Sono passati 45 anni da quando Lorenzo Nisoli, nell’agosto del 1970, insieme all’amico Mario Raviola e a un altro mezzo milione di ragazzi accorsi da tutto il mondo, partecipò al festival della musica rock nelle quattro memorabili giornate dell’Isle of Wight. Sai cos’è l’Isola di Wight… cantarono di lì a poco in Italia i Dik Dik aggiungendo mito al mito. L’anno prima, nel 1969, in America c’erano stati Woodstock e le grandi manifestazioni per la pace in Vietnam. Era il tempo degli hippie e dei “capelloni”. La cultura della beat generation trovava eco nei raduni dei giovani con le parole d’ordine: pace, amore e musica. Il vento del ’68 e delle grandi manifestazioni operaie e studentesche soffiava forte.
Oggi, che di anni ne ha quasi settanta, Lorenzo Nisoli in quella piccola isola a sud dell’Inghilterra ci tornerebbe con qualsiasi mezzo (lui dice anche a nuoto, ma forse esagera) pur di rivedere e risentire Miles Davis, Joni Mitchell, Jethro Tull, Joan Baez, Moody, Leonard Coen, Donovan e “compagnia cantante”. Quell’anno sull’isola arrivò anche Jimi Hendrix per quella che sarebbe stata la sua ultima grande esibizione pubblica e si videro e ascoltarono anche i Doors, di cui ancora faceva parte Jim Morrison. All’epoca lui era un giovane operaio metalmeccanico e il suo compagno di viaggio, Mario Raviola, tipografo. Tutti e due con la passione per la musica che mettevano in pratica suonando in varie formazioni che si esibivano ad Asti. I nomi cambiavano a ogni stagione: “Gli altri”, “Bus Stop” e il “Viaggio di Alice”. Era negli ambienti musicali alternativi che si diffuse la notizia del grande raduno dell’isola di Wight. «Prendemmo le ferie e partimmo, un po’ in treno un po’ in autostop, con pochi soldi in tasca, ma con tanto entusiasmo, non vedendo l’ora di arrivare – racconta Lorenzo. Durante il viaggio incrociammo altri astigiani, ma li perdemmo di vista nella confusione creatasi, come prevedibile, sul luogo del concerto». L’ingresso costava tre sterline per cinque giorni di musica, ma molti entrarono senza biglietto e per gli organizzatori quel raduno fu un disastro economico.
Le sensazioni forti provate in quei giorni Nisoli se le porta ancora dentro. «Intanto mi sentivo pervaso da un grande senso di libertà, derivante dalla consapevolezza di fare parte di un popolo che aveva le mie stesse idee e amava la stessa musica. Eravamo in tanti ma non ci si sentiva numeri ma persone. A mano a mano andavo scoprendo cosa vuole dire multietnicità, condividere la gioia che trasmette la musica, le poche cose che servono alla sopravvivenza come cibo e acqua, scambiare informazioni e parlare del proprio paese con persone che abitano a migliaia di chilometri di distanza». Nel raccontare Lorenzo Nisoli è un fiume in piena. È come se rivivesse quell’esperienza. «Quelle giornate per me sono state la colonna sonora di tante speranze: libertà, eguaglianza, fraternità, pace, vita, progresso sociale, cultura. Quella musica l’ho ascoltata come la classe operaia all’inizio del secolo scorso ascoltava l’Internazionale. Pensando che si potesse cambiare il mondo. In meglio». E invece? «Mah! Fortunatamente la bella musica è rimasta».
I problemi creatisi nel viaggio di ritorno, non fecero altro che arricchire l’avventura. Per esempio: «Giunti a Parigi ci accorgemmo di non avere più soldi. Ci dissero di andare all’ambasciata italiana per chiedere un prestito. Niente da fare. Chiedemmo alla polizia ferroviaria della Gare de Lyon di espellerci con il foglio di via, ma ci venne risposto che avremmo dovuto compiere un qualsiasi reato. Allora salimmo sul treno senza biglietti e al controllore, furente, i soldi al posto nostro li diede un ragazzo tedesco». Lorenzo Nisoli si è appassionato alla musica all’età di 10 anni, ascoltando a casa di un amico, Paolo Angelino, i dischi di Fred Buscaglione e assistendo, al Teatro Alfieri, alle rappresentazioni delle opere liriche, in cui la mamma, Carla Ruffa, in più occasioni aveva cantato come corista. Il primo strumento che imparò a suonare, da autodidatta, fu la chitarra. In seguito, avendo scoperto di essere mancino come Paul Mc Cartney, decise di scegliere il contrabbasso, ma continua anche con la chitarra basso. La vita lavorativa l’ha trascorsa in varie “boite”, poi alla Fiat Mirafiori, come “quadro” nel reparto progettazione carrozzerie auto. Oltre che delle sette note, nutre la passione per le scienze e la matematica che cerca di trasmettere al figlio Amedeo. Nel 1971, con Luciano Nattino, Renzo Fornaca, Antonio Catalano e altri, fonda il “collettivo Gramsci” divenuto poi in seguito “Teatro del Mago Povero” e ora “Casa degli alfieri”.
La musica ha sempre contrappuntato la sua vita. Nel 1980 con Rosalba Gentile e Luciano Poggio, partecipa alla nascita della corale “Musica Dulce”. Negli Anni 90, con Luciano Poggio, Renato Risso, Giorgio Valle, Mario Borio dà vita ai “Musicanti d’oltre Borbore”. Ora suona su più fronti: è in forza come contrabbasista alla “Mandolinistica Paniati” e in camicia bianca e farfallino nero, alla moda degli Anni Sessanta, partecipa all’avventura della “Palmarosa band”, una formazione nata tre anni fa, insieme all’amico di sempre Luciano Poggio alla batteria, con Maria Rosa Negro, Sandro Gianotti, Ezio Cocito e Claudio Genta e la supervisione tecnica di Enzo Piuma. Il cambio di genere musicale non lo turba. «Consiglio ai ragazzi di imparare a suonare uno strumento. Non importa quale e con quale risultato. La musica suonata è vita».