Cocconato, tra i suoi tanti primati, vanta anche quello molto curioso di avere avuto per una quindicina di anni l’unico mulino a vento che svettava sulle colline del Monferrato. Era stato installato sulla torre, ricostruita nell’Ottocento, ma le cui origini risalgono ai primi anni del X secolo. A quell’epoca i conti Radicati, potenti signori di Cocconato e di molte terre, costruirono alla sommità della collina il loro castello al quale si accedeva attraverso due porte. Parzialmente distrutto nel XIV e XV secolo, durante le guerre fra il Marchese del Monferrato e i Visconti di Milano, il complesso fortificato venne riedificato a fine Quattrocento. Ma, come ricorda l’avvocato De Canis nella sua Corografia Astigiana, nel 1556, il maniero, disputato tra tedeschi e francesi, venne dal maresciallo de Brissac «fatto volar in aria colle mine» e «del castello altro più non vi stesse che la torre rotonda che tuttora sussiste mezzo rovinata».
Intorno al 1800 la decadente torre e il terreno circostante furono venduti dai conti Radicati a Pietro Sarboraria. In quegli anni alla cima della torre il governo francese fece installare una stazione per il telegrafo ottico “Chappe”, un complesso sistema di comunicazione voluto da Napoleone per collegare Parigi con Milano e Venezia, lungo un tracciato di 850 chilometri. Superate le Alpi al passo del Moncenisio e attraversata la Valle di Susa, nel percorso tra Torino e Milano i siti più adatti vennero individuati dall’ispettore Lair (chiamato a progettare la linea dopo il suicidio di Claude Chappe) nelle colline monferrine, piuttosto che nelle pianura padana, dove le frequenti nebbie avrebbero cagionato non pochi problemi per la visibilità dei segnali.
Dalla torretta del Palazzo Madama a Torino i segnali erano trasmessi alla stazione Superga e da questa ad Albugnano e quindi a Cocconato, distante in linea d’aria circa 5,7 chilometri. Qui prestavano servizio come addetti (stationnaires) il Sarboraria e suo figlio, che percepivano il compenso, paragonabile a quello di un operaio, di 1,15 franchi al giorno ciascuno, più la fornitura della legna da ardere per il riscaldamento invernale.
Da Cocconato i segnali erano inviati a Villadeati e via via a tutte le altre stazioni, fino a raggiungere il capoluogo lombardo.
La stazione era formata da un’attrezzatura formata da un’antenna (mât) alta circa 4,5 metri, sorretta da incastellatura, sulla quale era imperniato un braccio (regulateur) largo 25 centimetri, alle cui estremità erano a loro volta imperniate le aste (indicateurs); mossi attraverso una serie di carrucole e funi, il braccio e le aste potevano assumere svariate posizioni, ognuna corrispondente a una lettera, una o più parole o anche un’intera frase, decodificabili attraverso un cifrario, noto solo ai direttori generali. Con questo sistema si potevano ottenere diverse migliaia di combinazioni di segnali. Dopo vari miglioramenti, le posizioni del regolatore furono limitate a due (verticale e orizzontale) e quelle degli indicatori a sette (con rotazioni di 45°), così i codici possibili divennero 92. Venne preparato un libro di 92 pagine con 92 codici per ognuna: in questo modo per inviare un messaggio era sufficiente trasmettere due segnali, il primo indicante la pagina del libro, il secondo il numero corrispondente al codice all’interno di quella pagina.
Il telegrafo ottico fu utilizzato per le comunicazioni fra Italia e Francia dal 1809 al 1814, quando con l’occupazione del Piemonte e della Lombardia da parte degli Austriaci, vennero distrutte alcune stazioni, impedendo il funzionamento della linea. Poiché negli ultimi mesi al Sarboraria non era stato più pagato lo stipendio, questi si rifiutò di rendere il cannocchiale (che valeva circa 500 franchi).
Nel 1836 il Sarboraria chiese al Comune il permesso di abbattere la torre medievale, ormai gravemente degradata, per costruirvi al posto un mulino a vento, ma le autorità si opposero fermamente in quanto l’edificio era un punto caratteristico del paese e nel suo sito era consuetudine fare il cosiddetto falò e sparare i fuochi artificiali durante le feste.
La controversia infine si risolse e l’amministrazione comunale acconsentì la demolizione della vecchia e ormai malconcia torre, a condizione che fosse ricostruita nello stesso luogo, di analoga foggia architettonica e che si potesse continuare ad usare il sito per il falò, lo sparo dei mortaretti e i fuochi artificiali.
Nell’autunno dello stesso anno fu così eretta la nuova costruzione, che il Sarboraria pensò di destinare a mulino a vento. Sopra la torre circolare venne installata la struttura portante le quattro pale e accanto un basso fabbricato con tetto a due falde, destinato a ospitare le macine. Il mulino a vento, uno dei pochissimi realizzati in Piemonte, tuttavia fin dall’inizio funzionava male, probabilmente a causa di difetti meccanici intrinseci, nonché per la scarsità di vento che soffiasse in maniera regolare. Così dopo pochi anni l’attività molitoria cessò e nel 1851 le pale e la relativa struttura smontate.
L’edificio fu trasformato in abitazione civile. In seguito cambiò più volte di proprietà fino all’acquisto nel 1903 da parte di Alessandro Rocca che qualche anno dopo fece rialzare di un piano la casetta annessa; venne chiamata “Villa Giuseppina”, in memoria di Giuseppina Rocca, figlia di Alessandro. La torre fu completata superiormente da un terrazzo praticabile e all’interno furono ricavati due piani abitativi con apertura di finestre ad arco acuto in quello inferiore e circolari in quello superiore.
Dalla torre nelle giornate limpide è possibile godere di un panorama eccezionale: si riescono infatti a vedere la catena alpina e l’Appennino ligure, nonché molte città fra cui Novara, Vercelli, Saluzzo, Cuneo e, con un buon cannocchiale, perfino Milano, distante circa cento chilometri in linea d’aria. Lo ricordava anche la canzone sulle bellezze di Cocconato, scritta in piemontese da Pin Pilotti e riportata su una cartolina d’epoca, con spartito e immagine della torre, ormai senza più le sue curiose e inutili pale.