Questo testo è l’ultimo scritto da Laura Bosia. La rubrica “Scrivono di noi” vuole mettere in luce le testimonianze letterarie dedicate all’Astigiano. Dopo l’esordio con le vendemmie a Passerano di Carlo Fruttero, pubblicato sul primo numero di “Astigiani”, Laura aveva scovato la descrizione di questo sorprendente passaggio del marchese De Sade nel 1795, e ci stava lavorando fino al giorno prima della sua morte. Lo offriamo ai lettori, grazie al lavoro di editing dell’amica Carla Forno, che ha ripreso e correlato il testo lasciando in queste pagine tutto lo spirito e il gusto dello scrivere di Laura.
Difficile oggi immaginare un qualche legame, letterario o storico, fra De Sade e Asti, un punto di contatto fra il “Divin Marchese”, come lo chiamò Baudelaire, e la città, “prodigieusement déchue de son ancienne splendeur”, come ebbe a vederla il 26 luglio 1775, sulla rotta del suo viaggio in Italia, il padre riconosciuto del libertinismo. Fu in quella data che Asti vide aggirarsi fra strade palazzi e chiese Donatien Alphonse François marchese di Sade, per gli estimatori il padre indiscusso dell’erotismo e della perversione del piacere, profeta della psicopatologia sessuale e del sadismo, ispiratore di Freud; per i detrattori pornografo e sordido mostro; per Apollinaire “lo spirito più libero che si sia mai visto”. De Sade trascorse trenta dei suoi settantaquattro anni di vita chiuso in prigioni, fortezze, manicomi, con il discutibile privilegio di essere perseguitato da tutti i regimi: monarchia e Rivoluzione, fino a Napoleone primo console. Fu incarcerato per lustri a Vincennes, alla Bastiglia, a Charenton, a Santa Pelagia, a Bicêtre. Né la monarchia ormai agonizzante, né la Rivoluzione del 1789, né l’impero napoleonico si ricordarono o ebbero compassione di lui, che la critica contemporanea ritiene, pressoché all’unanimità, uno degli scrittori più possenti e originali del suo tormentato secolo. Ma torniamo al suo fugace soggiorno astigiano. Prima delle sue disavventure giudiziarie, come molti rampolli di alta schiatta, tra il XVIII e il XIX secolo, fece del viaggio in Italia un itinerario di formazione e trovò nel Bel paese un luogo di apprendistato per se stesso scrittore e di tirocinio di libertinaggio per il suo personaggio letterario più famoso, Juliette.
Di fatto, fuggì in Italia in due occasioni: nell’estate del 1772, per evitare la prima condanna a morte in contumacia in seguito all’ “affaire de quatre filles Marseilleses” – paucis verbis una complessa orgia – in compagnia dell’innamoratissima cognata Anne- Prospére de Lonnay, canonicchessa non proprio di clausura, che egli presentava quale consorte legittima – e dal giugno del 1775 al giugno ‘76, dopo due anni di latitanza dall’evasione dal carcere di Miolans, in seguito a un nuovo scandalo, il cosiddetto “affaire des petites filles”. Del suo voyage en Italie esistono due accezioni: il viaggio biografico e il resoconto letterario, la trasfigurazione romanzesca del viaggio ne L’histoire de Juliette ou les prospérités du vice, opera che, insieme a Justine ou les malheurs de la vertu, fu causa del suo arresto, il 6 marzo 1801, quale autore di scritti scandalosi. Juliette ripercorre infatti letterariamente le stesse tappe del suo autore: Torino, Asti, Alessandria, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Ancona, Venezia. Dalla lettura del diario di viaggio si apprende che la sua prima importante tappa italiana fu Torino, che egli toccò il 25 luglio, di buon’ora, e dove si trattenne una sola giornata. Forse per la brevità del soggiorno le sue osservazioni sulla città risultano piuttosto scontate e generiche: giudicò Palazzo Reale assez vaste et commode mais de peu d’apparence, gli piacquero i giardini reali, mentre fu sfavorevolmente colpito da Palazzo Carignano. Quanto ai costumi della città, gli parvero improntati à la plus grande sévérité, giudizio che non ci sorprende, se pensiamo che una cinquantina d’anni prima anche Montesquieu non aveva lesinato acide osservazioni sulla nobiltà sabauda.
Ancor più avara di notizie sulla città risulta la descrizione del soggiorno torinese di Juliette (protagonista Due cartoline “licenziose” dell’Ottocento del romanzo citato, impegnata a trarre vantaggio economico da tutte le sue beltà, attraverso una serie di iperboliche – ma gustosissime – avventure torinesi a sfondo pornofilosofico- politico-truffaldino). Dopo Torino dunque, il Divin Marchese, accompagnato dall’ambiguo servitore Carteron, detto La Jeunesse, riprese nel tardo pomeriggio del 25 luglio il viaggio verso Asti. I due, però, poco pratici della topografia locale, superarono la nostra città, o si persero per strade secondarie, e dovettero pernottare in un luogo, a tre leghe da essa, indicato in modo generico: “… zona situata in una piacevolissima campagna, dominata da un bellissimo castello”. Il 26, finalmente, de Sade entrò ad Asti, che non lo entusiasmò, se egli definì la città prodigiosamente decaduta dal suo antico splendore, tanto da non essere “quasi più niente” (la frase ci colpisce identica in Juliette). Nota le mura antiche, di cui segnala lo stato di abbandono; rimarca il fatto che non fosse presente in loco neppure una guarnigione militare; è colpito da alcuni edifici religiosi, ma si dimostra diarista tutt’altro che puntuale. Alla sera del 26 luglio ritroviamo de Sade ad Alessandria, detta “de la paille “, come ricordiamo con piccola soddisfazione, oggi, dall’alto di una consapevole supremazia enogastronomica, pur se obtorto collo pare destinati a ridiventare, “mandrogni” per legge. Quella del luglio 1775 risulta essere l’unica occasione documentata in cui si possa affermare che de Sade abbia soggiornato ad Asti, ma non si può escludere – anzi appare probabile – che altre volte egli abbia avuto la ventura di transitarvi. Gli astigiani non avrebbero potuto riconoscere in quel viaggiatore forestiero, che si aggirava per le vie della città, visitandone un po’ distrattamente i monumenti e – è ben fondata supposizione – con molta più attenzione i non pochi bordelli. Il “Divin Marchese”, cantore ispirato e innocente di meno innocenti perversioni, ne era un assiduo frequentatore. I suoi passi si persero veloci e la sua carrozza presto lasciò la città, come tante altre, fugacemente attraversate.