giovedì 21 Novembre, 2024
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“Ho vent’anni canto scrivo canzoni e non ho fretta”

Il rapporto con Asti di Chiara Dello Iacovo. Dal tè alla ciliegia al Ligure alla popolarità conquistata al festival di Sanremo
Bella musica e testi mai scontati, un percorso sempre coerente in contesti anche molto diversi tra loro, dalla tv al teatro, Chiara porta sul palco il suo innato talento, accompagnato dalla grande passione per l’arte. Un viaggio partito da Asti, la sua città.

A soli 20 anni Chiara Dello Iacovo ha lasciato il segno sul palco dell’Ariston, facendosi largo sulla nuova scena cantautorale italiana. Bella musica e testi mai scontati, un percorso sempre coerente in contesti anche molto diversi tra loro, dalla tv al teatro, Chiara porta sul palco il suo innato talento, accompagnato dalla grande passione per l’arte. Un viaggio partito da Asti, la sua città. La strada è intrapresa. 

Ad Asti quali sono stati i tuoi primi passi nella musica?

«Ho cominciato in prima elementare e ricordo perfettamente la mia impazienza nel mettere le mani su uno strumento. Da piccola ero decisamente rigida come impostazione, e ricordo che ho aspettato di prendere lezioni prima di cominciare a suonare il pianoforte, sebbene ce l’avessi sempre avuto in casa. Credo aspettassi una sorta di benestare convenzionalizzato, se ci penso adesso mi vien da sorridere, è assurdo che una bambina faccia certi ragionamenti! Meno male che crescendo si è fatta largo la mia matrice diciamo più sovversiva». 

Chiara bambina al mare

 

Sei un’artista che non si ferma semplicemente a guardare, perché hai la grande e rara capacità di “osservare”. Cosa vedi in Asti e qual è il tuo rapporto con la città? Cosa vi lega e cosa vi tiene lontani? Quali sono i “tuoi” luoghi più cari o significativi?

«Sebbene il mio rapporto con Asti sia sempre stato connotato da un dualismo affetto/ritrosia, ho una miriade di luoghi a cui sono molto legata perché ci sono intrappolati “ricordi miliari”. Uno di questi è sicuramente il Caffè Ligure: ci andavo a far merenda con mio padre, in occasioni speciali, e io ordinavo sempre tè caldo rigorosamente alla ciliegia. L’ordinavo solo lì. Mi ricordo quell’atmosfera adulta che percepivo standomene seduta a quel tavolino, quel mondo nebuloso e così distante da me, che mi affascinava. Quella tipica attrazione infantile trainata da un pizzico di timore. Come il Ligure ce ne sarebbero decine di altri, io sono una persona nostalgica. Lo so che ho solo vent’anni, ma se apriamo questo vaso di Pandora non ne usciamo più».

La mia città parla di Asti. Come è nata questa canzone? E come ti chiedi nel testo, cosa ti aspetti dalla tua città?

«Credo che gran parte delle canzoni vengano stimolate da un avvenimento contingente e di importanza relativa. Per quanto riguarda La mia città, l’input è derivato dalla frustrazione di una serata in cui sarei voluta uscire a festeggiare un mio vittorioso ritorno (avevo appena vinto il Tour Music Fest a Roma), ma per una serie di variabili sfavorevoli finii per rimanere a casa con la chitarra in mano. Proprio per questo ovviamente la domanda che apre la canzone è retorica, e incarna quel senso di rassegnazione verso una persona o in questo caso un luogo, verso cui hai smesso di avere aspettative. Tutto questo senso di “non appartenenza” in realtà me lo porto dietro da quando sono tornata dagli Stati Uniti: dopo sei mesi io e Asti eravamo cambiate in modi diversi e non sono più riuscita a farci combaciare».

Il video di Introverso è molto “astigiano”, come è nato? E perché proprio in casa Magopovero?

«L’incontro con Antonio Catalano è stato casuale, anche se questi incroci davvero legati al caso non lo sono mai. Sono approdata nella sua tana dei “Meravigliati” perché in quel periodo più che la location per il video, ero alla ricerca di un luogo che mi facesse sentire al sicuro. Solo in un secondo momento mi è venuto in mente di poter creare una sinergia. Questa è la riconferma che l’arte è solo un prolungamento dell’uomo: può nascere qualcosa di artisticamente vero e pulito, solamente se si parte da un’affinità disinteressata a livello umano».

Chiara Dello Iacovo seconda nella sezione “nuove proposte” all’ultimo Festival di Sanremo

 

Oggi vivi a Torino. Perché questa scelta? Cuore o necessità?

«Se prima dell’esperienza statunitense lasciare la mia città era un’ipotesi papabile, al mio ritorno era una certezza. In realtà inizialmente Torino per me è stata una sorta di ripiego, il mio sogno romantico era quello di trasferirmi a Roma, ma per una serie di motivi pratici ho ritenuto che per il momento sarebbe stata una scelta irrazionale e prematura. Ho scoperto che Torino mi appartiene molto più di quanto pensassi, e i punti in comune tra le nostre indoli “riservate ma vivide” sono davvero parecchi…».

Torniamo a Sanremo. Sei soddisfatta?

«Altroché. Sebbene al momento della proclamazione del vincitore delle nuove proposte il mio istinto di supremazia animale abbia avuto la meglio sul mio buonsenso, sono pienamente soddisfatta del risultato ottenuto, ma soprattutto di ciò che mi ha portato a ottenerlo. A parte il mio risaputo scetticismo verso i primi posti in generale, sono contenta di essere riuscita a raggiungere l’obbiettivo che mi ero prefissa: stupirmi. Temevo che il palco dell’Ariston potesse inibire la libertà della mia performance e invece ne è stato artefice e alimentatore. L’idea del cellophane, come quella del cuore, mi sono venute in mente una manciata di ore prima della diretta…».

Con l’Instore tour stai presentando il tuo disco Appena sveglia con tappe in tutta Italia. Come sta andando? 

«È stata un’epopea. Partire immediatamente dopo la settimana del Festival ha messo a dura prova la mia resistenza fisica e vocale. Per fortuna dopo i primi sei giorni di fuoco ho cominciato a recuperare, e sicuramente l’enorme gratificazione che ho ricevuto tappa dopo tappa da quello che ormai posso considerare il mio pubblico, ha contribuito affinché non crollassi. Ho ricevuto una quantità di stima e affetto che davvero non avrei mai immaginato, ma la cosa di cui più vado fiera è la qualità delle persone che con questo album hanno cominciato ad addentrarsi nel mio mondo. È un pubblico attento, delicato, osservatore e ascoltatore, che abbraccia più generazioni. Ho firmato autografi a coetanei come a coppie di genitori e figli, come a signori più anziani che erano venuti perché piaccio a loro, non solo ai nipoti. Questa polivalenza generazionale mi fa sentire una sorta di Jovanotti in miniatura, è fantastico. Mi dà la sensazione di poter davvero costruire un percorso collettivo e in prospettiva, il che credo sia la base per sviluppare una carriera basata sul reciproco scambio emotivo, prima del profilo commerciale». 

Le Schede

L'AUTRICE DELL'ARTICOLO

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Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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