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1969

Mezzo secolo di autostrada dei vini

Il primo collegamento Santena-Asti Est
Non ha suscitato particolare clamore l’anniversario dell’arrivo dell’autostrada ad Asti. Il 30 dicembre del 1968 infatti fu inaugurato il primo tratto della Torino-Piacenza. Una sobria cerimonia al Salera, e qualche protesta da parte degli agricoltori cui erano stati espropriati i terreni, aprirono una stagione di grandi cambiamenti per la città. Il passaggio della nuova arteria alleggerì il traffico che attraversava Asti e segnò l’evoluzione urbanistica della zona nord. Ma l’iter per realizzare l’opera fu complesso: per decidere il percorso definitivo si intavolarono dibattiti con Vercelli e Novara contrapposte ad Asti e Cuneo. I lavori durarono cinque anni e videro impegnate piccole ditte che si spostavano da una parte all’altra d’Italia seguendo il cantiere dell’autostrada. Oggi è l’Asti-Cuneo a riempire le prime pagine dei giornali, un’incompiuta per soli nove chilometri.

Un sobrio brindisi al Salera per l’inaugurazione. Al casello si pagavano 150 lire per 39 chilometri

 

Lo scorso 30 dicembre era l’anniversario dell’arrivo dell’autostrada A21 ad Asti: 50 anni
esatti. L’evento non è stato celebrato e la ricorrenza non ha trovato spazio nel dibattito pubblico, nonostante il tema dei collegamenti sia più che mai d’attualità. Eppure, quest’opera ha segnato in maniera profonda lo sviluppo della città e del suo territorio. Asti e il Monferrato sono entrati con l’onore di due caselli nella nuova rete di comunicazione che si stava estendendo in tutta Italia.

C’era chi nel 1968 sperava che l’autostrada contribuisse anche a risolvere i problemi di traffico della città fino ad allora attraversata da camion e auto nella direttrice Est-Ovest. Anche mezzo secolo fa l’apertura del tratto Santena-Asti avvenne senza troppi proclami. Tutto ciò che accadde, quel mattino di fine dicembre del 1968, fu un brindisi all’Hotel Salera. Poche ore prima, un piccolo corteo di auto era entrato in autostrada a Santena, aveva passato il casello di Villanova, ed era uscito allo svincolo di Asti Est. Lungo il percorso le auto si erano fermate più volte, per consentire ai passeggeri di apprezzare le soluzioni tecniche adottate nel realizzare le carreggiate e i viadotti. Come quello di Dusino, che colmava il dislivello tra la piana di Villanova e Villafranca, e il viadotto di Valleandona alle porte di Asti. Viaggiava con loro anche uno dei principali fautori dell’opera: Andrea Guglielminetti, sindaco di Torino e presidente della società Satap che aveva realizzato l’autostrada. Fu lui a tenere il discorso al Salera, insieme al direttore generale Enzo Giacchero.

Un cartellone d’epoca celebra i territori attraversati dall’Autostrada dei vini

 

In sala erano presenti il sottosegretario agli Interni Pier Luigi Romita – eletto per il PSDI proprio nel collegio Asti-Alessandria-Cuneo – i deputati astigiani Giovanni Giraudi e Giuseppe Miroglio, l’onorevole torinese Terenzio Magliano, i prefetti di Torino e di Asti, i presidenti delle Province del Piemonte, sindaci, rappresentanti del mondo industriale.
Davanti a loro, Guglielminetti e Giacchero potevano dirsi soddisfatti, visto il traguardo
raggiunto dopo anni di difficoltà. Ma c’era da rispondere all’interrogativo che si ponevano tutti: quando sarebbe stata completata la A21?

Lo svincolo di Asti Est da cui erano usciti quella mattina infatti era anche il punto dove terminava l’autostrada. La Torino – Piacenza, il giorno dell’inaugurazione, era in realtà una ben più modesta Santena- Asti Est. Non esisteva la tangenziale di Torino, per cui l’imbocco si raggiungeva in strada statale. Il casello di Villanova era già operativo e da lì ad Asti era richiesto il pedaggio, che variava a seconda della potenza dell’auto: una Cinquecento pagava 150 lire, una Fiat 1100 arrivava a 250 lire per percorrere l’intero tratto. Per arrivare ad Alessandria e Piacenza, si era costretti a tornare sulla statale. I vertici della società Satap ribadirono anche in quell’occasione al Salera la loro previsione: entro il 1969 sarebbe stato completato l’intero percorso. L’attenzione dell’opinione pubblica era su di loro, in particolare i quotidiani chiedevano conto  periodicamente dei progressi.

Vercelli e Novara volevano un tracciato più a nord, fu scelto quello che intercettava il maggior volume di traffico

 

Si era discusso molto sul tracciato. A fine anni Cinquanta la Provincia di Torino con il suo presidente Giuseppe Grosso promosse l’idea di un collegamento tra il Piemonte e l’Autostrada del Sole. I lavori per quest’ultima erano stati appena avviati e a fine 1958 il nastro d’asfalto collegava già Milano e Piacenza. La A1 era una promessa di sviluppo per l’Italia del boom economico.

La regione della Fiat non solo non poteva lasciarsi sfuggire l’opportunità, ma la sua
posizione di confine le consentiva anche di diventare porta per l’Europa. Gli scavi
per il traforo del Monte Bianco e del Gran San Bernardo erano già avviati, e si progettava di collegare la Valsusa con la Francia, facendo correre un’autostrada a fianco  del tunnel ferroviario del Frejus. Ma il Piemonte è vasto: dove attraversarlo per arrivare fino a Piacenza? Prima di decidere il tracciato definitivo, furono prese in considerazione diverse soluzioni, caldeggiate dalle province che speravano di essere toccate dalla nuova via di comunicazione. In una sorta di sindrome Nimby al contrario, Vercelli, Novara e Biella avanzarono la richiesta di un percorso a Nord del fiume Po. Cuneese, Astigiano e Alessandrino chiedevano invece di spostarlo più a sud. E c’era chi lo avrebbe voluto anche a sud del Tanaro. Ci fu chi evocò l’antica Via Fulvia, strada romana che fin dal II secolo avanti Cristo collegava Derthona, l’attuale Tortona, con Augusta Taurinorum, passando per Hasta.

Nel 1955 ogni giorno 6.000 veicoli attraversavano Asti

A dirimere la questione, lo studio condotto dal progettista Vittorio Zignoli. I costi per realizzare l’opera non si sarebbero discostati molto: a nord sarebbero stati necessari ponti per superare canali e corsi d’acqua, a sud viadotti per scavalcare le valli tra le colline. Furono altre le considerazioni che suggerirono di preferire la direttrice attuale. Intanto una distribuzione più organica delle autostrade in Pianura Padana – la Torino-Milano esisteva dal 1927 e stava per essere raddoppiata – e poi per il volume di traffico potenziale. Sulla Chivasso-Casale transitavano nel 1955 soltanto 1.800 auto al giorno, mentre erano ben 6.000 tra Torino, Asti e Alessandria i mezzi che percorrevano la Statale 10. La speranza degli astigiani era che l’autostrada avrebbe spostato fuori dall’abitato soprattutto il transito dei mezzi pesanti. Il traffico di attraversamento passava nel bel mezzo della città per corso Alessandria, corso Galileo Ferraris, corso Einaudi, piazza Marconi, poi da lì verso corso Torino. Camion e articolati provocavano spesso incidenti e ingorghi, oltre a rendere l’aria irrespirabile.

Un tratto della A21 in costruzione. L’autostrada ridusse l’estensione di numerosi terreni agricoli, innescando le proteste del mondo contadino

 

Il 10 febbraio 1959, dopo due ore di discussione, l’Assemblea delle province piemontesi presieduta da Giuseppe Grosso decretò «che il tracciato dell’autostrada Torino-Piacenza per Asti-Alessandria è quello che maggiormente soddisfa le varie esigenze». A rappresentare le istanze dell’Astigiano, all’assemblea era presente il democristiano Norberto Saracco, presidente della Provincia dal 1951 al 1960.

Nel 1960 nacque la società Satap a capitale misto pubblico privato. Asti cambiò il piano regolatore che non prevedeva la A21

 

Non si perse tempo. Nella primavera del ‘59 la Provincia di Torino noleggiò un bimotore dotato di macchine fotografiche per rilevare tutti i 160 chilometri del tracciato. In questo modo i progettisti avrebbero potuto conoscere la posizione di case, strade, ferrovie, corsi d’acqua e anche filari di alberi, senza attendere i quindici – sedici mesi necessari per il tradizionale lavoro “di campagna”, che prevedeva l’impiego di numeroso personale direttamente sui luoghi del futuro cantiere.
Per la costruzione e l’esercizio della nuova autostrada, nel luglio del 1960 nacque la società Satap. Soci fondatori erano la Provincia e il Comune di Torino, l’Istituto Bancario San Paolo, la Cassa di Risparmio di Torino e la Fiat. Dominava un certo ottimismo sui tempi di realizzazione dell’opera: si pensava che le prime auto avrebbero iniziato a sfrecciare sull’autostrada già nel 1962. In realtà, l’iter si rivelò tortuoso come una strada di montagna. L’Anas impiegò tre anni e mezzo solo per approvare il progetto esecutivo. Restavano molte questioni ancora da definire. Ad esempio, il tracciato nei pressi di Asti: l’autostrada l’avrebbe passata a nord verso Viatosto, o a sud verso il Tanaro? L’ultimo piano regolatore della città era stato approvato nel febbraio del 1959 e non prevedeva la Torino-Piacenza, tanto che sui terreni verso Viatosto era previsto lo sviluppo di aree residenziali.
Nel 1962 fu necessario rimettere mano ai mappali, perché ormai era stato deciso che la A21 avrebbe superato Asti a nord. Il Comune stabilì a marzo un nuovo piano che prevedeva una serie di opere accessorie all’autostrada, oltre auna riorganizzazione di  alcuni servizi. In particolare, sarebbero state realizzate una circonvallazione tra la città e l’autostrada, e una a sud con un ponte per superare la ferrovia in zona San Rocco. L’eredità di quella fase sono l’ampliamento di strada Fortino, la viabilità intorno allo stadio, dove sorgeva anche il nuovo hotel Salera, e il cavalcavia Giolitti che instradava il traffico verso il sud della provincia, passando percorso Savona. Definito finalmente il percorso, occorreva stanziare i fondi necessari. Il costo dell’opera previsto originariamente era di 54 miliardi di lire, finanziamento che il governo fece rientrare nei provvedimenti anticongiunturali del 1964. Per mettere ordine nelle spinte campanilistiche che volevano estendere la rete autostradale in ogni zona, il Parlamento aveva deciso di bloccare la costruzione di nuove autostrade, in attesa di una programmazione organica e di un piano per potenziare le altre vie di comunicazione, soprattutto ferroviarie.
L’apertura del tratto Santena-Asti Est faceva notizia sul quotidiano Stampa Sera del 31 dicembre 1968. Su quattro colonne la foto del viadotto di Dusino

 

Inoltre persisteva una certa ostilità nei confronti di opere così imponenti e costose. In molti, ancora nei primi anni Sessanta, preconizzavano “autostrade belle quanto deserte”.

C’è una data ufficiale per la posa della prima pietra: 30 giugno 1964, sul tratto Santena – Villanova. La A21 può essere raccontata per numeri, ma forse l’aspetto più suggestivo della fase di costruzione fu il suo impatto sociale. Come accadde per le altre autostrade italiane, l’opera era stata suddivisa in tanti piccoli cantieri, subappaltati a ditte che raramente erano del posto. Operai e capocantiere si trasferivano in loco, seguivano il tracciato e nel tempo costituivano piccole comunità. Negli anni Sessanta tutta l’Italia interessata dall’espansione della rete autostradale conobbe questo fenomeno. Emblematiche del periodo le tante cartoline che ritraggono cantieri e campanili, piloni e colline. Molti paesaggi, rimasti essenzialmente agricoli, conoscevano per la prima volta il contrasto con le nette linee industriali dei viadotti.
In questo rimescolamento di forme e persone, i sacerdoti andavano a dire messa nei cantieri, nascevano amori e amicizie, evolvevano storie imprenditoriali. Le aziende che si erano trasferite temporaneamente finivano per restare sul territorio, una volta completata l’opera. Rischiò di passare in secondo piano un’altra questione sociale. Le proteste degli agricoltori per gli espropri dei loro terreni non si spensero nemmeno
quando la A21 era ormai operativa. Furono ovviamente previsti indennizzi, ma in alcuni casi la liquidazione giunse in ritardo portando gli animi a scaldarsi.
L’autostrada in molti tratti corre ancora oggi in rilevato: impossibile oltrepassarla, se non con viadotti o sottopassi. E non sempre era possibile incanalare l’acqua per l’irrigazione. Le proprietà più piccole tagliate dalla grande via di comunicazione finivano di fatto cancellate, portando alle manifestazioni da parte degli agricoltori. Quando il 30 dicembre 1968 le autorità fecero il viaggio inaugurale sulla A21, i contadini a bordo autostrada mostravano cartelli con su scritto “State passando su terreni da pagare”. La manifestazione si risolse senza ulteriori clamori, segno di un mondo che si rassegnava a ciò che era definita la modernità.   

Il 30 giugno 1964 era stata posata la prima pietra della Santena-Villanova

Una delle nuove necessità era quella di controllare il traffico: a questo scopo, a
Baldichieri, che aveva anche chiesto un casello, fu predisposta una caserma per il reparto della polizia stradale incaricato di sorveglianza e interventi sulla Torino
Piacenza: 14 uomini al comando di un sottoufficiale, un parco mezzi dotato di tre Alfa Romeo Giulia e sei motociclette. Già dopo i primi giorni di esercizio, i giornali astigiani tentarono una valutazione dei benefici portati dall’autostrada. “La Torino-Piacenza riduce il traffico pesante nel centro urbano”, sosteneva La Nuova Provincia l’8 gennaio. Il quotidiano Stampa Sera dedicò all’arteria una pagina che pareva guardare al turismo fuoriporta, intitolata “Ad Asti in 30 minuti”.
Con l’arrivo dell’autostrada ad Asti-Est, solo 39 chilometri dei 160 previsti dell’intera A21 erano in funzione. Si lavorava tra Voghera e Piacenza, tratto che entrò in funzione a Pasqua 1969. Sui restanti 58 chilometri tra Asti Est e Pontecurone, vicino a Voghera, i progettisti avevano dovuto fare miracoli per superare il fiume Bormida a est di Alessandria. Si temeva che le sue acque fossero talmente inquinate dall’Acna di Cengio, al punto che i piloni in cemento armato avrebbero potuto finire per corrodersi e crollare. Si rese necessario scavalcare il fiume con un’unica campata di cento metri, che costò mezzo miliardo in più di quanto preventivato. Con il completamento di quest’ultimo tratto, fu programmata l’inaugurazione per il 15 dicembre del 1969. Una celebrazione che avvenne in un’atmosfera cupa, con le bandiere a mezz’asta e poco clamore. Pochi giorni prima, una bomba aveva ucciso 17 persone in piazza Fontana a Milano.
La strategia della tensione avrebbe attanagliato l’Italia ancora per anni. Sul fronte autostradale, molto restava da fare. La A21 era ancora un collegamento privo di un ingresso veloce verso Torino. Da Santena in avanti, le auto formavano code a singhiozzo che attraversavano  Moncalieri e si riversavano poi in corso Unità d’Italia. Occorreva una soluzione in tempi rapidi, e il Salone dell’Auto di Torino del 1971 rappresentava l’occasione per accogliere i visitatori attraverso un nuovo accesso.

Nel 1971 il salto del fiume Bormida e la tangenziale per entrare a Torino. La A21 completata nel maggio 1972

 

L’arteria in prossimità di Asti Est. La città entrò a far parte della rete autostradale con due caselli e due autogrill nel tratto astigiano

 

A novembre fu inaugurata la Tangenziale Sud che finalmente collegava la A21 con
Moncalieri; nell’estate successiva, aprì al traffico il viadotto di Moncalieri. La Torino-Piacenza poté dirsi conclusa soltanto il 31 maggio 1972, quando fu allacciata alla Autostrada del Sole, dopo essere stata collegata anche alla A7 Milano-Genova. Nel tratto astigiano furono realizzati anche due autogrill, a Villanova e in località Crocetta di Castello d’Annone.

I costi erano lievitati a 72 miliardi in corso d’opera, per diventare poi 130 anche a causa dell’inflazione galoppante. Le previsioni di traffico furono confermate già nel 1978, quando la Torino-Piacenza toccò i 12.000 veicoli al giorno previsti come punta massima in fase di progetto. Oggi il volume è stimabile intorno ai 30.000 veicoli al giorno, il 20% dei quali sono mezzi pesanti. I numeri aiutano a valutare anche l’impatto
che l’arrivo dell’autostrada ha avuto su Asti. Battezzata fin dall’inizio “Autostrada dei vini” – perché attraversa i territori viticoli piemontesi e dell’Oltrepo pavese – fu vista fin dall’inizio come un’infrastruttura che avrebbe potuto dare impulso al settore. Ma non si andò mai oltre a qualche cartellone con l’indicazione dei vini tipici di ogni tratto. Sono recenti i progetti, mai decollati, di realizzare un super autogrill “Porta del Monferrato”, sfruttando la posizione di Asti Est anche come collegamento verso l’Albese e le Langhe.

La Provincia di Asti ha ceduto nel 1998 le quote della Satap

 

Negli anni immediatamente successivi all’apertura dell’autostrada, la popolazione
residente di Asti è salita arrivando nel 1971 a 76.151 abitanti e toccando gli 80 mila negli Anni Ottanta. Era il decennio in cui la Way Assauto arrivava da sola a dare lavoro a 2.500 persone, innegabile il contributo offerto in questo senso dal collegamento diretto tra la fabbrica che produceva ammortizzatori e la Fiat di Torino che li installava. Anche l’Ib Mei, con altre fabbriche più piccole, era sorta lungo il tragitto a poche centinaia di metri dal casello Ast Est. La crisi industriale degli anni successivi ha trasformato quei capannoni in tristi spazi vuoti, illuminati dalle insegne dei centri commerciali. Una traccia indelebile è rimasta nell’impianto urbanistico. Esaurite le spinte edilizie degli anni Sessanta e Settanta, l’autostrada ha fatto da argine all’espansione verso nord della città anche se non sono mancati insediamenti di villette a schiera a poche decine di metri dalle corsie di traffico.

Sicuramente impattante per chi si affaccia dalla terrazza della chiesa di Viatosto, la
Torino-Piacenza è ancora oggi il confine tra i condomini e la campagna. Esaurito il ruolo di promozione dell’opera, Satap cambiò assetto restando concessionaria della A21. Le quote furono progressivamente cedute ai privati negli anni Novanta. Ancora nel 1998 la
Provincia di Asti era proprietaria di 12.000 azioni di Satap (0,80% del capitale), poi
cedute per fare cassa. Oggi la società è controllata al 99% da Sias, holding privata
che a sua volta fa capo al gruppo Gavio, la stessa società che ha costruito la A33 Asti-Cuneo. Mancano però 9 chilometri per chiudere il collegamento e resta il nodo del tracciato tra Alba e Cherasco. Ma agli astigiani, che ora arrivano comodamente ad Alba in un quarto d’ora d’autostrada, interessa soprattutto che venga mantenuto l’accordo siglato a suo tempo: entrare e uscire gratis dallo svincolo di Castagnole Lanze.

 

 

 

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Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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