Nello studio di Mario Perosino, in viale Pilone, le tele grezze, accostate a terra a macerare erano in attesa. Con minuziosa precisione, l’artista preparava ogni supporto alla “maniera dei maestri antichi”, come nelle botteghe di restauro. Tra gli sguardi severi di Guerrieri loricati e di enigmatiche Dame, Perosino cesellava il suo immaginario quotidiano su grandi fogli preparatori. Senza fretta. Il caotico traffico di piazza I° Maggio pareva svanire. Appena adolescente, Perosino aveva disegnato dal vero ritratti e figure, a matita e pastello, angoli delle campagne astigiane, soggetti sacri a china, con il gioioso consenso del maestro Giuseppe Manzone, ma la sua fantasia trepidava. Dopo l’esordio in Asti nel 1951 al circolo culturale “La Giostra” e la partecipazione ai Premi Alfieri (1959, 1962), durante il servizio militare a Roma, Perosino intuì la sua autentica vocazione fantasiosa e allusiva. Con l’autorevole guida di Corrado Cagli, che lo introdusse nella cerchia culturale romana, espose con successo alla “Galleria 88” e al “Nuovo Carpine” (1968). Il ritorno ad Asti, il repentino mutare dei modelli sociali e dei codici di comunicazione negli anni Settanta alimentarono in Perosino un’amara disillusione, psicologica ed emozionale: «…il dialogo è aperto con figure che non sanno sorridere o per ironia o per disincantamento o per pietà – commentava il critico Dino Carlèsi – e quasi ci parlano con sufficienza faraonica e dignità regale da antiche stagioni ancestrali che Perosino fa rivivere quasi per intenzionale crudeltà, presentandole come beni perduti e irrecuperabili per nostra colpa ed eccesso di cattiveria»
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Nascono così i simboli segreti di quel nuovo mondo, non ancora esplorato: i cicli pittorici I fiori del male, Melanconia, Paesaggio fantastico, Architetture, preziose costruzioni di moduli geometrici e brillanti gamme timbriche. Negli anni Ottanta, sulla tela la realtà diviene allegoria: il ritratto femminile accoglie còlte tipologie cortesi e citazioni iconografiche del Seicento europeo. Il ritratto di Michela è un emblematico esemplare della maturità pittorica di Perosino, unificando l’ideale estetico ed etico delle categorie astratte “bellezza-purezza” con l’allusività (sorriso, sguardo, postura) e l’estraniamento (decorativismo astorico, specchio). Le mostre personali a “La Fornace” (1978, 1983), l’omaggio comunale a Palazzo Mazzetti-Teatro Alfieri nel 1993 e la presenza in collettiva alla Fondazione Guglielminetti (2007) segnarono il commiato di Mario Perosino. La Fondazione Guglielminetti, in collaborazione con la figlia Giordana, gli ha dedicato due omaggi postumi, nel 2009 e l’attuale nel dicembre 2016, riscoprendone tuttora l’inquieta tensione alla conoscenza. È ancora il tempo interiore di Perosino a svelarci la precarietà dell’esistenza e l’attesa per il futuro. La retrospettiva “Mario Perosino. Dipinti”, ordinata alla Fondazione Eugenio Guglielminetti in Palazzo Alfieri, sarà visitabile fino al 31 dicembre 2016 (venerdì, sabato e domenica 16-18).