre città del Piemonte. La tutela delle campagne fu da sempre compito del cosiddetto “Ufficio della camparía” che prevedeva la presenza di guardie campestri (i campari) nominati e stipendiati dal Consiglio di Città, per la tutela dei Bandi o Ordini Campestri, regolamenti di Polizia rurale approvati dal Senato sabaudo il 18 ottobre 1600 e aggiornati a partire dal 1720.

I “servienti” erano i messi comunali, con giacca di colore rosso scarlatto e galloni argentei a bordare le asole e i cappelli, incaricati di rendere pubblici gli atti e le disposizioni dell’Amministrazione tramite l’affissione alla porta del Palazzo del Comune o con determinati squilli di tromba (da cui l’altro nome di “Trombetta”). Si occupavano anche della notifica di atti, dell’assistenza ai lavori sulle strade, della custodia del Palazzo civico e dovevano “assistere e servire gli invigilatori”.

La posizione dei “servienti” nell’ambito della vigilanza urbana di Asti è confermata nel
1802 dal civico Consiglio, che disponeva che essi dovevano “concorrere a loro potere a invigilare per la Pulizia [Polizia] Municipale”.

L’Amministrazione comunale, riconosciuta la necessità di un servizio stabile della polizia locale dopo la dominazione francese, nell’anno 1814 nominò Carlo Bottone come ispettore di Polizia e Politica della città e tre nuovi invigilatori in aggiunta agli esistenti.

Il simbolo dell’“occhio della vigilanza” riprodotto sulle divise

Il casco tipo coloniale indossato dalle Guardie di Asti fino agli Anni ’20

 

I nuovi assunti prestarono giuramento a mani del giudice di Politica. Nel 1816, poi, si stabilì la loro uniforme “consistente in vestito lungo [frac] di colore bleu con paramani e colletto di panno di ugual colore con quattro bottoniere […] calzoni d’ugual panno e colore e gilet di casimiro bianco con cappello alla francese guarnito in nero con ganza d’argento…

La parte più interessante di questa uniforme di gusto settecentesco, oltre la ragguardevole qualità del gilet di cachemire (casimiro), era senz’altro la sciabola riportante sotto l’impugnatura una placca in metallo con una gravatura rappresentante un occhio e il motto: “rispetto alla persona e alla proprietà”.

L’originale simbolo dell’ “occhio della vigilanza” (assieme all’eloquente motto che evidenzia i
compiti d’istituto), caratterizzerà la divisa degli agenti per diversi decenni.

Con le Regie Patenti del 15 ottobre 1816, il Regno di Sardegna istituì il Ministero di Pulizia [Polizia] per “vegliare incessantemente sopra tutto ciò che può alterare l’ordine e la tranquillità”.

Ai sensi dell’articolo 28, gli Agenti di polizia e politica (definiti “Agenti della Polizia locale”)
furono messi a disposizione, insieme ai Carabinieri Reali, dell’Ispettore di pubblica sicurezza per l’esercizio delle suddette funzioni.

L’aumento delle esigenze e dei compiti affidati agli “invigilatori”, richiese una riforma della normativa allo scopo di riorganizzare il servizio di polizia urbana e rurale. Un primo progetto, presentato in Consiglio dal sindaco Vincenzo Fasolis il 20 giugno 1837, elencava, in otto articoli, le attribuzioni del personale di Politica e Polizia. Tuttavia per la fondazione di un vero settore di polizia si dovette attendere il 28 febbraio 1850 quando, con la nomina di sei nuovi agenti di Polizia e Politica, il Consiglio Delegato (attuale Giunta) presieduto dal sindaco avvocato Pietro Aubert, allo scopo di riordinare in modo più strutturale il servizio, deliberò che “le Guardie di Politica e le Guardie campestri saranno riunite in un Corpo solo sotto la denominazione di Guardie municipali [e svolgeranno] il servizio tanto nel recinto
della Città, quanto nel suo territorio”.

Le Guardie municipali dovevano essere armate di sciabola e carabina. L’uniforme, rappresentata dal disegno di un figurino, era costituita da una lunga giacca di panno blu con bottoni bianchi, calzoni grigio scuro con doppia riga rossa, cinturone di cuoio nero munito di una piastra d’ottone con lo scudo della Città e kepì nero con in fronte la coccarda nazionale con l’arme della Città e l’occhio, simbolo della vigilanza.

I “servienti”, rimasti nel novero delle Guardie, vennero esclusi per incompatibilità con i compiti di polizia pochi anni dopo. L’8 gennaio 1859 il sindaco Giovanni Matteo Palmiero
stabilì infatti il nuovo “Regolamento per l’organizzazione del Corpo delle Guardie Municipali della Città d’Asti”, approvato con il Reale Decreto di Vittorio Emanuele II del 4 dicembre
1858 firmato da Camillo Benso di Cavour.

Venne prevista una nuova uniforme e il sindaco Palmiero, per questa, s’ispirò al modello adottato dal Comune di Alessandria per le sue cosiddette “Guardie Urbane”. Il nuovo regolamento del Corpo delle Guardie municipali, il cui testo venne distribuito sotto forma di opuscolo come supplemento de Il Cittadino, constava di 41 articoli uniti in quattro capitoli: I) della formazione e dello scopo delle Guardie municipali, II) dell’Ispettore, III) dei doveri delle Guardie, IV) della disciplina.

Il Corpo, soggetto alla giurisdizione del Sindaco, o suo delegato, era composto da un sergente e da dodici guardie sotto la direzione dell’ “Ispettore di Polizia Municipale” di nomina del civico Consiglio. Lo stipendio previsto era di 1000 lire all’Ispettore, 720 lire al sergente e 600 lire a ciascuna guardia, da intendersi annuali e da corrispondersi in rate mensili.

La sede del Corpo era ovviamente in Municipio, ma nel 1874 il Corpo si dotò di un edificio per l’accasermamento di una parte delle venti guardie in servizio in quel periodo. La caserma, detta “Casa Albertone”, si trovava in via al Tribunale (tra le attuali via Mameli e via Rossi) ed era un fabbricato fatiscente che richiedeva ripetuti interventi di manutenzione
(in stato di grave degrado venne poi dismessa e alienata nel dicembre 1907).

Ad Asti guardie e non “civich”, termine usato a Torino

nel 1938 foto di gruppo del corpo dei Vigili urbani. Al centro, con il fez, edoardo dezzani, Capo servizio di polizia urbana e responsabile del Corpo

 

Le guardie (appellativo tuttora in uso in alcuni ambiti della parlata locale) e non i “civich”, definizione di origine torinese che non fa parte della tradizione astigiana, divennero così una figura abituale e conosciuta sui mercati, nelle manifestazioni e sulle strade urbane che
assunsero il loro ruolo di anello di congiunzione tra l’Amministrazione e i cittadini.

Con l’arrivo del nuovo secolo mutarono le esigenze di servizio delle Guardie: al Corpo era richiesta una particolare attenzione al controllo sul rispetto del nuovo manifesto sindacale per la circolazione dei velocipedi, emanato dal sindaco Pompilio Grandi il 19 maggio 1900: lo scarso senso civico dei ciclisti che percorrevano i viali pedonali attorno alle piazze e attraversavano disordinatamente le stesse “a corsa veloce senza alcun ritegno” o transitavano sui marciapiedi con il fanale spento nelle ore notturne “con sommo incomodo delle persone” era fonte di reiterate proteste da parte dei giornali locali.

Il 10 aprile 1908 in fase di discussione per il nuovo regolamento di Polizia Urbana in Consiglio si affermava: «Una nuova industria si è ora sviluppata, quella delle biciclette, motocicli e automobili, quali mezzi di locomozione, se sono utili ed offrono anche un modo di diletto, costituiscono, però, un pericolo per la libera circolazione e per la viabilità […] e nonostante le precise disposizioni, si vedono ogni giorno le biciclette percorrere impunemente i marciapiedi e gli automobili e specie le motociclette percorrere con velocità le vie e le piazze».

Si noti che “gli automobili” era scritto al maschile: per un’intesa sul genere da adottare si dovette attendere la pronuncia del Vate Gabriele D’Annunzio che, intorno al  1920, in risposta a una lettera del senatore Giovanni Agnelli, declamò: «L’Automobile è femminile. Questa ha la grazia, la snellezza, la vivacità d’una seduttrice; ha, inoltre, una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza. Ma, per contro, delle donne ha la disinvolta levità nel superare ogni scabrezza…».

All’inizio del Novecento le regole della circolazione stabilite dal Comune appaiono singolari se lette oggi: i veicoli di qualunque specie e gli animali dovevano procedere tenendo la propria sinistra (per l’uniformità nazionale della mano da tenere a destra ci vorranno ancora anni) e non potevano sostare sul sito viabile oltre il tempo strettamente necessario.

Nell’ambito della riforma del Regolamento di Polizia Urbana, il 30 dicembre 1911, l’Amministrazione sciolse il Corpo dei Civici pompieri creando, tra le guardie municipali stesse, un apposito reparto per l’estinzione incendi, con magazzini e alloggi presso l’Alla di piazza Alfieri.

Il nuovo Corpo delle Guardie municipali previsto era composto da 40 elementi di cui 16 “guardie-pompieri”. Le guardie addette al servizio di pompieri erano scelte tra i componenti del Corpo “più giovani, robusti e svelti” e preferibilmente tra coloro che avevano esercitato attività artigianali quali muratore, fabbro, meccanico, falegname.

Il drammatico periodo della I Guerra Mondiale mise in luce un personaggio di grande rilievo: l’ispettore Attilio Nebiolo, a cui era stato affidato il comando del Corpo dopo la
carriera nelle Guardie municipali e la responsabilità della pubblica sicurezza in città per tutta la durata del conflitto.

In quegli anni Nebiolo acquisì una grande fama per le sue doti di integerrimo funzionario e di abilissimo investigatore, qualità che lo portarono a risolvere numerosi casi ampiamente esaltati dalla stampa locale.

Gli articoli de Il Cittadino descrissero con dovizia di particolari gli esiti delle sue operazioni, spesso rischiose e movimentate, arrivando a definire il funzionario come «un agente di polizia veramente insuperabile e che permette a ogni cittadino di riposare tranquillo e al sicuro dalle gesta di malviventi, delinquenti e criminali». La prevalente attività di pubblica sicurezza gli attirò, tuttavia, anche severe critiche e polemiche giornalistiche e politiche.

Dal 1°gennaio 1923 dal registro dei servizi del Corpo si apprende che le Guardie municipali avevano intanto assunto, almeno formalmente, il nome di Vigili Urbani (gli astigiani utilizzeranno ancora il nome di Guardie fino agli Anni ’60), provvedimento adottato dallo Stato per uniformare a livello nazionale i diversi nomi con cui si definivano i corpi e gli uffici di polizia locale.

Nel marzo 1927 si insediò il primo podestà fascista di Asti, Guido Mancini: riorganizzando i servizi comunali giubilò Nebiolo che non sembrava corrispondere alle aspettative del nuovo corso politico e chiamò al ruolo di Capo servizio di Polizia urbana e responsabile del Corpo il colonnello (poi generale) Edoardo Dezzani.

Anni trenta: arrivano i primi due semafori ma rimane il controllo manuale degli agenti

Le Guardie municipali con le sciabole sguainate, insieme ai valletti comunali, in piazza del Mercato (oggi Campo del palio), il 27 giugno 1909, per le celebrazioni del cinquantenario della II Guerra di Indipendenza

 

La diffusione dei veicoli a motore cominciò a generare la questione del traffico in città. Per adeguarsi a tale esigenza vennero istituiti due posti fissi ove gli agenti effettuavano segnalazioni manuali: all’innesto dell’attuale via Gobetti su corso Alfieri e l’incrocio tra il medesimo e corso Dante.

Le disposizioni del colonnello Dezzani prevedevano una meticolosa e dettagliata cronologia nei cambi sul posto tra i vigili che dovevano «stare nel posto preciso segnato dalla lastra di pietra collocata in ciascun sito, tranne in tempo di pioggia battente, nel quale potranno ripararsi stando nel marciapiede contro il muro del caseggiato retrostante».

I conducenti astigiani, frattanto, stavano familiarizzando con un nuovo dispositivo per la regolazione del traffico: il semaforo. Negli Anni Trenta erano attivi sul corso Alfieri due impianti e, su disposizione del Podestà, si rendeva comunque necessario l’ausilio manuale degli agenti allo scopo di non creare inutili soste e per limitare l’intralcio dei pedoni che
attraversavano disordinatamente o formavano capannelli sui marciapiedi.

Anche con l’ausilio delle nascenti tecnologie rimaneva rimarchevole la perizia del vigile nelle segnalazioni manuali all’incrocio. Per evidenziare tale aspetto Edoardo Dezzani redasse una classifica dei migliori segnalatori poiché il R.A.C.I. (Reale Automobile Club d’Italia) aveva
disposto di premiare gli agenti più abili, padri di famiglia, consegnando dei doni ai loro figli in occasione del capodanno 1939.

Il 5 marzo 1940, con provvedimento del Podestà Vidau, al generale Dezzani, subentrò il geometra Luigi Goria in qualità di ispettore di Polizia urbana e responsabile del Corpo, incarico limitato al settore amministrativo, ma che proseguì anche dopo il travagliato periodo della guerra. Luigi Goria era il padre di Gianni, futuro Ministro e Presidente del Consiglio (vedi Astigiani n. 9, pag. 76).

Gli Anni Cinquanta e il boom economico diedero il decisivo impulso alla motorizzazione di massa che ebbe un’enorme influenza sulla vita cittadina, portando l’attività della Polizia
Municipale ad una prevalenza di compiti di controllo della circolazione automobilistica. Per rispondere alle nuove esigenze richieste dal servizio, venne costituita la Squadra motociclisti con l’acquisto, tra il 1948 e il 1952, delle “Moto Guzzi” necessarie per un più ampio controllo del territorio e una maggior rapidità di spostamento.

L’abilità e la professionalità che i motociclisti esprimevano in servizio si esaltava durante il periodo d’oro delle manifestazioni motoristiche su strada.

Negli Anni ’50 e ’60 parteciparono ad applaudite gare di regolarità tra i Corpi di diverse città, a cui prendevano parte anche delegazioni da Paesi europei, con un grandissimo concorso di pubblico. I motociclisti di Asti si distinsero ovunque guadagnando molti piazzamenti onorevoli.

Il provvedimento per un nuovo responsabile del Corpo auspicato da Luigi Goria, si concretizzò nel 1954 con la nomina di Fulvio Monticone a Comandante “reggente”. Conservò la reggenza del Corpo fino a quando, il 23 ottobre 1962, a seguito di pubblico
concorso, divenne comandante effettivo.

Monticone, comandante carismatico e di grande personalità, si conquistò un posto di assoluto rilievo nella storia del Corpo. La mobilità di massa, oltre alla congestione del traffico, ebbe come prevedibile conseguenza l’inasprimento del problema dei sinistri stradali e il Corpo dei Vigili Urbani dovette necessariamente adeguarsi specializzando un apposito ufficio preposto all’infortunistica stradale ed opportunamente attrezzato.

La sede in piazza Leonardo da Vinci e l’ultimo cambio di denominazione

nel 1963 il sindaco Giovanni Giraudi consegna un veicolo al comandante Monticone

 

Le statistiche del nuovo ufficio infortunistica confermarono il progressivo e drammatico
incremento dei dati sui sinistri a livello locale. Nel 1962, ad esempio, gli incidenti furono 591 (5 con esito mortale e 294 i feriti) ed erano destinati ad aumentare ancora; per trovare
un calo significativo bisognerà attendere i nostri giorni con il progresso tecnologico dei veicoli e i provvedimenti sulla viabilità per la sicurezza della circolazione stradale.

Tali provvedimenti sono evidenti in un dato nazionale: nel 1934 ogni 100 incidenti vi erano 7 morti, nel 1953 circa 4 e meno di 2 nel 2010.

Il comandante Monticone lasciò ufficialmente la carica il 1 giugno 1972 e si spense nel 1997: durante i funerali la bara venne portata a spalla dai “suoi” vigili. Unitamente ai
componenti del Corpo del periodo, contribuì alla transizione delle Guardie verso la attuale Polizia locale, modernizzando le modalità operative e con un impegno costante per assolvere il servizio pubblico.

Tale opera proseguì sotto la guida del nuovo comandante, il capitano dei Carabinieri Stelvio
Rauccio, negli anni in cui il problema della viabilità divenne preponderante in una città dall’impianto stradale rimasto sostanzialmente immutato dal primo Novecento.

A metà degli Anni Settanta la storica sede dei Vigili al pianterreno del Municipio venne gradualmente spostata nell’ottocentesco fabbricato dell’ex mattatoio di piazza Leonardo
Da Vinci (vedi Astigiani n. 29, pag. 81). Nel 1986 una legge dello Stato di fatto cancellò la denominazione di “Vigili urbani” restituendo ai Corpi di Polizia municipale e locale il loro
nome originario. Ciò non costituì solo una questione di nome, ma diede luogo soprattutto a un successivo massiccio intervento normativo regionale volto a uniformare i corpi in un ambito territoriale più ampio e a una nuova transizione verso compiti più specifici di polizia.

Nel 1994, quando alla responsabilità del Corpo venne chiamato Mario Calvi, Asti subì la terribile alluvione e le acque del Tanaro devastarono anche la sede del Comando, riportata in piena operatività in breve tempo con il lodevole impegno degli stessi agenti (vedi foto su Astigiani n. 10, pag. 40).

A causa del grave deterioramento dell’edificio la sede venne trasferita in via Gustavo Fara, con burocratico ritardo, soltanto nel 2001. Nel 2006 è stato nominato il nuovo comandante, Riccardo Saracco, chiamato a rispondere alle nuove aspettative per il servizio della Polizia locale. Pur rimanendo attuali le problematiche della circolazione veicolare, del commercio e dei sempre numerosi compiti d’istituto, si sono intanto resi allarmanti nuovi elementi di illegalità e varie forme di disagio nell’ambito della sicurezza urbana.

L’azione viene resa tuttora difficile per le croniche insufficienze legislative e le opprimenti contraddizioni politiche nazionali sul ruolo delle Polizie locali che, tuttavia, non riducono l’impegno di un’azione di forte attenzione per contribuire al contrasto di queste criticità al
fine della tutela dei cittadini e della salvaguardia della proprietà pubblica e privata, come voleva il motto delle Guardie a metà dell’Ottocento.

 

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Valter Franco
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