giovedì 31 Ottobre, 2024
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1926-1943

I 74 astigiani deferiti al tribunale speciale

Colpevoli di essere oppositori del fascismo
Questa è la storia degli astigiani deferiti al tribunale speciale, l’organo istituito dal fascismo per giudicare i reati contro lo Stato e il regime. Grazie allo studio inedito del fondo sovversivi e antifascisti e di una recente ricerca dell’Israt è stato possibile rintracciare i nomi e le storie degli astigiani antifascisti schedati dalla questura sotto il fascismo. Il confronto dei dati ha portato alla stesura di un elenco di antifascisti denunciati e condannati fra il 1926 e il 1943. Dei 74 nominativi emersi dalla ricerca sono state estrapolate tre biografie personali per raccontare tre esperienze diverse fra loro unite dall’opposizione organizzata o spontanea contro il fascismo.

Dal controllo poliziesco sui sovversivi alla repressione giudiziaria

Felice Platone era un giovane giornalista e stretto collaboratore di Antonio Gramsci negli anni torinesi dell’Ordine nuovo e anche dopo con la nascita del partito comunista a Livorno nel 1921. Era nato ad Azzano il 12 febbraio 1899 e aveva la residenza ad Asti. Cugino e omonimo del primo sindaco di Asti dopo la Liberazione, era un dirigente del partito comunista clandestino e fu il primo astigiano condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato, istituito dal fascismo nel 1926. Fu condannato in contumacia il 7 maggio 1927 a scontare 12 anni. Il processo coinvolse altri otto imputati, quasi tutti giornalisti, condannati per aver svolto “Propaganda sovversiva tendente all’insurrezione e incitamento all’odio di classe”.

Platone fuggì a Parigi dove lavorò accanto a Palmiro Togliatti e ad altri dirigenti comunisti costretti ad espatriare. Nel 1936 partì come volontario per la Spagna travolta dalla guerra civile dove viene nominato capo di stato maggiore delle Brigate internazionali. Con la sconfitta del Governo repubblicano fu costretto a tornare in Francia dove venne arrestato e internato in un campo di prigionia nel 1940. Riesce a fuggire per unirsi ai partigiani francesi (i Maquis) e dopo l’8 settembre è nelle fila della Resistenza in Italia.

Dopo la guerra Platone è tornato a occuparsi del lavoro ideologico curando la pubblicazione dei Classici del Marxismo e in seguito della prima edizione dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci. Nel 1950 prese il seggio  di Massimo Bontempelli al Senato. Muore a Roma il 25 febbraio 1955. La storia di Platone si intreccia con quelle degli altri 73 astigiani che furono giudicata dal Tribunale speciale. Dal 1926 al 1943 ad Asti furono infatti denunciate al Tribunale speciale 74 persone (6 le donne). Il 90% erano schedati come comunisti, seguivano gli anarchici e i socialisti; tutti giudicati pericolosi socialmente e politicamente. La ricerca sui nomi di questi imputati risulta ostacolata dalla difficoltà di trovare tutti i documenti. Molti fascicoli risultano incompleti.   È difficile in numerosi casi stabilirne la professione a causa dei dati parziali che a volte risultano contraddittori; molti di loro si spostavano per ragioni di lavoro e nel periodo bellico entrano in scena anche gli sfollati, provenienti dai grandi centri più colpiti dai bombardamenti. La consultazione dei fascicoli personali permette comunque uno sguardo inedito sulle vite delle persone vigilate.

La sorveglianza poliziesca entrava nella vita privata: la corrispondenza, le abitudini, gli affetti e gli spostamenti erano solo alcuni dei dati riportati nelle cartelle biografiche personali corredate da una descrizione antropo-biologica del soggetto.

Una annotazione a margine: la cartella biografica già in uso dalla seconda metà dell’800 era stata modificata e arricchita nel 1902 dall’astigiano Salvatore Ottolenghi, il padre della moderna polizia scientifica italiana, professore di medicina e allievo di Lombroso che dedicò la maggior parte della vita agli studi di criminologia. Ottolenghi fu il fondatore della prima scuola di polizia scientifica al mondo, quella di Roma, nel 1903.

Felice Platone in una foto degli Anni ’50

 

Ma torniamo al Tribunale speciale e ai suoi imputati.  Consolidato il potere dopo la marcia su Roma del 1922 e il delitto Matteotti del 1924, Mussolini, in pochi anni ottiene il controllo di tutti gli organi dello Stato e il 25 novembre 1926 fa entrare in vigore una legge per debellare chi ancora si oppone al fascismo in Italia e all’estero. La legge era composta da sette articoli recanti le nuove misure speciali proposte dal Ministro della Giustizia Alfredo Rocco e delineava chiaramente gli obiettivi e l’utilizzo del sistema giuridico del Regno d’Italia da parte del fascismo: la reintroduzione di misure speciali come la pena di morte e pene detentive da uno a trent’anni, mirate all’esclusione dalla vita politica e sociale di tutte le persone contrarie al regime e alla sua propaganda che fossero dannosi per il credito e il prestigio dello Stato. Una graduale ma decisa fascistizzazione  dell’apparato giuridico dunque, attuata in parallelo con quella dello Stato.

La repressione del fascismo venne dapprima indirizzata verso tutte quelle persone percepite come elementi di riferimento della protesta sociale, successivamente i provvedimenti restrittivi riguardarono anche quei gesti individuali, quelle espressioni, quei comportamenti legati sia alla tradizione della storia del movimento operaio sia ad un semplice antifascismo quotidiano.  Bastava una frase, una barzelletta, un moto di ribellione o una palese astensione alle manifestazioni del partito per ritrovarsi segnalato e denunciato.

Il Tribunale Speciale fu un organo posto al vertice della piramide giudiziaria, una “straordinaria” ed efficiente macchina giuridica fornita di poteri speciali.

Il Tribunale era costituito da tre organi: la  presidenza era affidata a un ufficiale scelto fra le Armi del Regno o proveniente dalla Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale (le Camicie nere); lo affiancava un collegio composto da cinque giudici, scelto fra i consoli della Milizia; all’ultimo grado c’era un relatore proveniente dalla magistratura militare. Aveva sede a Roma. In casi eccezionali la legge prevede che “Il Tribunale possa funzionare, quando il bisogno lo richieda, con più sezioni, tanto nel luogo ove ha sede il Tribunale quanto in qualunque altro comune del Regno”.

Dal 1928 il ruolo poteva essere assegnato a un magistrato ordinario o a un professore universitario anche se la carica, fino alla fine del regime fascista, venne affidata sempre a un avvocato generale militare.

 

La giustizia “speciale” del fascismo decretò anche 31 condanne a morte

Chi veniva denunciato al Tribunale Speciale era immediatamente posto in stato d’arresto e non poteva usufruire della libertà provvisoria. Per i casi di lieve entità il pubblico ministero inviava gli atti al giudice istruttore del Tribunale che emetteva la propria decisione con un’ordinanza. I reati più gravi  erano assegnati a una Commissione che poteva concludere l’istruttoria con un “non luogo a procedere” o con un  rinvio a giudizio davanti al Tribunale stesso o alla magistratura ordinaria. Le sentenze erano inappellabili.

Dal 1926 al 1943 in Italia furono deferiti al Tribunale speciale 15806 cittadini di cui 891 donne; 160000 furono gli “ammoniti” o sottoposti a “vigilanza speciale”; 12330 i destinati al confino nelle piccole isole o in località sperdute del Sud e delle zone montane del Nord.

Ad essere chiamate sul banco degli imputati furono 5.619 persone; 4596  le condanne emesse e 998 le assoluzioni;  degli imputati 122 erano donne e 5497 uomini. In diciassette anni di attività il Tribunale speciale emanò 27735 anni di carcere complessivi e 42 condanne a morte di cui 31 eseguite.

Fu soppresso con il d.l. numero 668 del 29 Luglio 1943, quattro giorni dopo la caduta del fascismo e fu tra i primi provvedimenti presi dal governo Badoglio.

La vita privata era continuamente violata per chi veniva sorvegliato. Si poteva ricevere una perquisizione in casa o per strada in qualsiasi ora del giorno e della notte, o venire arrestati preventivamente a ogni visita ufficiale di un regnante o di un’ autorità fascista.

A riaprire dopo quasi un secolo quei fascicoli si prova una sensazione di disagio, ci si sente degli intrusi.

 

L’intestazione della cartella biografia dal formulario per il segnalamento del 1908

I fascicoli raccontano la vita politica e privata dei deferiti

Sembra di entrare nella vita, nei loro pensieri, nelle loro relazioni intime; ad ogni pagina non si può non pensare  chi fossero e cosa subirono per non essersi allineati ad un progetto autoritario e fascista. Ci si sente in dovere di chiedere scusa per aver “rubato” loro l’intimità a distanza di decenni, di aver interrotto un sonno lungo e polveroso imprigionato all’interno di fredde scaffalature. La ricerca ha permesso di liberare quelle storie cercando di restituire loro la giusta memoria.

La sala studio dell’Archivio di Stato di Asti fa da cornice a decine di faldoni contenenti storie di persone straordinariamente normali che grazie al loro modo di pensare, alla loro forza, all’antifascismo quotidiano hanno continuato a tenere viva l’idea di libertà.

Nelle pagine successive Astigiani pubblica la tabella con l’elenco completo dei 74 deferiti al Tribunale speciale e tre delle loro storie: una parrucchiera, un operaio e un arrotino.

 

La copertina de Nella lotta insieme

Per saperne di più

– Adriano Dal Pont, Alfonso Leonetti, Pasquale Maiello, Lino Zocchi, Aula IV, ANNPIA, Roma, 1961.

– Atti del convegno storico (Asti 18-19 novembre 1988), Fascismo di provincia: il caso di Asti, Cuneo, Edizioni l’Arciere, 1990.

– A. Del Pont, Simonetta Carolini, Luciana Martucci, Cristina Piana, Lilliana Riccò, Antifascisti nel Casellario politico centrale , Vol. 1-19, Quaderni dell’ANNPIA, Roma, 1988.

– Claudio Longhitano, Il tribunale di Mussolini, Quaderni dell’ANNPIA.

– Emanuele Bruzzone, G. Antonella Gianola, Mario Renosio, Giusti e solidali, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1992.

– M. Renosio, Tra mito sovietico e riformismo, Torino, Edizioni gruppo Abele, 1999.

– Giovanna Tosatti, La repressione del dissenso politico tra l’età liberale e il fascismo. L’organizzazione della polizia, in Studi storici, 1997, pp. 217-255.

– Fondo sovversivi e antifascisti della Provincia di Asti, Fondo Questura, faldoni 1-47, Archivio di Stato di Asti.

Un grazie speciale all’Israt e all’Archivio di Stato di Asti per la disponibilità, la formazione  e il sostegno.

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

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