Una vera pista per le corse non c’era, per non parlare delle pedane per salti e lanci. Il “cortilone” di via Natta, che sarebbe diventato una sorta di “mito” dell’atletica, povera ma amatissima, negli anni del dopoguerra, era ancora una specie di scatolone di terra battuta, utilizzato sovente come campo di calcio e qualche volta per qualche corsetta da principianti, oltre che per le esercitazioni della Gil (Gioventù italiana del Littorio).
Chi ad Asti voleva fare atletica poteva così solo allenarsi in competizioni “adattate” sotto l’Alla di piazza Alfieri, nei mesi invernali, o usare la “solita” superficie della Piazza del Mercato (oggi Campo del Palio), in quelli estivi. Eppure – siamo negli Anni ’30 del secolo scorso – mai come in questo periodo l’Astigiano poté vantare un numero così consistente di atleti di alto livello tecnico e di buoni, quando non ottimi, risultati in campo nazionale e non solo. Una “fioritura” di giovani talenti, dovuta alla sempre più totalizzante politica di “educazione fisica” del fascismo e alla promozione dello sport universitario attraverso le organizzazioni del regime come i Guf, antesignani dagli attuali Cus, da cui provenivano quasi tutti i migliori atleti astigiani dell’epoca.
Le strutture universitarie torinesi erano infatti dotate di impianti e servizi ben diversi da quelli offerti da Asti e più agevole era l’emergere delle capacità dei più dotati. Tra questi vale qui la pena di ricordare Francesco Baggio, tricolore allievi di salto in alto nel 1934, i discoboli Giacinto Accornero e Giovanni Viarengo, il martellista Ottavio Fassi, l’ostacolista Vittorio Dusio, l’argento sugli 800 del mezzofondista Giuseppe Gamba agli italiani giovanili del 1937 e il bronzo di Luigi De Michelis nella maratonina degli stessi campionati. Infine Luciano Fracchia che nel ’38 coglieva titoli piemontesi e piazzamenti nazionali di rilievo nel giavellotto e nel pentathlon.
Su tutti spicca però la stella di un giovane nato da una famiglia della buona borghesia cittadina, nella centralissima piazza Alfieri (dove, tra l’altro, si erano disputate negli Anni ’20 numerose gare di corsa e di marcia) il 24 gennaio 1915. Guido Bologna era il suo nome, famoso su tutti campi di gara italiani ed europei nella seconda metà degli Anni ’30 per le sue imprese nel salto in lungo e, secondo una regola mai infranta per chi eccelle nei salti, in estensione anche nella velocità.
La sua attività sportiva si svolse praticamente tutta lontana, ma non troppo, da Asti, nelle file del Guf Torino, in cui militò fino all’arrivo della guerra e alla forzata conclusione della pratica agonistica. Dotato di un fisico agile e sottile, del tutto privo di quei “rinforzi” muscolari dei grandi saltatori della seconda metà del secolo scorso, si segnalò piuttosto giovane per l’epoca. A soli diciannove anni, conquistò, nel 1934 all’Arena di Milano, il suo primo titolo italiano universitario (la dizione esatta era di “Littoriali dello sport”) con la misura di metri 6,95 a cui abbinò, nell’occasione, anche quello della staffetta veloce.
Negli anni successivi ne avrebbe vinti altri tre, sempre nel lungo, l’ultimo dei quali – in pratica l’ultima gara della sua carriera sportiva – nel maggio del 1940 con 6,80. In quello stesso anno, il 1934, avrebbe vinto anche il campionato italiano allievi a Bologna con la misura di 6,86, mentre nel 1935 si sarebbe aggiudicato il titolo italiano assoluto con 7,02, in una delle prime occasioni in cui riuscì a superare il “muro”, all’epoca considerato il primo limite dell’eccellenza, dei 7 metri. Per avere un paragone su scala internazionale, due anni prima Jesse Owens aveva vinto l’oro alle Olimpiadi di Berlino 1936 con un salto di 8.06 metri. Guido cominciava in quell’anno la sua lunga, amichevole, rivalità con Arturo Maffei, l’atleta toscano a lungo dominatore in Italia della specialità, di cui detenne per 32 anni il primato nazionale (7,73), stabilito alle Olimpiadi di Berlino del ’36. Nello stesso anno Guido aveva conquistato il bronzo ai campionati italiani assoluti, vinti, manco a dirlo, da Maffei, con la misura di 7,05. Una rivalità che stimolò entrambi al rispettivo miglioramento, senza però che l’astigiano riuscisse mai a prevalere sull’avversario.
Resta il fatto che i due costituirono per un paio d’anni, il 1938 e il 1939, una temibile accoppiata in tutti gli incontri internazionali sostenuti dalla Nazionale italiana di atletica. Più volte “azzurro”, Bologna ebbe nel 1939, a maturità fisica ormai raggiunta, il suo anno migliore. Dopo aver vinto anche in quell’anno i “Littoriali” con 6,95, conquistò l’argento (primo Maffei) ai campionati italiani assoluti con 7,02. Nel mese di luglio conquistò la terza piazza nell’incontro internazionale con l’Ungheria con la misura di 7,13, dietro Maffei (7,42) e Gyuricza (7,25) e qualche giorno dopo un altro terzo posto, questa volta con 7,24, nell’incontro con la Germania vinto ancora da Maffei (7,58) davanti a Luz (7,45). La misura di Guido Bologna, che costituì l’allora primato italiano universitario così come lo era stato il 7,13 di qualche giorno prima, resterà il suo primato personale.
In agosto arriva la sua vittoria più prestigiosa, conquistata in una gara di assoluta importanza internazionale come i Campionati mondiali Universitari (oggi Universiadi), in un clima che si stava facendo arroventato per gli ormai sempre più forti venti di guerra che percorrevano l’Europa e che sarebbero diventati tragica realtà solo una decina di giorni dopo con l’invasione nazista della Polonia. Proprio a seguito di uno scenario diviso in blocchi contrapposti, in quell’unica edizione, la decima della storia, i Giochi si svolsero in due edizioni distinte: una a Vienna, organizzata dalla UIE (Union International des Etudiants), con le 24 rappresentative delle nazioni ideologicamente e politicamente più vicine all’asse Italia-Germania, e una seconda a Monaco Principato, organizzata dalla CIE (Confederation Internationale des Etudiants) con le 20 squadre del “resto del mondo”.
Bologna, esponente del Guf, partecipò ovviamente a quella di Vienna, vincendo la gara del salto in lungo con la misura di 7,09, superando nell’ordine l’ungherese Istvan Gyuricza che lo aveva battuto, per la cronaca, solo un mese prima nell’incontro tra le due nazioni, e lo svedese Eliaesson. Fu la più importante ma in pratica anche la sua ultima vittoria. Gareggiò ancora per qualche tempo l’anno successivo affermandosi nei Littoriali di Milano, ma era il 23 maggio e l’Italia sarebbe entrata in guerra il 10 giugno: un conflitto a cui Guido Bologna partecipò arrivando al grado di Tenente Colonnello degli Alpini. Al termine del conflitto si stabilì a Milano dove, “Azzurro d’Italia”, svolse una lunga e apprezzata attività di commercialista e dove morì nel febbraio del 1999.