Roberto Ollino 11 agosto 1958 – 2 marzo 2019
Ristoratore
Il mio è stato un bel viaggio, fra sorrisi, familiarità e buona cucina, ho amato il mio lavoro, la mia famiglia, la Juventus.
Il ristorante Moro ad Asti è stato un punto di ritrovo per tanti amici e sono felice di averlo gestito assieme ai miei genitori, accanto a mia moglie Patrizia, e di averlo visto poi “sdoppiarsi”. Il nostro Moro 2.0 in centro città continua a vivere grazie all’amore per la cucina della donna della mia vita, il One More, dal nome in salsa USA, è creatura di mio figlio Stefano.
Vedrò continuare il loro percorso nella gastronomia astigiana e sono certo di aver dato il mio contributo: intere generazioni hanno pranzato e cenare nel nostro locale a pochi metri dalla riva del Tanaro. Quel f iume che ho amato e che ci ha fatto piangere in quel novembre del 1994 quando devastò con la sua furia tutta le nostre vite. Ma ci siamo rialzati e abbiano ripreso.
Ora tifo per Patrizia e Stefano e per tutti coloro che lavorano con loro, e per la mia Juve: l’ho seguita assieme a mio figlio nella finale di Champions persa col Real, chissà che da quassù non possa finalmente vederla alzare al cielo la “coppa dalle grandi orecchie”.
Umberto Vacchelli 19 marzo 1923 – 5 giugno 2019
Ex dirigente Riccadonna
Da quassù le montagne che tanto ho amato, si vedono benissimo e il mio corpo finalmente è leggero, sgravato da quei piccoli e grandi mali che hanno accompagnato il mio ultimo scorcio di vita.
Neve, sole, ghiacciai, nuvole dense di pioggia volteggiano attorno a me e da sopra posso vedere quella Madonnina sul Tour Ronde del Monte Bianco, portata lì dal Cai di Asti, di cui mi sono onorato di avere la tessera dal 1947.
Il modello della statua fu creata da Giovanni Porotti, padre della mia amata moglie Luciana, che se n’è andata pochi mesi prima di me. Con lei, finché le nostre condizioni di salute ce l’hanno consentito, abbiamo partecipato a tante serate del Panathlon, di cui sono stato orgogliosamente il decano, per più di mezzo secolo di militanza.
Lo sport, oltre al mio puntiglioso lavoro alla Riccadonna, è stato il grande motore della mia vita, culminato nella carriera di giudice di gare nazionali di marcia, E quella passione per il tempo, per gli orologi e i cronometri, ha accompagnato anche gli ultimi anni di una lunga vita, nella mia casa di via Gioacchino Testa, in cui il pendolo batteva l’ora precisa nell’ingresso e in ogni stanza c’era un segnatempo, dalla clessidra alle “mustre” più moderne.
Ah, ancora una cosa: quanto mi piaceva dar voce ai canti di montagna in compagnia e raccontare barzellette, magari fermandomi a metà perché già ridevo. Quassù, cercherò chi “è andato avanti” e insieme ricominceremo a far combriccola.
Gian Giacomo Fissore 25 febbraio 1940 – 22 giugno 2019
Ex direttore Archivio di Stato di Asti
Mi chiamavo Gian Giacomo ma per gli amici ero Mino. Gian Giacomo era lo studioso, il cattedratico, l’insegnante severo, molto esigente dagli allievi.
Quello che era stato direttore dell’Archivio di Stato di Asti prima di approdare all’Università di Torino ad insegnare Paleografia e diplomatica, materia raffinata e per cultori di nicchia.
Mino era il “fanciullino” pascoliano, quello che amava spassionatamente i dolci, che alla domenica correva da Giordanino per allietare con le sue prelibatezze i lunghi pomeriggi con Adriana, quello i cui occhi splendevano di gioia nello scartare i vassoi di pasticcini, quello che correva a togliere i bignè da tavola… per timore delle mosche, per poi voracemente mangiarli da solo.
Quello che amava le lunghe passeggiate con i cani nella campagna di Carmagnola e la cui casa era dimora di gatti capricciosi, molto coccolati e ai quali era concesso vivere liberamente.
Ad Asti avevo amici con i quali abbiamo condiviso memorabili momenti di convivialità tra leccornie pescate dai ricettari di famiglia, moscato del parroco, discussioni di politica. Per concluderli poi con la pipa, piacere che ha accompagnato tutta la mia vita con il il piacere dell’aroma afrodisiaco dei tanti the che con un rito laico denso anche di spiritualità hanno scandito le ore delle mie giornate.
Adriano Zappa 17 luglio 1932 – 25 giugno 2019
Libraio
L’odore della carta stampata mi ha accompagnato per più di cinquant’anni. Nel mio cuore c’erano gli alpini, sono stato tenente della brigata Cadore.
Ma ho vissuto circondato da romanzi, saggi. Libri scolastici, soprattutto. Nella libreria che avevo ereditato da nonno Leonardo sono passate generazioni di studenti astigiani. Prima nel vecchio negozio sotto i portici Anfossi di piazza Alfieri, poi in piazza Astesano. Quando le scuole stavano per riprendere, insieme ai genitori affollavano il negozio.
Molti di loro lo chiamavano Caldi, il cognome di mia mamma Natalina. Si mettevano in coda, per poi uscire con borsoni di grammatiche, antologie, manuali di matematica. Ad alcuni ragazzi brillavano gli occhi. Altri dimostravano più entusiasmo per gli accessori che li avrebbero fatti distinguere in classe: astucci, zainetti, diari, quaderni.
Ma mi piace pensare che tutti loro, in un modo o nell’altro, siano usciti felici da quel luogo che profumava di inchiostri.
Angela Quaratino Catalano 14 febbraio 1924 – 26 giugno 2019
Addetta lavanderia all’ospedale di Asti
Ho avuto cinque figli, quattro maschi e una femmina. Sono nata a Potenza: è lì che ho conosciuto mio marito Rocco Catalano.
La vita in Lucania dopo la guerra era difficile: molti sacrifici, poco lavoro, tanta fame. Allora nel 1962 ci siamo trasferiti ad Asti. A quei tempi, a noi “terroni” i piemontesi non ci volevano vedere, perché dicevano che portavamo delinquenza e malattie e che avevamo sempre il coltello in tasca. Pian piano gli amici piemontesi si son dovuti ricredere.
Noi a quei tempi facevamo lavori che loro non volevano più fare. Ricordo quella volta che tenevo per mano il terzo figlio Tonino e insieme avevamo trovato un alloggio da affittare in Corso Alessandria, dove ci pioveva dentro, ma io piangevo, ero felice, un alloggio tutto per noi!
L’alloggio era nel quartiere San Pietro e fu la nostra fortuna, perché il parroco, Don Rampone, ci diede una mano a trovare il lavoro e i miei figli frequentarono l’oratorio. Lì Tonino iniziò con Luciano Nattino a fare teatro. A Toni negli ultimi tempi spiegavo che “tutto questo è un mondo di antibiotici”.
Vorrei che mi si ricordasse così: una persona che ha camminato tutta la vita, senza fermarsi mai.
Francesco Benzi 28 giugno 1930 – 29 giugno 2019
avvocato
Ho difeso, spero, soprattutto la giustizia.
Nella vita ho fatto molte cose, il fotografo nello studio i mio padre, la comparsa al Teatro Alfieri, quando mettevano in scena le opere del mio Vittorio,il sindaco di Montechiaro d’Acqui e persino il docente di buone maniere all’Università della Terza Età.
Ma ho fatto e sono stato soprattutto un avvocato, persino presidente dell’Unione degli Ordini forensi del Piemonte. Ho passato la vita con la toga e trattato chiunque, giudici, clienti, colleghi amici e avversari con gentilezza e rispetto. Dicevano che ero signorile e di innata eleganza, accentuata negli anni dalla mia chioma candida.
Ho studiato tanto per non farmi mai trovare impreparato. Ho cercato di avere una vita gioiosa, nonostante i grandi dolori che mi sono toccati (la prematura perdita di mio fratello Piercarlo, col quale avevo aperto il primo studio legale nel 1955, e di mia moglie Silvana).
Ho abbracciato i miei figli Pier Paolo e Pia che segue la nostra professione, i nipoti, la mia fedele segretaria Pinuccia, i colleghi dello studio e Lidia che mi è stata amorevolmente vicina.
Nel mio studio ci sono i miei segni: quadri, ritratti, le foto dei miei cari, le caricature di Bruno Vergano, la collezione di pipe, i miei amatissimi libri, antichi e nuovi, da volumi di Umberto Eco, Zagrebelski, Piero Gobetti, testi filosofici, a edizioni ormai storiche del Digesto Italiano e dell’Enciclopedia del diritto. E naturalmente, aperti sotto il vetro del tavolo antico, la Vita di Vittorio Alfieri, il suo Misogallo, testi dialettali di Brofferio.
Leggevo e ritagliavo e raccoglievo in cartelline. In una di esse ho lasciato i documenti e l’ho intitolata “Per quando verrà il momento”. Eccomi, il momento è venuto.
Mario Venturi 28 febbraio 1948 – 22 luglio 2019
Artigiano impresario edile di Cantarana
Mio padre Azzorre era un mago della carpenteria. Serviva gente come lui per costruire i piloni dell’autostrada dei vini da Santena a Piacenza.
E così siamo arrivati anche noi per lavorare ai cantieri dalla nostra Radicofani. Noi toscanacci, tra le colline di questo Piemonte. Io nel 1968 avevo vent’anni, imparavo il mestiere e mi stregarono gli occhi di Donatella, sangue veneto, anche lei emigrata in Piemonte.
Abbiamo fatto il nido a Cantarana dove sono nati i nostri: pulcini Luca e Stefano. Da allora questa è stata la mia terra. L’ho amata e ci ho costruito case: ho fatto il muratore con orgoglio. Dicevano che con la cazzuola sapevo fare il becco ad un uccello, per dire che lavoravo di fino.
Gli animali, da buon toscano li cacciavo pure, poi diventando nonno e bianco di capelli, mi sono convertito e la mia casa è diventata un piccolo zoo.
Pensatemi nei boschi all’inseguimento di qualche cinghiale, ma non sparo più. Li lascio liberi come sono io adesso.
Chiara De Alexandris 30 luglio 1947 – 24 luglio 2019
Ex dipendente del Comune di Asti
Continuare a vivere mi costava troppa fatica, ero tanto stanca. Mi mancavano pochi giorni a compiere 72 anni, ma non ho festeggiato questo mio compleanno.
Lo so che ho vissuto tanti anni spensierati, ma non ero attrezzata per affrontare tutte le amarezze che la vita mi ha in seguito riservato.
Le colleghe del Comune, le amiche, mi hanno scritto parole bellissime: mi ricordano buona, dolce, sempre sorridente, disponibile, e questo mi fa tantopiacere. Ho anche avuto grandi amori, soprattutto due figlie e 4 nipoti, che forse hanno eredito da me l’amore per la musica. Infatti suonare il pianoforte o la fisarmonica mi dava tanta gioia. Con gli anni, però, non era scomparsa la mia fragilità, il mio bisogno di appoggio, che a volte mi portava a non capire le vere intenzioni delle persone.
I famigliari e gli amici hanno sempre cercato di proteggermi e aiutarmi. Adesso ho trovato la pace.
Pinot Ferrero 1939 – 26 luglio 2019
Giocatore e dirigente di tamburello
Che peccato! Avevo sperato di esserci anch’io a quella gran serata del 26 Luglio per ricordare il mio amico e presidente Alberto Fassio e incontrare alcuni dei grandi campioni che avevo conosciuto, ammirato e raccontato nei dodici favolosi anni del Callianetto.
Invece ho dovuto andarmene proprio poche ore prima e quindi niente saluti a Manuel, Giorgio, Stefano, Samuel e tanti altri. Il loro ricordo è stato pieno d’affetto. Così ho dovuto limitarmi a guardarli da dove mi trovo adesso.
A parte il lavoro “vero” di commerciante a Castelnuovo, la mia vita è statatutta dedicata al tamburello, prima da giocatore – sono stato l’ultimo a scendere in campo con i pantaloni lunghi, vuoi mettere quell’impareggiabile eleganza a confronto con le brachette di oggi – e poi da dirigente e “suggeritore”, soprattutto quando in quella mitica riunione al Caffè Roma di Moncalvo, insieme al dottor Oscar di Murisengo ed all’Adriano di Grazzano, decidemmo che il Monferrato doveva tornare a parlare tamburello come aveva gloriosamente fatto per decenni.
Una decisione che ancora oggi mi riempie di orgoglio perché è proprio di lì che è nato tutto: il Castello di Sandro Vigna, il Viarigi del dr. Accornero, il Callianetto di Alberto Fassio, le grandi covate di Chiusano, tanto per citare solo gli esempi più clamorosi e gloriosi. Dunque, la mia parte credo di averla fatta.
Adesso tocca ai più giovani andare avanti su quella strada. I miei auguri più sinceri e tambass sia per tanto tempo ancora.
Giorgio Stasulli 13 ottobre 1948- 29 agosto 2019
ortopedico
Dicevano che ero un “bravo medico”. Perché la professionalità la puoi acquisire, sui libri o sul campo lavorativo. La bontà, la bonomia, l’equilibrio e la capacità di diffonderlo come una sorta di regola di convivenza devi averle dentro, sono doni di natura. Ho sempre sorriso, e ho capito che gli occhi cerulei possono essere tutt’altro che freddi se usati come diffusori di gentilezza ed ottimismo.
E nel nostro lavoro, tra i pazienti, i parenti spesso preoccupati (ed anche i colleghi), ce ne vuole molto. Ho salutato l’ospedale con una festa comune con il collega Renzo ed il primario Alberto, a sublimare trent’anni di sacrifici e soddisfazioni condivisi, per dedicarmi alla mia terra di Motta di Costigliole, attrezzato alla bisogna.
Amo questa terra, e so che vorrà proteggermi da ora in avanti con il suo unico verdissimo tappeto
Don Franco Cartello 8 luglio 1943 – 2 agosto 2019
Parroco di Mombercelli, insegnante, animatore giovanile
Troppo buoni, sono stati veramente troppo buoni tutti quelli che l’8 dicembre dello scorso anno hanno voluto festeggiare i miei cinquant’anni a Mombercelli, prima come “vice” e poi come parroco.
Erano davvero in tanti nella chiesa di San Biagio (a seguire, presso il salone della Pro Loco c’è stato pure un sontuoso rinfresco!): il sindaco Ferrero, autorità religiose, rappresentanti e volontari delle associazioni, amici di vecchia data, una folla di parrocchiani. E i ragazzi delle scuole, che hanno intonato un originale inno della Juventus, la mia squadra del cuore. L’insegnamento è stata una mia grande passione: mi ha permesso di tenermi aggiornato sulla letteratura e la storia dell’arte, argomenti che mi hanno sempre interessato, ma soprattutto di stare in mezzo ai giovani.
Che si fosse a scuola a ragionar di fede e di religione, all’oratorio a dare due calci al pallone o sulle montagne valdostane (ricordate ragazzi, ed ex ragazzi, le belle vacanze in Val di Rhêmes?) a fare escursioni. Ora e qui, sterminati pascoli verdi – come s’usa dire – e maestose montagne, una comunità infinita, frotte di spiriti liberi e buoni con cui, magari, dialogare di teologia e condividere l’amore di Dio.
Qualcuno, il giorno della festa, ha usato parole grosse parlando del sottoscritto: “figura carismatica”, “scintilla per il cambiamento e la vitalità del paese”. Esagerati! In tanti anni – 50 sono un’intera esistenza – ho cercato di essere parte della comunità, di guidarla dal punto di vista religioso e di renderla vivace dal punto di vista civile. Non mi è stato difficile comunicare, sono per natura socievole… e chiacchierone.
Ma sì, va detto, Mombercelli è stato la mia vita. E chi, in paese, mi vorrà ricordare come un parroco e un amico sincero, non avrà torto. Per parte mia aggiungerei: un uomo di fede. Grazie a tutti per essere stati miei compagni di viaggio.