giovedì 31 Ottobre, 2024
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Memorie a Tavola

I menù raccontano l’appetito dei militari

A lungo l’influenza francese ha dominato in cucina

Conosceremo, dalle cronache cittadine, le portate del “Pranzo cremisi”, il colore dei Bersaglieri, che si terrà presso la palazzina dell’Enofila a conclusione del 62° raduno nazionale dell’Arma. In quanto Astigiani, ci aspettiamo che vengano serviti piatti “nostrani”, se non di stretta tradizione territoriale per lo meno piemontesi. Non era così nei convivi ufficiali di un tempo, come attestano le liste delle vivande, dette anche minute, di fine Ottocento e dei primi decenni del Novecento conservate dai collezionisti. Ancora nel settembre 1936 nella colazione offerta al Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio all’Albergo Reale di Asti si parla il linguaggio di una cucina internazionale, se così si può dire, con crema di pollo e crostini, dentice in bianco salsa maionese, faraone novelle arrosto, cassata alla siciliana e panieri di frutta. L’autarchia e l’esterofilia hanno depurato i francesismi, di cui erano infarciti i nomi dei piatti nei decenni precedenti, ma la sostanza non cambia di molto. Anzi, i menù delle classi più elevate si distinguevano da quelli popolari e ancor più dal rancio delle truppe proprio per la lingua utilizzata, il francese, tanto che, sempre il Reale, esibisce nel maggio 1905 una carta che annovera, tra l’altro, soupe de la Reine, salsa crevettes, pollame trouffé à la Perigord, savarin… Ci si affranca dalla cucina d’oltralpe via via che matura la conoscenza e l’apprezzamento di alcune specificità alimentari nazionali (uno zampino di Modena guernito e certi asparagi alla milanese si affacciano in menù astigiani del 1911) o si radica, mutuata dalla corte sabauda e comunque di ascendenza francese, la finanziera, servita spesso come contorno. Ma si è ancora lontani da una identità territoriale, anche linguistica, tant’è vero che non c’è quasi traccia di agnolotti o altre paste ripiene (il consommé e le pastine in brodo, al massimo con i fegatini, fanno le loro veci), il fritto misto è all’italiana e l’antipasto, quando c’è, è “assortito”, e non meglio identificato. Qualche “allesso”, molto pollame e un poco di cacciagione da piuma. Oltre a carte delle vivande relative a conviti matrimoniali, a ricorrenze, a banchetti d’onore (inaugurazioni, cavalierati), a pranzi di confraternite e società di mutuo soccorso, sono sbucate dai cassetti alcune chicche, che ci riconducono, in qualche misura, ai fanti piumati. Il 18 giugno 1886 in occasione del 50° anniversario della fondazione del corpo dei Bersaglieri, il generale Alessandro Lamarmora venne onorato con la posa di una lapide su palazzo Cisterna di Torino, dove era nato. 

Il menù del Reale del settembre 1936 in onore di Pietro Badoglio

Il pranzo del 1883 della Fratellanza Militari in congedo

 

E dopo, a pranzo in un ristorante lungo il Po. Qui la fantasia bersagliera si era davvero sbizzarrita, intitolando i piatti a eventi memorabili: tra le varie portate, antipasto alla bersagliera, bue braciato (brasato, ndr) ai Cento Cannoni, pesce di mare alla salsa di Crimea, pollo arrosto con insalata alla San Martino. Per contro, una curiosa cartolina postale del 18 giugno 1933 (probabilmente piemontese) con un menù definito “rancio”, elenca in bella grafia il solito antipasto assortito, i tortellini in brodo, il pollo novello allo spiedo, la sella di vitello alla provenzale, spumone e fragole. Un bersagliere stilizzato a gola spiegata chiama i commilitoni, questa volta volta a una festa, con cibi un po’ diversi dal rancio in caserma, o peggio ancora, sui fronti di battaglia. La scoperta più interessante, tuttavia (un grazie a Paolo Monticone e alla famiglia Sacco), riguarda il pranzo tenutosi in Asti il 14 novembre 1883 all’Albergo Reale, in occasione dell’inaugurazione del vessillo sociale della Fratellanza Militari in congedo e riportato da Il Cittadino. Duecento i partecipanti di cui ottanta ufficiali del 2° Reggimento Bersaglieri. La lingua della carta cibaria è l’italiano e, se non mancano gli onnipresenti “antipasto variato”, “capelletti al consommé”, “fritto misto all’italiana” (che solo più tardi diventerà “alla piemontese” o “alla monferrina”), sbucano “tartuffi alla piemontese” e, al dessert, “charlotte al rhum” che stabilisce un legame diretto con la “Carlotta” elaborata dal Vialardi, capocuoco delle cucine di Casa Savoia fino al 1853. Degni di qualche osservazione i vini in abbinamento: con antipasto e brodo un Moscato secco, Grignolino con tutte le portate centrali, Barbera vecchia con i tartufi e, infine, Asti Spumante: un trionfo del territorio. Il Grignolino, tra l’altro, domina nei menù ritrovati, da fine Ottocento fino agli anni Sessanta del secolo scorso, ad accompagnare i piatti di mezzo e, nei menù più popolari, a tutto pasto: vin de soif, poco corposo, leggermente tannico, che pulisce la bocca. Anche quella di Badoglio, che se lo vide servire in caraffa, com’era consuetudine. 

La Ricetta


 

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