giovedì 27 Novembre, 2025
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Se la vedova rimette le piume

«Bravo merlo!» e altri modi dire legati al mondo degli uccelli

Vediamo questa volta un po’ di espressioni astigiane che prendono spunto dai pennuti.

Pej ‘d n’ausèl an s’ na rama, come un uccello su un ramo. Indica una situazione di instabilità, di precarietà, di incertezza. È bon a feji ‘l bec a n’ausèl, è capace di scolpire il becco di un uccello, si dice di una persona in grado di fare bene anche i lavori più complicati. Veniva usato in particolare per lodare le capacità artigianali di fabbri, muratori, falegnami.

Purtè a bisca, portare la pagliuzza, significa essere prossimi alle nozze, preparare la casa, e richiama il lavoro degli uccelli che costruiscono il nido.

S-cianchè ‘l bischi, strappare le pagliuzze, indica invece la fine di una relazione, di un fidanzamento o comunque di una vita di coppia. Pittoresca è l’espressione el quernaiàss che a -i dis al merlu che l’è nei, il corvo che dice al merlo che è nero, praticamente il bue che dà del cornuto all’asino. E il merlo è usato anche come esempio nel detto gambi da merlu, gambe da merlo, per indicare quelle persone con un fisico slanciato che invecchiando si ritrovano con le gambe prive di muscolatura, quindi dritte e rinsecchite come quelle del merlo. Bravu merlu!, bravo merlo!, è un’esclamazione che suona di solito ironica, per sottolineare una stupidaggine che qualcuno ha detto o fatto, mentre a l’è ‘n merlu da ‘l bec giàn, è un merlo dal becco giallo, definisce una persona particolarmente in gamba.

Fè l’erlu significa fare il furbo, l’impertinente, il superiore.

L’erlu è il maschio dell’anatra, che nella stagione degli amori si ammanta della cosiddetta “livrea nuziale”, ossia di un piumaggio più appariscente, e cammina tronfio.

Ania müt-a, anatra muta, e ania cuacia, anatra accovacciata: la prima espressione identifica una donna taciturna, riservata, ma anche poco interessante; la seconda invece viene usata a proposito di una donna che pare accondiscendente ma che in realtà la sa più lunga di quanto non dia a vedere.

Arpiümè è un verbo riferito alla gallina: quando contrae una malattia tende a perdere penne e piume ma, se la supera, le rimette. è ‘n camìn che l’arpiüm-a, sta rimettendo le piume, si usa quindi per una persona che sta riprendendosi da un malanno o da un dispiacere, a volte anche con un pizzico di malizia si dice: el vidui arpiüm-u, i vidu spurìssu, le vedove rifioriscono, i vedovi appassiscono.

A crucc, la chioccia, è il termine per indicare una persona particolarmente irascibile: infatti, quando la gallina diventa mamma, appena qualcuno cerca di avvicinarsi ai pulcini drizza le penne e si gonfia come un pallone, assumendo un’aria molto bellicosa. E ancora scacarè, chiocciare, il verso che la gallina ripete quasi ininterrottamente, vuol dire parlare a vanvera pretendendo di sapere tutto. Chiudiamo con pej d’in pulàst ant l’ala, come un pollo nell’alla, il luogo in cui si teneva il mercato di granaglie, vettovaglie, pollame e animali da cortile in genere: quando il pollo arrivava lì, morto e spennato, non aveva il morale molto alto, quindi l’espressione definisce qualcuno piuttosto giù di corda o male in arnese.

 

 

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

Paolo Raviola

Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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