Cento anni fa Giuseppe Maschio da Montemarzo protagonista della conquista di Castel Dante a Rovereto
Giuseppe Maschio nacque a Montemarzo il 1° luglio 1895. I suoi genitori erano contadini, tuttavia riuscirono a far studiare almeno uno dei loro tre figli maschi: Pinin, il mio futuro nonno materno. Con tenacia e volontà prese il diploma da geometra, un “pezzo di carta” che a quei tempi era molto importante. Ma a vent’anni scoppiò la guerra e mio nonno fu arruolato nell’esercito con il grado di tenente e nel 1915 entrò nel 114° reggimento di fanteria della Brigata Mantova. Da “tenentino” fu inviato al fronte, sulle montagne del Trentino, dove si scontrò con la realtà di una guerra durissima, combattuta in trincea. Per tutto il 1915 la Brigata Mantova fu schierata in prima linea. Sulla riva sinistra dell’Adige il 114° reggimento mantenne i territori strappati agli austriaci e il 27 dicembre occupò Castel Dante di Rovereto, resistendo anche ai contrattacchi sferrati dagli austroungarici nei giorni seguenti. In quei giorni di Natale, il giovane tenente Giuseppe Maschio rimase l’unico ufficiale del reparto e dovette condurre i suoi soldati “sotto intenso fuoco”. Nella nostra famiglia tante volte, anche dopo che il nonno non c’era più, abbiamo ricordato quel Natale del 1915. Ancora oggi mi chiedo come abbia potuto resistere un ragazzo di soli 20 anni alle difficoltà di quella guerra terribile. Mi chiedo «quanto avesse paura di morire e quanta ne avesse di uccidere!».
Nel 1917, il tenente Giuseppe Maschio fu insignito della medaglia d’argento al valor militare «coll’annessovi soprassoldo di lire 100 annue» con la seguente motivazione: «Dopo aver efficacemente cooperato alla condotta del reparto durante tutta la giornata, essendo caduto il proprio capitano e l’ufficiale più anziano, rimasto egli unico ufficiale della compagnia, perseverava nell’azione sino a condurre il reparto, sotto intenso fuoco, all’assalto e alla conquista della posizione avversaria. Si distingueva il giorno successivo nel respingere un contrattacco nemico. Castel Dante, 27-28 dicembre 1915». Ma la guerra non era finita. Non saprei dire la data, ma un giorno della fine del 1917 egli fu ferito al petto da un colpo di fucile austriaco.
E qui la storia di mio nonno diventa ancora più straordinaria ed esce dai resoconti ufficiali. Va detto che già dall’età di 18 anni il giovane Pinin era fidanzato con Priscilla, che di anni ne aveva 15. Per tutto il tempo della guerra i due si scrivevano tenere e timide cartoline con frasi d’amore, saluti e baci. Quelle cartoline il nonno le conservava gelosamente nel giustacuore, la tasca sinistra della giacca d’ordinanza: ci ha sempre detto che era stato quel pacchettino di carte a deviare la pallottola di quel poco che era bastato perché non fosse letale. Le cartoline della nonna gli avevano salvato la vita. Ancora oggi le conserviamo come una cara reliquia di famiglia. Sono mezze bruciacchiate e sono il ricordo di un amore intenso che ha percorso la nostra storia familiare e acceso di emozioni e ricordi l’infanzia mia e delle mie sorelle. Nel 1919 nonno Pinin finalmente tornò dalla guerra. Sul petto, oltre alla medaglia, aveva anche i gradi di capitano con cui lasciò la carriera militare: 5 anni nell’esercito per lui erano stati abbastanza. Quello stesso anno si sposò con la nonna Priscilla e nel 1920 ottenne la “Patente di Segretario Comunale”, rilasciata dalla Prefettura di Alessandria. Iniziò quindi la sua carriera al comune di Castello d’Annone. Pinin e Priscilla misero su famiglia: nel 1921 nacque la zia Giuliana e nel 1924 Fernanda, mia madre. Negli Anni Trenta il lavoro lo portò al comune di Castenuovo Scrivia in provincia di Alessandria, dove mia madre e mia zia divennero grandi, studiarono alle magistrali e al liceo, per poi finire gli studi all’università di Pavia.
Due volte cavaliere e cittadino onorario di Rovereto
Tutti quelli che conobbero il nonno, lo ricordano come una persona buona e generosa, umile e riservata. Sul lavoro era sempre pronto ad aiutare tutti, a risolvere contrasti o contese, mettendo a disposizione le sue conoscenze di geometra, anche senza farsi pagare. La sua opera svolta con dedizione, gli fruttò a due nomine da cavaliere: il 25 ottobre 1931, in considerazione di “particolari benemerenze” fu nominato dal Re Vittorio Emanuele III “Cavaliere della Corona d’Italia” e trent’anni dopo, il 2 giugno 1961, in occasione del suo collocamento a riposo, fu nuovamente nominato Cavaliere dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Sempre nel 1961, centenario dell’Unità d’Italia, la città di Rovereto gli conferì la Cittadinanza Onoraria come “Superstite del 114° Reggimento Fanteria Mantova che nel dicembre 1915 conquistò Castel Dante”. Giunta l’età della pensione i nonni tornarono a vivere nella nostra Montemarzo ed è allora che ho conosciuto davvero il nonno Pinin e la nonna Priscilla. Io e le mie sorelle trascorrevamo l’estate in campagna con loro e tutte le mattine lui ci svegliava cantando, stonato com’era, una marcetta militare: «Cappello marca visita, riposo ti darò, se non ti riconosco in prigion ti sbatterò!».
Allora non capivo proprio dove avesse imparato una canzoncina tanto bislacca, ma per noi il nonno Pinin era un meraviglioso compagno di giochi, ci faceva ridere, sempre complice delle nostre malefatte, raccontava fiabe classiche che modificava secondo la sua fantasia e ci divertivamo a crepapelle. Morì di infarto nel maggio 1968, all’età di 73 anni, quando io ne avevo 12 e avrei voluto ancora poter stare tanto tempo con lui. Quest’anno, a 100 anni dall’impresa militare di Rovereto, lo abbiamo ricordato al cippo dei caduti di Montemarzo, dove sono scritti i nomi dei tanti giovani che dalle guerre non sono tornati. Abbiamo ricordato il suo valore di soldato e di uomo e mi piace aggiungere quella medaglia speciale che aveva sul petto: le cartoline di un amore durato tutta una vita.