Il libro è diviso in due parti, ugualmente importanti: la breve prefazione di Franco Debenedetti e il corposo testo scritto da Giribaldi e Sardi, che conosciamo e stimiamo da anni come studiose e autrici di importanti saggi sul mondo ebraico ad Asti. Il titolo del libro: Bele sì (proprio qui): «Leggendo nel rotolo della Legge […] il ragazzino perde il segno; bele sì, gli suggerisce sottovoce il rabbino, bele sì, ripete il ragazzino, confondendo ebraico e dialetto. Bele sì, proprio qui. Qui, in questa pagina. Qui, in questo luogo. Il Libro e Asti». Leggere le scritture ad Asti: questo è ciò che il libro vuole documentare, senza commenti, con un rigido metodo storico-scientifico, a partire dalla prima presenza ad Asti di una comunità ebraica, verso la fine del 1300. La storia degli ebrei, delle piccole come delle grandi comunità, restò sempre legata alla grande storia, alle leggi e agli ordinamenti che man mano i diversi governi promulgavano.
Ci furono momenti di isolamento e ghettizzazione, momenti di stretto legame con la comunità astigiana. Arriviamo ai secoli più vicini a noi: l’Ottocento e il Novecento. Nel 1848 fu emanato il decreto di emancipazione degli Ebrei. Non fu del tutto agevole, all’interno della comunità ebraica, ad Asti come in tutto il territorio di quella che sarà l’Italia unita, operare la sintesi tra esigenze di modernità e tutela delle caratteristiche identitarie del gruppo. Gli ebrei italiani, entrando nella società laica, la arricchirono grazie alla qualità del loro sapere e, negli anni del Risorgimento, del loro profondo amore per la libertà. Nel 1865, grazie a una sottoscrizione cospicua, fu fondato l’Istituto scolastico Clava. L’Istituto viene definito come «la più duratura espressione nel tempo della vita comunitaria e della presenza ebraica ad Asti». Ma sopraggiunsero le leggi razziali del fascismo, la persecuzione dei diritti, poi quella delle vite, che tutti abbiamo ben presenti. Nella prefazione Franco Debenedetti ricorda dei versi che Eugenio Montale scrisse nel 1926: «Se fosse possibile essere ebrei senza saperlo,/ questo dovrebbe essere il mio caso/ tanta è la mia possibilità di sofferenza». Ma non poteva immaginare la possibilità e la realtà di sofferenza che di lì a poco avrebbero provato gli ebrei.