La notizia della scomparsa di Anna Bravo, avvenuta lo scorso dicembre a Torino, è passata quasi sotto silenzio ad Asti dove pure aveva trascorso infanzia e giovinezza, dopo essere nata nel 1938 nel capoluogo piemontese.
Un silenzio distratto considerando che Anna è stata una presenza determinante nelle vicende della storiografia italiana del ’900 al cui profondo rinnovamento aveva dato, con
le molte sue opere e la sua militanza politica e sociale, uno straordinario contributo.
A lungo docente di Storia sociale all’Università di Torino, ha pubblicato numerosi lavori sui movimenti politici e sociali del Novecento, sulla guerra e la Resistenza e in maniera particolare sul ruolo avuto dalle donne, che pose al centro delle sue ricerche e del suo
impegno di militante femminista.

Ad Asti, dove era venuta a vivere con la famiglia nel dopoguerra, aveva contribuito a dare vita, insieme al fratello Gian Luigi, destinato a diventare anch’egli un apprezzato docente universitario, (vedi Astigiani n. 25 settembre 2018 “Confesso che ho vissuto”) a un attivissimo gruppo di giovani studenti impegnato nelle “battaglie” politiche e sociali degli anni ’50 e ’60.
Trasferitasi a Torino per motivi di studio, non l’avrebbe più lasciato il capoluogo subalpino diventando un’apprezzata assistente del prof. Guido Quazza e successivamente, come già accennato, docente lei stessa. La sua attività di studiosa si era accompagnata a una costante militanza politica, nel Partito comunista prima, nel Sessantotto, in Lotta continua e
nel movimento femminista poi. Come ha scritto Luisella Passerini (altra figura di storica astigiana di alto profilo intellettuale, quasi coetanea di Anna e docente di Storia contemporanea all’Università di Torino e di Storiadel ‘900 a quella di Firenze), “«nelle
sue ricerche si individua un itinerario significativo, non solo per capire la sua figura, ma anche quella di più generazioni: dagli studi sulla Repubblica partigiana dell’Alto Monferrato alla storia orale e sociale delle donne nel Novecento; dalle analisi del fotoromanzo all’indagine sulla Shoah e i sopravvissuti».

Il suo primo libro sulla Repubblica partigiana dell’Alto Monferrato
Il primo libro di Anna Bravo, La Repubblica partigiana dell’Alto Monferrato del 1964 è la rielaborazione della sua tesi di laurea e rivela già l’originalità e la qualità del suo metodo di fare storia. Bravo intervista i combattenti, studia e interpreta i documenti e presta un’attenzioneparticolare anche agli ordini e alle relazioni sulle azioni militari dei comandanti conservati negli archivi dell’Associazione partigiani Anpi di Asti e di privati.
La battaglia di Bruno e Mombaruzzo dell’autunno 1944 per mantenere Nizza libera
Anna Bravo è stata la prima a studiare i verbali della Giunta contenenti le delibere per l’approvvigionamento alimentare, la distribuzione di combustibile per i trasporti e il
riscaldamento, le norme della giustizia e dell’ordine pubblico, stabilendo dure regole di disciplina per i combattenti ed equità verso la popolazione.
Ricostruisce, con precisione e con un tono narrativo efficace, le azioni militari vittoriose delle battaglie di Bruno e Bergamasco, condotte con una strategia militare che supera la tattica di guerriglia, coinvolgendo tutte le formazioni operanti nella zona, al di là delle divergenze politiche e militari.
Da “La repubblica partigiana dell’Alto Monferrato” riportiamo parte del capitolo che riguarda la prima vittoriosa difesa della città di Nizza Monferrato e della zona libera. Dopo l’occupazione di Nizza da parte di reparti partigiani alla fine del mese di Settembre 1944 e la costituzione della cosiddetta “zona libera” dell’Alto Monferrato, a metà del mese di Ottobre diventano sempre più certe le notizie di una imminente controffensiva nazifascista allo scopo di riprendere il controllo del territorio liberato dai partigiani.
Così Anna Bravo descrive le vicende della “Battaglia di Bruno”. «Il 20 ottobre alle 4 e 30 del mattino, i nazi-fascisti attaccano violentemente con l’intenzione di riconquistare Nizza.
Sono oltre 700 uomini tra tedeschi e fascisti, suddivisi in tre colonne con autoblinde, un autotreno, diciotto autocarri pesanti, un cannoncino da 88 mm., quattro mortai, mitragliatrici e forte armamento individuale. Le squadre di avvistamento di Mombaruzzo
e Bruno entrano subito in azione, impegnando le avanguardie nemiche in combattimenti isolati e fermandonel’impeto iniziale»
…
«Si vedono case che bruciano a Castelboglione e a Quaranti – scrive Davide Lajolo nel suo diario – Sono in contatto con Mombaruzzo. A Mombaruzzo c’è un ragazzo (il garibaldino Barbetta n.d.r.) al telefono che è calmo e mi dà informazioni precise…Sento un colpo, la sua voce si arresta.
Riprende: «Sono nel paese, debbono essere qui vicini, perché una raffica di mitragliatrice è stata sparata nella finestra e mi ha ferito un braccio…». Gli ordino di mettersi in salvo, di abbandonare il telefono. “«No – mi risponde – posso ancora essere utile. Qui ci sono case che bruciano. Dalla finestra vedo alzarsi molto fumo…Hannno fucilato sulla piazza il comandante Piero della Brigata G. 4…Il paese è occupato dalla Brigata nera di Alessandria e dai tedeschi… Vedo dalla finestra una colonna di sette autocarri che prende la strada verso
Casalotto…».
La voce del garibaldino si rompe improvvisamente…, odo distintamente un colpo di moschetto, poi in un filo le sue ultime parole: “«Mi hanno ferito, stanno saltando dalla
finestra: comandante, viva l’Italia». Poi la voce si spegne e l’occhiolino rosso del telefono si smorza. Il garibaldino di Mombaruzzo di diciotto anni è morto al suo posto di combattimento».
** «I distaccamenti Ivaldi (Vola-Manuel) impegnano in duro combattimento la colonna nemica che punta su Bruno e, con abile manovra e fermo coraggio, riescono a fermare la colonna infliggendole sensibili perdite in morti e feriti. L’altra colonna si spinge, dopo
aver incendiato case a Mombaruzzo, fino a Quaranti e Casalotto, dove continua la sua opera di distruzione. La terza colonna tenta di spingersi verso Castelnuovo Belbo sulla rotabile di Incisa, tentando l’accerchiamentodi Nizza. Il Comando di brigata esamina la situazione e stabilisce di iniziare un violento contrattacco per sventare la manovra nemica e prendere in pugno l’iniziativa»
La situazione è molto difficile, tutti i distaccamenti hanno morti e feriti, la popolazione è terrorizzata
** “«Il Comando fa affluire rinforzi, richiamando nella zona Bazzana Barretta il distaccamento Socco, e un’aliquota della Brigata Asti. Con queste forze di rincalzo ai distaccamenti di Luciano e Max, vigile scolta avanzata sulla strada di Acqui, viene bloccato il nemico e gli viene preclusa la strada di Nizza. Nella zona di Castelnuovo vengono impegnati i distaccamenti Vola, D’Artagnan, Marte e Tito e la squadra volante Aramis. Queste forze, spinte ai fianchi del nemico, ne ritardano la marcia permettendo al Comando di far affluire sul posto per l’attacco frontale tre distaccamenti della 78.ma Brigata e un gruppo della Brigata Asti».
Il punto di maggior pericolo è sulla strada che porta alla stazione di Incisa. «Ma è arrivato Rocca – scrive Lajolo – È la prima volta che ci incontriamo. Rocca si è fatto nella zona una fama di anticristo, di giustiziere, terribile partigiano. La gente lo vede passare, lo applaude».
** «Si sviluppa così la battaglia di Bruno. Ben presto l’impeto delle forze garibaldine attaccanti circonda il nemico, infliggendogli perdite gravi e costringendolo alla fuga, che
riesce ad attuare valendosi della superiorità delle armi pesanti».

Lo scontro campale bloccò il rastrellamento dei tedeschi e delle Brigate nere
La battaglia di Bruno è un grande successo per le forze partigiane della zona: è stato un vero e proprio scontro campale, in cui i nazi-fascisti hanno impegnato forti contingenti di truppe e un potente armamento. La superiorità di uomini e di mezzi è stata battuta dalla capacità di manovra dei garibaldini, che hanno saputo avvalersi di una rete di collegamenti telefonici quasi perfetta…A Bruno il nemico, mentre si accingeva a scatenare l’attacco, è stato colto in contropiede da rinforzi partigiani e ha rotto faticosamente il cerchio fuggendo verso Alessandria, dopo aver subito gravi perdite.
Il fallimento della manovra dimostra il grado di maturità e di efficienza raggiunta dai quadri garibaldini della zona. Decisiva è stata l’opera del capo di Stato Maggiore della 98.ma Brigata Ulisse (Davide Lajolo), il quale, con una rapida intuizione, ha concentrato tutte le forze nel settore minacciato, sguarnendo il resto dello schieramento. La notizia della battaglia si sparge rapidamente nella zona. Nizza è un tripudio di festa; la gente accorre sulle piazze, abbraccia i garibaldini. Rocca e Ulisse dal balcone parlano alla folla.
…
Il giorno stesso del combattimento, il Comando della 98.ma Brigata emana un breve comunicato in cui dà notizia dell’entità delle forze impiegate dai nazi-fascisti, del notevole
bottino di armi, automezzi e altro materiale, della morte in combattimento di cinque garibaldini e del ferimento di altri tre.
Riguardo alle perdite nemiche, il comunicato è della massima onestà: venti morti accertati e diciotto feriti (i nazisti di Alessandria denunciano la perdita di oltre 70 uomini n.d.r.). Particolare risalto è dato nel comunicato sia alla collaborazione dei reparti della III Brigata Autonoma Asti, dei quali si dice che hanno partecipato all’azione «dando esempio di valore e di fraternità d’armi…», sia ai legami esistenti tra popolazione e partigiani.



