Dal 1872 Asti ospita un centro di ricerca conosciuto in tutto il mondo
Varcare la soglia del Centro di Ricerca per l’Enologia di Asti è come aprire un cassetto e trovare un gioiello dimenticato e un po’ impolverato, un pezzo di storia che merita di essere scoperto anche da chi non si occupa di vino o di scienza. Al di là degli addetti del mondo enologico, il Centro è noto ai più come “Istituto sperimentale”, denominazione corretta per quasi quarant’anni, prima della riforma del Ministero che ha coinvolto questa e altre strutture.
Il complesso di via Pietro Micca, tra i condomìni e l’istituto per periti “Artom”, a molti astigiani risulta poco noto e magari anche un po’ misterioso. Qualche tempo fa l’ultimo riordino nazionale degli enti di ricerca ha stabilito che l’istituto diventasse uno dei Centri del CREA, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.
La mossa ha il retrogusto amaro del declassamento e ha pertanto destato qualche perplessità a difesa di quel gioiello nel cassetto che Asti ha rischiato di perdere e, soprattutto, a difesa della storia dell’enologia che è stata scritta tra queste mura.
Qui Federico Martinotti ideò 122 anni fa il metodo di spumantizzazione che porta il suo nome; qui fu inventato il Ramital, un composto per trattare le viti usando meno rame in epoca di guerra, un principio tuttora commercializzato dalla Bayer a livello internazionale; qui sono passati illustri personalità del mondo enologico nazionale: oltre a Martinotti, Luciano Usseglio Tomasset, Mario Castino, Rocco Di Stefano, soltanto per citare i più celebri.
Lo sanno gli studiosi, lo sanno gli stranieri, lo riconoscono persino i francesi. Un po’ meno gli astigiani.
Oggi la struttura è diretta da Emilia Garcia Moruno, che dal 2012 è al vertice di un organico di una trentina di persone, tra ricercatori, analisti e impiegati. Con il riordino del Ministero nel 2016 il suo ruolo non è più formalmente quello di “direttore”, bensì di “responsabile” della sede di Asti del CREA.
Altre strutture in Italia sono state ridimensionate: a Velletri e Arezzo sono rimasti solo i laboratori, mentre il Centro di ricerca per la viticoltura di Conegliano (ex Istituto) ha acquisito anche competenza amministrativa dopo che Asti ha perso l’autonomia di bilancio.
“Siamo nella fase immediatamente successiva alla razionalizzazione – racconta Garcia Moruno, con l’accento che svela le sue origini spagnole – Noi continuiamo il lavoro con la nostra specificità enologica, così come Conegliano si occupa di quella viticola”.
La biblioteca storica conserva un patrimonio unico di volumi, riviste, trattati sul vino
All’interno dell’edificio si trovano vari laboratori, una cantina sperimentale, una sala convegni capace di una sessantina di posti, aule frequentate da laureandi e ricercatori, una sala degustazione a norma Iso, oltre alla storica biblioteca che risale all’anno di nascita della struttura, il 1872, in cui è conservato un vasto patrimonio di testi, pubblicazioni enologiche e gli annali editi dall’Istituto con i lavori scientifici catalogati fino al 1997. Una gemma nel tesoro.
Il Centro ha come missione principale quella di svolgere ricerca su uve, vini, aceti, succhi, prevalentemente nell’ambito della trasformazione delle materie prime, della conservazione dei prodotti, dell’utilizzo di sottoprodotti e della valorizzazione della biodiversità dei microrganismi.
Lavori di grande valenza tecnico-scientifica che possono sembrare aridi al grande pubblico, ma grazie ai quali riusciamo ad apprezzare bouquet e gusto dei vini nel tempo, senza odori sgradevoli e altri difetti dal nostro calice. Dentro le mura dell’ex istituto si fa inoltre formazione continua attraverso collaborazioni con l’università, tesi sperimentali e progetti che hanno bisogno di linfa per continuare a essere sviluppati. È notizia recente l’accordo tra l’Università di Torino, facoltà di Agraria, con i corsi di Asti e Alba, l’intervento della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti e il benestare della Regione Piemonte che dà nuovo slancio allo studio enologico con l’intento di formare i futuri esperti delle aziende e delle cantine coinvolgendo proprio il Centro di via Pietro Micca. Anche il Comune intende essere tra i protagonisti del rilancio.
“Noi abbiamo competenze su tutti i settori dell’enologia, e questa è una prerogativa pressoché unica – spiega la responsabile. “Ci occupiamo di tecnologia per i processi di vinificazione, con un gruppo che opera anche nella cantina sperimentale; abbiamo un gruppo di analisi sensoriale e uno di analisi chimica che studia, ad esempio, come il tipo di allevamento delle viti influenzi il vino dal punto di vista chimico e sensoriale, analizzando i composti, studiando da che cosa sono influenzati e quali siano realmente importanti”.
La biologia molecolare studia lieviti e batteri
Un gruppo di microbiologia e biologia molecolare studia microrganismi, lieviti, batteri. Tra i nuovi traguardi raggiunti dal Centro figura la messa a punto di un metodo che individua con grande anticipo la presenza di cellule di Brettanomyces, lievito responsabile, in fase avanzata, di incorreggibili difetti nel vino. Con questa prassi si riesce a monitorare, dal punto di vista microbiologico, la situazione in cantina, svolgendo così attività di prevenzione da eventuali contaminazioni.
“Un altro nostro ambito di intervento – continua Garcia Moruno – è relativo allo studio dei metodi di estrazione dei polifenoli dai sottoprodotti della vinificazione che altrimenti non avrebbero un’altra vita. Le applicazioni dei sottoprodotti sono molteplici e spaziano dalla cosmetica alla medicina, fino all’alimentazione. Si è scoperto, tra l’altro, che le vinacce hanno ancora capacità antiossidanti utili all’uomo”. A questi progetti se ne affiancano numerosi altri in diversi campi della ricerca enologica. “Lavori – conclude – senza i quali probabilmente non saremmo arrivati ai livelli di eccellenza, in vigna e in cantina, che invece possiamo enucleare, e che aggiungono tasselli alla storia del Centro”.
Il ruolo nazionale della prima stazione sperimentale di carattere enologico
Il CRA– ENO (come ora viene abbreviato) affonda le radici nel 1872, quando re Vittorio Emanuele II istituì con un decreto la “Regia Stazione Enologica Sperimentale di Asti”. Roma è capitale da meno di un anno e mezzo; nello stesso anno muore Mazzini, viene fondata la Pirelli a Milano, nasce a Parigi la banca Paribas e a Napoli viene attivata la Stazione Meteorologica dell’Istituto di Fisica terrestre.
All’atto della firma del Regio Decreto esistevano già otto stazioni sperimentali, ma Asti assunse un’importanza cruciale tra il 1878 e il 1929, quando fu l’unica Stazione sperimentale a carattere enologico operante in Italia. Qui si formarono ricercatori di prim’ordine destinati a incidere sulla storia e l’evoluzione del vino italiano e internazionale.
Il primo rettore della neonata Stazione fu Enrico Grassi, di origine lombarda, che morì appena trentenne, dopo tre anni di dirigenza in cui avviò programmi di applicazione della chimica analitica all’enologia. A Grassi succedette Ermenegildo Rotondi, che prima di essere chiamato alla cattedra di chimica a Torino, sviluppò studi molto vasti, dalla viticoltura all’enologia, con attenzione particolare ai fertilizzanti chimici, ai tannini e a un argomento di grande attualità ancora oggi: l’influenza degli agenti atmosferici sull’uva.
Nel 1879 dall’Università di Heidelberg e dalla Scuola Agraria di Gorizia arriva ad Asti Francesco König, che insieme a Francesco Ravizza condusse studi sull’azione inibitrice dei sali rameici sulla germinazione dei conidi della peronospora, che si manifestò per la prima volta nell’ottobre di quell’anno sui vigneti astigiani.
Le sfide dell’800 alla peronospora e la fillossera
Il testimone passa nel 1885 a Mario Zecchini, che dovette affrontare l’imminente invasione della fillossera. Lo fece istituendo un vivaio di viti americane e distribuendo così, in soli due anni, 160.000 talee ai viticoltori del Nord Italia.
A Zecchini, chiamato a Torino, succede nel 1895 Enrico Comboni, che dedicò particolare attenzione alla maturazione delle uve, all’azione anticrittogamica dell’acetato di rame e alla correzione dei mosti. Morì nel 1900.
Un anno dopo il direttore è Federico Martinotti, affiancato dal vice Carlo Mensio e dagli assistenti Garino-Canino e Cabella. È un periodo di fervente attività in cui la stazione vede il rinnovo dei laboratori e l’ampliamento della struttura. Nel 1895 Martinotti aveva messo a punto la tecnica di spumantizzazione in autoclave che in questi anni ebbe diffusione industriale nota anche come “metodo Charmat”.
Dal 1926 il vigneto sperimentale di Viatosto. Nel 1967 l’Istituto aveva sezioni distaccate a Gaiole in Chianti, Velletri e Barletta
È una tappa storica.
I due assistenti di direzione intanto scoprono in quegli anni l’azione determinante della degradazione biologica dell’acido malico a lattico sulle caratteristiche dei vini piemontesi e studiano sul Moscato d’Asti l’evoluzione della stabilità del vino legata alla presenza di azoto assimilabile.
Nel 1907 la Stazione avvia, su disposizione ministeriale, un servizio di analisi per privati che svolgerà fino al 1968. Nel 1911, in seguito all’ampliamento dell’attività e l’accresciuta dotazione tecnologica, la Stazione inaugura la nuova sede con l’edificio tuttora parte integrante del Centro. Allora la sede era circondata dalle vigne della collina che portava al Fortino.
A Martinotti succede nel 1924 Francesco Antonio Sannino. Due anni dopo vengono affidati alla Stazione 6 ettari di vigneto sperimentale a Viatosto. Da evidenziare che dietro la sede di via Petro Micca, dove attualmente c’è via Romita, esisteva già un vigneto, visibile nelle foto d’epoca. Ma quello di Viatosto è arrivato fino ai giorni nostri. Oggi in poco più di 3 ettari vengono coltivate sei varietà di uva a scopo di ricerca e sperimentazione. A fianco c’è ancora la rimanente parte utilizzata fino a qualche tempo fa dall’Istituto agrario “Penna.”
Questa vigna alle porte della città con la sua palazzina di servizio è un’altra grande opportunità che Asti potrebbe sfruttare alla stregua di ciò che ha fatto Torino con la Vigna della Regina e ancor di più Parigi con il vigneto Montmartre divenuto una delle mete turistiche della capitale francese.
Torniamo all’Istituto sperimentale.
Nel 1931 Luigi Casale diventa direttore e punta l’attenzione sulla chimica. Si annoverano studi sul potenziale ossido-riduttivo e sull’intorbidamento dei vini provocato dal ferro.
Sono anni cui l’Italia si avvicina al secondo conflitto mondiale, che ferma di fatto l’attività della Stazione fino al 1948, quando viene nominato direttore Ettore Garino-Canina, che svolge attività in ambito tecnologico, biochimico, microbiologico enologico.
Dagli anni Cinquanta vengono avviate collaborazioni con la Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università di Torino che sfociano anche in attività didattiche.
Nel 1958 la direzione viene affidata a Emidio Sudario, che sviluppa, tra l’altro, indagini viticole sulla difesa antiperonosporica ed enologiche sull’impiego dell’elettroforesi e sulla combinazione degli acidi nel vino.
Tre anni dopo gli succede Clemente Tarantola. Durante il suo mandato il complesso della Stazione subisce profonde ristrutturazioni e lavori di adattamento e assume la fisionomia che ha ancora oggi.
Nel 1967 un decreto stabilisce il riordino della sperimentazione agraria e che la Stazione diventi “Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti”, articolato in tre sezioni operative centrali (chimica enologica, microbiologia enologica, tecnologia e meccanica enologica) e con sezioni periferiche a Gaiole in Chianti, Velletri e Barletta.
Luciano Usseglio Tomasset nel 1986 aiuta a circoscrivere lo scandalo del metanolo
Nel 1977 l’allora direttore della Chimica viene nominato al vertice dell’Istituto: è Luciano Usseglio Tomasset, autore del volume “Chimica enologia”, testo di riferimento mondiale oggi quasi introvabile, e figura di grande rilievo a livello internazionale. Il prof. Usseglio Tomasset è tra i protagonisti del dibattito enologico di quegli anni. Partecipa a convegni, interviene sui giornali. È intervistato da tutte le tv quando scoppia lo scandalo del metanolo che dimensiona e circoscrive a una truffa di un gruppo di mestatori. Ha piglio e autorevolezza. Collabora con la Camera di commercio per rilanciare la Douja d’or, sogna una sede universitaria internazionale di enologia ad Asti.
Muore improvvisamente nel 1995 e il suo posto viene affidato a Mario Castino, fino ad allora direttore della Sezione di Tecnologia. Castino è un’altra figura di riferimento dell’enologia italiana: a lui si devono studi sui vini bianchi e rosati e pubblicazioni sull’elaborazione statistica e la vinificazione in bianco.
Nel 1997 viene designato direttore Rocco Di Stefano, che aveva preso il posto di Usseglio Tomasset alla direzione di Chimica. Di Stefano, di origini siciliane, ha dato un impulso notevole all’Istituto, sia dal punto di vista scientifico (in particolare con gli studi dedicati ai costituenti polifenolici delle uve, dei mosti e dei vini, alle sostanze aromatiche), sia dal punto di vista gestionale e strategico della ricerca. Di Stefano va in pensione nel 2003, ma il suo contributo al mondo scientifico è ancora attuale. Non ultima, ad esempio, l’analisi storica, nel novembre dello scorso anno, finalizzata alla modifica del disciplinare di produzione dell’Asti per la realizzazione dell’Asti Secco; ma innumerevoli studi portano la sua firma. Alle doti scientifiche Di Stefano aggiunge quelle umane che lo rendono tra le personalità più amate, oltre che stimate, del mondo enologico.
A Di Stefano succede, nel maggio 2003, Mario Ubigli, che si distingue per i risultati che l’Istituto continua a ottenere per la serietà e la vastità della ricerca.
Nel 2007 nasce il CREA, che promuove un radicale riordino degli istituti che vengono organizzati in Centri e Unità di ricerca. La riorganizzazione inevitabilmente causa l’abbandono dell’attività da parte di molti ricercatori, sostituiti da personale precario. È quanto si verifica purtroppo in Italia in molti enti con l’inizio dell’ultima crisi che colpisce tutti i settori.
Nel 2011 Ubigli si ritira in pensione e la direzione si tinge di rosa con Antonella Bosso, a cui nel dicembre 2012 subentra la spagnola Emilia Garcia Moruno, che già dal 2003 coordina l’attività del gruppo di microbiologia e biologia molecolare dell’Istituto. La sua avventura al Centro risale a qualche anno prima, il 1987, quando inizia a lavorare al neonato servizio analisi per l’esportazione: è l’anno dopo lo scandalo del metanolo e il mercato estero chiede nuovi esami sul vino da esportare. Emilia Garcia Moruno affiancherà poi Di Stefano nella Sezione di Chimica nel 1992, iniziando così la sua carriera che si arricchisce nel tempo di riconoscimenti internazionali.
Oggi l’austero edificio di via Pietro Micca è frequentato da studenti e ricercatori. L’auditorium capace di una sessantina di posti ogni tanto ospita convegni che sono organizzati anche nelle aule di Astiss, nell’ambito di un progetto di collaborazione con le università che hanno corsi di laurea ad Asti.
È il momento di aprirsi, di cercare nuove alleanze, di dare un futuro a una istituzione che Asti a volte si è dimenticata di avere. Un tesoro di saperi e di storia che merita di tornare a brillare.