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L’ultimo acuto del tenore Gamba tra le macerie del terremoto di Messina

Una carriera in crescita spezzata nel 1908 dalla tragica fatalità. La leggenda vuole che sia morto cantando un brano dall’Aida

Sarebbe diventato uno dei maggiori tenori del suo tempo se un destino crudele non ne avesse infranto i sogni. Morì, con moglie e figli, nel terremoto che all’alba del 28 dicembre 1908 rase al suolo Messina e Reggio Calabria.

Angelo Michele Gamba era nato ad Asti il 7 gennaio 1872, nella casa di Tommaso Berto, in Valle San Pietro, sulle colline che danno sull’attuale corso Alba1. Era il secondogenito di una folta nidiata. I genitori, Giovanni e Carlotta Vada, agricoltori analfabeti, lavoravano sodo per mantenere una famiglia di otto persone. Appena ne ebbe le forze anche Angelo si cercò un’occupazione. Imparò il mestiere di calzolaio.

Tuttavia, la scintilla del canto era già scoccata in lui e con essa la speranza di diventare un giorno un grande tenore. Ci sono poche notizie sulla vita ad Asti del giovane Angelo, ma sappiamo che si iscrisse all’Istituto di Musica di Asti, seguendo le lezioni di Francesco Paolo Porzio e di Carlo Matteo Rissone. Rivelò subito spiccate doti naturali, tanto che, a conclusione dell’anno scolastico ’93-’94, si esibì nella «Siciliana» dalla Cavalleria rusticana2.

A 22 anni, il 3 agosto 1896, a Castana (Pavia), sposò Maria Ernesta Angela Vercesi, una cucitrice. L’archivio storico del piccolo comune pavese conserva l’atto di matrimonio e lo sposo risulta di mestiere calzolaio. Nel febbraio successivo prese la residenza a Milano. Il trasferimento nel capoluogo lombardo fu allietato dalla nascita di due figli, Fanny, che vivrà soltanto due anni, e Armando, morto nel terremoto di Messina.

Con determinazione alfieriana si impose di cantare. «Venni a Milano – raccontò – privo di ogni mezzo di sussistenza, fidando soltanto nel mio mestiere. Soffersi molto. Pur tuttavia cercai ogni mezzo di abbracciare la carriera Teatrale Lirica, sentendo di possedere i mezzi necessari per riuscire. Come fare? Mezzi di studiare non ne avevo certamente. Dovevo lavorare giorno e notte, ed impegnarmi in tante cose per mantenere la mia famiglia» raccontò in una breve testimonianza pubblicata sull’Annuario d’Asti del 1907, quando era già considerato una gloria cittadina3.

A Milano le cose cambiano grazie a un vicino di casa, il basso Leopoldo Cromberg, che ne ascoltò la voce e lo presentò a uno dei più rinomati insegnanti dell’epoca, il tenore Ranieri Baragli. Un anno di lezioni lo trasformarono in un tenore di forza, la cui principale prerogativa era la sfolgorante compattezza dei suoni che risuonavano portentosi anche nel settore acuto. Sino al do, scagliato come un dardo fiammeggiante. Il centro della voce, invece, ricordava la grana di Francesco Tamagno e Antonio Aramburo4.

Cantava con facilità, senza risparmiarsi. Anche più esibizioni in pochi giorni parevano non affaticarlo. Nel Trovatore replicava regolarmente «Di quella pira». Ma anche in altre opere, se veniva applaudito, bissava la romanza principale. Come fraseggiatore non era inappuntabile, ma in scena sapeva guadagnarsi il favore del pubblico. Finalmente il debutto nel ‘99 a Legnago con Ernani e Trovatore. Successo.

Il primo ingaggio importante lo ottenne al Municipale di Piacenza, come Alfredo nella Traviata. Piacque, anzitutto, nella «scena della borsa», il momento più stentoreo dell’opera. Il Cittadino gli dedicò un compiaciuto trafiletto, annoverandolo tra le glorie liriche astigiane5. Non aveva ancora trent’anni e stava finalmente emergendo. Inaugurò il nuovo secolo figurando nella prima assoluta de Le vittime di Ettore Lucatello al Rossini di Venezia.

Il felice debutto nel 1899. Il Cittadino se ne compiace. «Siamo terra di barbera e di tenori»

La soprano Paola Koralek si esibì con Gamba a Messina e si salvò

 

Sostenne alcune recite di Ebreo di Apolloni a Ferrara e a Rovigo; quindi si unì alla compagnia Castellano che furoreggiava in Russia. Toccò tutte le principali città, da Minsk a Kiev, da Odessa a San Pietroburgo con il repertorio classico italiano e francese. Nel 1903, dopo un’esperienza burrascosa a Malta che finì in tribunale – le ragioni di Gamba prevalsero su quelle dell’impresa del teatro6 – si imbarcò per il Sud America. A Montevideo, San Paolo e Rio de Janeiro propose i suoi cavalli di battaglia: Ernani, Trovatore e Aida, a cui aggiunse Il Guarany del compositore brasiliano Antônio Carlos Gomes.

Nel 1905 espugna la Scala e canta al Covent Garden alternandosi a Caruso

L’anno più importante della sua carriera è il 1905, quando infilò una “doppietta” sensazionale, alla Scala e al Covent Garden di Londra. A Milano sostenne un’audizione con il direttore Cleofonte Campanini.

Ne uscì vittorioso, sbaragliando la concorrenza di altri venti tenori. Così, quando il tenore Emilio De Marchi accusò un’indisposizione nell’Aida, lo sostituì au pied levé nella centesima rappresentazione alla Scala del capolavoro verdiano.

Ad affiancarlo, il soprano Celestina Boninsegna e il baritono Riccardo Stracciari. «L’ottimo successo del Gamba – annotò un commentatore – ha grandemente giovato alla carriera dell’egregio cantante, ponendolo tra i tenori più reputati»7. Il successo scaligero gli spalancò le porte del Covent Garden, ove si alternò a Enrico Caruso nell’Aida.

Fu un Radames efficace che diede prova di notevole resistenza nella frase «Sacerdote, io resto a te»8. I successi ottenuti lo portarono a vantaggiose scritture a Tiflis, in Russia , ma dovette interrompere le esibizioni a causa dei primi moti rivoluzionari che percorrevano la terra degli Zar9. Nel 1906 si concesse un ritorno nella sua città per un concerto di beneficenza che tenne all’Alfieri.

È probabile che a teatro ci fosse tutta la sua numerosa famiglia, orgogliosa di quel figlio di contadini di Valle San Pietro, che stata vivendo da protagonista la Belle Époque nei teatri di mezza Europa. Certamente, ci furono tanti astigiani. «Questo concerto era dalla nostra popolazione atteso con impaziente desiderio – osservò il «Cittadino» – poiché tutti agognavano di udire il nostro caro Gamba. Ed infatti teatro più imponente per affluenza di spettatori e di leggiadre spettatrici in ricche toelette non si vide mai»10.

Gli affidarono anche il lancio di nuove opere: tenne a battesimo Aben di Lopez al Lirico di Milano e Velda di Cassone al Vittorio Emanuele di Torino. Nel 1907 si produsse al Petruzzelli di Bari in Ballo in maschera, Siberia e Jana del compositore pugliese Renato Virgilio. Raggiunse Lecce; quindi risalì a Perugia per una Carmen al Morlacchi. I primi mesi del 1908 li trascorse al Cairo, dove affrontò anche l’Otello. La penultima tappa fu allo Storchi di Modena con l’Ernani. Il destino si stava compiendo.

A dicembre raggiunse Messina per l’Aida al teatro Vittorio Emanuele. Portò con sé moglie e figli per trascorrere con loro le festività di fine anno. Il 16 il teatro aprì i battenti con un’edizione di Madama Butterfly. Il 22 fu la volta di Aida, diretta dal maestro Franco Paoloantonio. Con Gamba si esibirono il soprano ungherese Paola Koralek, il mezzosoprano Flora Perini, il baritono Aristide Anceschi e il basso Giuseppe Quinzi-Tapergi. Fu un’edizione di notevole successo. Particolarmente festeggiata fu la Koralek, artista di chiara fama, per la prima volta alle prese con il personaggio della schiava etiope. Il suo debutto fu salutato da acclamazioni. La si giudicò protagonista impareggiabile11.

Anche il Radames Gamba ottenne pieni consensi. Entusiasmò nell’aria di sortita «Celeste Aida», nei duetti con Amneris e nel finale dell’opera. Cantò con sorprendente naturalezza, senza denunciare il minimo affaticamento. Spirata l’ultima nota, sembrava pronto a ricominciare.

 

Il ritaglio del Cittadino del 22 novembre 1899 che riporta la notizia del successo di Gamba a Piacenza chiosando: “Asti è la terra del barbera e dei tenori”

 

Un’immagine del terremoto di Messina

80.000 morti e i soccorsi in ritardo

La sera prima del disastro andò in scena la recita festiva a prezzi ridotti. Lo spettacolo iniziò alle 20 e fu un trionfo. Il pubblico non smetteva di applaudire. Terminata l’esibizione si riversò davanti al teatro, formando capannelli che non si sciolsero se non a tarda sera. Molti artisti cenarono assieme; quindi, si ritirarono nei rispettivi alloggi. Gamba stava all’«Europa»; la Koralek al «Trinacria».

Il terremoto li colse nel sonno. Alle 5,20, per trenta interminabili secondi, la terra tremò con una forza impressionante. Quasi tutti gli edifici crollarono. La gente, che per la gran parte si trovava a letto, rimase intrappolata sotto le macerie. Più di 80000 persone perirono12. Fu una tragedia immane, un’apocalisse che indusse il sismologo Mercalli ad aggiungere alla propria scala, che allora contemplava dieci gradi, un undicesimo livello, corrispondente alla “scossa catastrofica”. L’epicentro del sisma fu nel mezzo dello Stretto. Ciò fece sì che le scosse telluriche fossero seguite, a distanza di pochi minuti, da tre ondate di maremoto che investirono la parte litoranea.

Nella zona del porto molti edifici vennero spazzati via. Frane e smottamenti interruppero i collegamenti ferroviari. Anche i telegrafi, le cui linee correvano parallele ai binari, tacquero. Reggio e Messina rimasero isolate, proprio nelle ore in cui si sarebbero potute salvare più vite. L’azzeramento delle comunicazioni, infatti, fu fra le principali cause per cui i soccorsi risultarono inefficaci e tardivi.

Solo alle 14,27, la torpediniera «Spica», che al momento del sisma si trovava nel porto di Messina, riuscì a trovare una postazione telegrafica funzionante a Nicotera, sulla costa tirrenica della Calabria, e a inviare un messaggio a Roma in cui si comunicava che Messina era stata distrutta. Il messaggio giunse sulla scrivania di Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, alle 17,30. In verità, altri allertamenti era giunti a Roma nelle ore precedenti, ma non vennero considerati perché ritenuti frutto di eccessiva enfasi. Quando la lenta macchina dei soccorsi si mise finalmente in moto si rincorsero per giorni e giorni le voci più disparate sull’identità e il numero delle vittime.

Alcuni scampati alla sciagura vennero creduti morti, come lo storico Gaetano Salvemini, che insegnava all’Università di Messina, per il quale il «Corriere della sera» titolò «La morte del Prof. Salvemini e il rimpianto di un collega», riportando il commosso ricordo del professor Giuseppe Ricchieri13. Altri, che viceversa erano morti, si ritenne che fossero vivi.
Fu così anche per Angelo Gamba. «Tutti i ricoverati sul “Piemonte” sono stati creduti perduti annunciò «La gazzetta del popolo» del 1° gennaio 1909 – tra essi vi è il tenore Gamba e il baritono Anceschi, che si dicevano morti»14.

La notizia rimbalzò sul «Cittadino»15, alimentando le speranze degli astigiani. Tuttavia, nessuna conferma giunse nei giorni seguenti. Al momento del sisma l’incrociatore «Piemonte» si trovava nel porto di Messina. Fu destinato ad accogliere i feriti, fra cui il soprano Paola Koralek. Fu lei a raccontare la morte del suo Radames. «Mentre, presa dal raccapriccio, guardavo giù nel vuoto orrido, soffocata dalla polvere, sentii che anch’io sprofondavo. Potei accorgermi che non mi trovavo più al terzo piano, bensì al secondo. Allora l’istinto di salvezza divenne prepotente; chiusi gli occhi e mi lanciai nel vuoto. Quando toccai terra mi trovai le braccia spezzate. Mi sollevai con la forza della disperazione, spinsi coi piedi i massi che mi ostacolavano. Li scavalcai, giunsi all’aperto di corsa, tagliando la densa nube di polvere che non lasciava nulla vedere […] Anche l’Hotel Europa è distrutto. Vi ha perduto la vita il tenore Gamba, che vi si trovava alloggiato con tutta la famiglia16».

l’ingresso del Teatro Vittorio Emanuele, la cui facciata rimase intatta con il manifesto della Aida rappresentata la sera prima del sisma

 

Il manifesto che annunciava l’opera rimase sulla facciata del teatro che fu tra i pochi edifici di Messina a resistere al terremoto. Pare che Gamba estratto vivo dalle macerie dell’hotel sia spirato due ore dopo. Qualcuno giurò di averlo udito intonare «O terra addio» dall’Aida. Incredibile coincidenza, Radames nell’opera verdiana muore sepolto nel tempio di Vulcano17. Una finale epico e immaginifico. In quella situazione Gamba ben difficilmente avrà avuto voglia di cantare. Tutt’al più avrà invocato aiuto, stagliandosi dal coro delle flebili voci che si levavano dalle rovine.

Ma se è vero, come scrive Giorgio Boatti, che «il terremoto è un poderoso creatore di storie, un acceleratore dell’affabulazione e dell’invenzione18», è anche vero che questo epilogo tragico esercita un certo fascino e ci consegna l’immagine di un artista che abbandona la scena del mondo in un alone leggendario. Non si hanno notizie di incisioni, a quei tempi ancora pionieristiche, che possano restituirci scampoli della sua potente voce. Gamba non ha lasciato discendenti diretti. I figli (e la moglie) sono spirati con lui. Non si sa neppure dove sia stato sepolto.

A custodirne la memoria è oggi ad Asti Marco Raviola, la cui bisnonna, Barbara Vada, fu sorella di Carlotta, la madre del tenore. Ad Asti non gli è stata dedicata una via, giacché esiste già una via Gamba, intitolata al cardinale Giuseppe, e secondo le norme vigenti non ve ne possono essere altre con lo stesso cognome.
Ciononostante, sarebbe opportuno che qualche spazio (magari al Teatro Alfieri o qualche altra sala) gli fosse dedicata, perché, fuor di dubbio, Angelo Gamba è stato il più importante tenore astigiano di sempre19.

Note

1 Sulla biografia del tenore cfr. F. Poggi, All’ombra dell’Alfieri, Asti, 1998, p. 219 s.; V.
Malfatto, Asti, Testimonianze di mezzo secolo, Cuneo, 1981, p. 63; G. Berutto, I
cantanti piemontesi, Dagli albori del melodramma ai giorni nostri, Torino, 1972, p. 133
2 Cfr. Poggi, All’ombra dell’Alfieri, cit., p. 87, nota 100
3 Cfr. Annuario d’Asti, Asti, 1907
4 È questa l’impressione che ricavò il commentatore de L’Italia del Plata all’esito di un
Trovatore a Montevideo nel 1903. La notizia è riportata su Il Cittadino, periodico
politico-commerciale del circondario d’Asti, 2 settembre 1903
5 Cfr. Libertà, 19 novembre 1899
6 Cfr. Rivista teatrale melodrammatica, 15 giugno 1903
7 Cfr. Rivista teatrale melodrammatica, 6 febbraio 1905
8 Cfr. Rivista teatrale melodrammatica, 23 giugno 1905
9 Cfr. Rivista teatrale melodrammatica, 16 novembre 1905
10 Cfr. Il Cittadino, periodico politico-commerciale del circondario d’Asti, 13 giugno 1906
11 Cfr. L’arte melodrammatica, 1 gennaio 1909
12 Un rapporto del 1909 per conto del Ministero degli Esteri britannico ipotizzò un bilancio
di 130000 vittime. Oggi gli storici tendono a ritenere più attendibile un numero compreso
fra le 80000 e le 100000 vittime. Cfr., sul punto, J. Dickie, Una catastrofe patriottica, 1908:
il terremoto di Messina, Bari, 2008, p. 6
13 Cfr. Corriere della sera, 2 gennaio 1909
14 Cfr. Gazzetta del Popolo, 1 gennaio 1909
15 Cfr. Il Cittadino, periodico politico-commerciale del circondario d’Asti, 3 gennaio 1909
16 Cfr. Corriere della sera, 31 dicembre 1908
17 Cfr. Gazzetta del Sud, 28 dicembre 2008
18 Cfr. G. Boatti, La terra trema, Milano, 2004, p. 130
19 Si ringrazia per la preziosa collaborazione il dott. Renzo Remotti con il personale dell’Archivio di Stato e la Sig.ra Giuliana Mongero del Comune di Asti

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