La sintesi di un lavoro di ricerca di anni perché “Senza nome e senza memoria si è condannati al buio della dimenticanza”.
Il lungo racconto narra la vita degli Ebrei durante il periodo mussoliniano in Asti. Un vecchio piccolo violino entra prepotente nella quotidianità di una donna costringendola a una ricerca difficile e tormentata.
Siamo nell’orrore della seconda guerra mondiale e in una gran confusione di persone, storie, fatti. L’autrice del libro è ricercatrice dell’ISRAT: la condivisione di Nicoletta è limpida
e precisa, mai retorica. Violenza, razzismo italiano e tedesco, ebrei condannati a prigionia terribile e morte.
I “protagonisti” sono gli ebrei, per legge mussoliniana rapiti e portati in un inferno molto lontano. Gli ebrei sono bimbi, portati con mamma e papà disperati su carri bestiame fino ai lager, bambini che ancora si divertono a giocare con la neve che trovano sul percorso e che usano anche per placare la sete che hanno. Sono gli adolescenti che si fanno compagnia:
“Fantastico, si va via di nuovo.

In treno? Giocheremo insieme sul vagone!”, i giovani e i vecchi, la speranza e l’infinito pianto, terrorizzato perché consapevole. Ogni giorno del viaggio ha i suoi problemi: il freddo, essere costretti a usare un secchio di latta come gabinetto, davanti a tutti, non
potere dormire per giorni perché lo spazio è ridottissimo.
Il violino è anche protagonista, gioca la sua melodia, è come se fosse la colonna sonora di un’opera scura e spaventosa, che accompagna con gentilezza le ore che passano. È il violino di un bambino che non c’è più.
Patrizia Camatel del Teatro degli Acerbi ne ha fatto un libretto da teatro, la postfazione è un
testo di Luciano Nattino.











































