La citazione tratta da La luna e i falò di Cesare Pavese è celebre: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei, resta ad aspettarti».
Il filosofo Mario Perniola era arrivato a una conclusione diversa: «Abitare non vuol dire affatto essere a casa propria. Abitare vuol dire essere con i luoghi in un rapporto che non è soltanto di vicinanza, ma parimenti di lontananza: la vicinanza conserva, non sopprime, la lontananza». Così scrisse nel suo più famoso trattato Transiti: come si va dallo stesso allo stesso, dato alle stampe da Cappelli Editore a Bologna nel 1985.
Mario Perniola è scomparso a Roma il 9 gennaio scorso, all’età di 76 anni. Nei servizi che le pagine culturali di molti giornali gli hanno dedicato è stato definito “intellettuale di spicco del panorama culturale mondiale”. Molti hanno ricordato che Perniola era nato ad Asti il 20 maggio 1941.
Ad Asti aveva trascorso l’infanzia, nel periodo angoscioso della guerra, in compagnia dei nonni che furono i punti di riferimento essenziali dei suoi primi anni. Il piccolo Mario ha un rapporto intenso e privilegiato con il nonno materno Silvio de Carlo, allora direttore della filiale della Banca d’Italia di Asti. La sua giovinezza si alterna tra la casa in via Pietro Micca, dove era nato, e quella di corso Dante, tutt’ora abitata dalla sorella, Rosangela Perniola, detta Angì.
I ricordi astigiani sono sempre rimasti vividi nella memoria di Mario, come racconta la figlia Ivelise, che abita a Roma: «A casa ci parlava spesso di alcuni luoghi di Asti che gli erano rimasti nella memoria. Ricordava le gite al Tanaro con la bicicletta oppure le lunghe passeggiate fino alla chiesetta di Viatosto».
Teorico del concetto di «transito». Sepolto a Nemi con un singolare epitaffio
La serenità del piccolo Mario si incrinò all’età di undici anni con la morte del nonno al quale era legatissimo. I genitori erano spesso lontani. Il padre Nicola era direttore della farmacia dell’Ospedale di Alessandria, la madre, Olimpia, era diplomata maestra, senza aver mai esercitato la professione. Forse si svilupparono in quel periodo le prime radici del concetto di “transito”, di questa parola tanto cara alla sua successiva ricerca filosofica: il sentirsi costantemente in bilico, straniero in terra straniera.
Nei primi anni Cinquanta frequenta la scuola media Brofferio e dimostra un’intelligenza acuta e versatile. Crescendo, Asti inizia ad andargli stretta, scomoda, incapace di soddisfare i suoi sogni, la sete di conoscenza. Negli anni Sessanta, il futuro filosofo intraprende il cammino universitario a Torino, sotto l’ala protettrice del professor Luigi Pareyson. È uno studente brillante, frequenta gli ambienti intellettuali e intrattiene rapporti di amicizia con Gianni Vattimo e Umberto Eco. Amicizie che coltiverà per tutta la vita. Ad Asti torna con regolarità e conosce, da studente universitario non ancora laureato, il grande amore della sua vita, Graziella Gaggioli, che frequenta gli stessi ambienti studenteschi. Una relazione che sfocerà anni dopo in matrimonio e porterà alla nascita, il 29 luglio 1975, della piccola Ivelise, quando la coppia sarà già domiciliata a Roma. A Torino Perniola si laurea con il massimo dei voti: 110 e lode e la sua tesi ottiene la dignità di stampa. Uscirà con il titolo Metaromanzo per i tipi dell’editore Silva e avrà l’onore di una recensione nell’ottobre di quell’anno sul Corriere della sera a firma di Eugenio Montale. Dopo la laurea, brucia le tappe e dopo alcuni anni come assistente arriva il primo incarico accademico all’Università di Salerno come docente di Estetica, poi verrà la docenza all’Università di Roma Tor Vergata. «Mio fratello Mario aveva molte patrie di elezione, se così possiamo definirle. Rimaneva l’affinità con Asti, ma in fondo non si sentiva a casa da nessuna parte», ricorda la sorella Angì. La carriera universitaria cresce e il nome di Perniola diventa un punto di riferimento per studenti e studiosi. Tiene corsi e conferenze in Francia, Danimarca, Brasile, Canada, Giappone, Usa e Australia: un lungo peregrinare che non fa altro che alimentare quel senso di sradicamento. «Mio fratello Mario è tornato ancora qualche volta ad Asti. Ci vedevamo, spesso anche a Torino, ma i tempi erano contingentati per via dei suoi impegni internazionali», racconta ancora Angì.
Dieci anni fa una conferenza sul ’68 ospite di Passepartout
L’ultimo e più significativo passaggio nella città natale risale a dieci anni fa. Fu invitato dalla direzione della Biblioteca Astense all’edizione di Passepartout del 2008 e il 14 giugno tenne una conferenza dal titolo «Pensare il ‘’68», insieme allo scrittore francese Pascal Bruckner. Con gli anni Perniola si era stabilito a Roma, ma la frenesia della grande città lo inquietava. Ha trovato così un luogo pacifico e tranquillo dove raccogliere pensieri e memorie: è Nemi, un comune a 30 chilometri dalla Capitale. È un borgo arroccato, che dà sull’omonimo lago, un tempo sacro alla dea Diana. Un luogo magico, con cui il filosofo stabilisce un rapporto di affinità simile a quello della sua Asti giovanile. «A Nemi andava spesso, forse è il luogo a lui più familiare. Infatti, ha voluto esservi sepolto», racconta la figlia Ivelise. Mario Perniola ha deciso anche l’epitaffio che ha voluto così scritto: Neque hic vivus neque illic mortuus. Non qui vivo, non là morto. Poco tempo prima di morire, il filosofo, parlando tra amici – come ha riportato lo scrittore Sergio Benvenuto – disse: «Vorrei essere come quel personaggio che viveva nell’aeroporto di Roissy a Parigi, perché per un intrigo burocratico non gli permettevano di entrare in Francia e nemmeno di ripartire», riferendosi al film The Terminal. Asti, da cui Mario Perniola ha preso il volo, lo saprà ricordare come merita?