Ogni viaggio ha arricchito la mia vita e ha avuto la capacità di donarmi energie, dandomi sicurezza, consapevolezza, fiducia. Ogni meta è figlia dell’età che avevo quando l’ho raggiunta.
Ne ricordo tre: USA ’95 sulla mitica Route 66, all’inseguimento del sogno on the road che Kerouac accendeva nel mio animo di studente poco più che ventenne.
Altro mio viaggio importante, il Brasile nel 2003 sulle tracce di Jorge Amado a Salvador de Bahia. Due settimane tra cachaça e capoeira e la sorpresa di incontrare tra le vie colorate del quartiere storico del Pelourinho, un amico rocchettese che non vedevo da anni. Per la serie “quelli di Rocchetta sono ovunque e se non li trovi, sono già passati”.
Infine, ricordo anche il viaggio in Thailandia nel 2010 ad assaporare il rilassamento e la meditazione, senza dimenticare di ricercare, sulla costa dell’oceano, tracce di quel che restava del tremendo tsunami che qualche anno prima aveva colpito anche la famiglia di un mio amico.
Ma il viaggio che più mi è rimasto nel cuore è quello che mi ha portato agli inizi del 2016 in Perù. Un’esperienza che si è presa un posto di grande rilievo in me. Dopo il Brasile sono
tornato nel sud del continente americano passando dalla caotica capitale Lima, metropoli di 10 milioni di abitanti, alla meravigliosa Ica, piccola città verso il confine cileno.
Un itinerario di 17 giorni: dalla metà di gennaio alla prima settimana di febbraio. Gelo in Italia, infradito e maglietta d’ordinanza laggiù. L’ispirazione del viaggio è maturata nel
reparto di Rrf (recupero funzionale) della clinica Maugeri a Pavia.
Il mio “agente di viaggio” è stato Marco, un infermiere con la compagna peruviana, che cercava qualcuno che andasse con loro in Sudamerica. Io ero in quel centro a fare fisioterapia. Senza pensarci troppo gli ho detto che quel “qualcuno” ero io. Avevo bisogno di trovare nuove energie.

Agli inizi di dicembre, dopo aver gettato le basi del viaggio, sono stato dimesso e a casa, dalla mia stanza che guarda le colline della frazione Mogliotti di Rocchetta Tanaro, ho
iniziato una full immersion di Perù. Dai miei libri universitari di storia moderna, dove sono andato a ristudiare le invasioni spagnole, alla conquista dell’Impero degli Inca nel XVI secolo, passando agli ultimi atlanti geografici, senza dimenticare la guida Lonely Planet, né l’immancabile Wikipedia per i dati sul paese: superficie, popolazione, reddito pro capite, valuta, tipo di governo e situazione politica, visto che in primavera si sarebbero svolte le elezioni presidenziali e per il nuovo parlamento.
Oltre a questa parte ufficiale, ero sicuro che sarebbe stato importante essere preparato bene anche su un argomento che si sarebbe rivelato fondamentale: il calcio. Ho imparato i nomi di squadre e giocatori più famosi del campionato peruviano, ma anche dei loro campioni che giocano all’estero in Sudamerica e soprattutto in Europa. Sapevo tutto delle gesta di Teofilo Cubillas che portò la loro nazionale a vincere la Copa America nel 1975.
Così, dopo aver passato gli ultimi giorni a preparare documenti e scegliere i voli migliori, per prezzo e durata, la mattina del 18 gennaio ci siamo trovati a Malpensa. C’era il sole, anche se il termometro era sottozero. Ma il nostro orizzonte si sarebbe aperto da lì a
poco, non appena imbarcati sull’aereo della Iberia, la compagnia di bandiera spagnola, direzione Madrid.

Anche il nostro viaggio alla “conquista del Sudamerica” partiva con l’avvallo di un monarca Borbone. Per salire sugli aerei, tragitti e discese, ho potuto utilizzare il servizio per persone con ridotta mobilità previsto dalla Sala Amica dell’aeroporto milanese. Un aiuto rilevante, che mi ha permesso di avere un’alta qualità di viaggio. Per chi è su una sedia a rotelle è molto importante avere questi “angeli custodi”.
Arrivati a Lima, via felpe e vai di magliette leggere. Un caldo benvenuto atmosferico che l asciava presagire giorni belli e ricchi di emozioni. Così tante che hanno risvegliato il mio spirito di cronista. Tutte le sere ho compilato un “diario di bordo”, arricchendolo con le tante foto della giornata.
Scrivendo, riassaporavo con calma tutte le cose che avevo visto. Mi ero un po’ inventato “inviato speciale”, non per una testata, ma per i miei amici social. La cosa era seguita e piaceva. Pagine che ancora oggi rileggo con piacere.
Il resoconto del viaggio vince il concorso letterario “Racconta la tua cura”
Ricordi che, pochi mesi dopo, mi hanno permesso di scrivere il racconto Io posso volare che vinse la prima edizione del concorso letterario “Racconta la tua cura” indetto dall’Ospedale “S.S. Antonio e Biagio, Cesare Arrigo” di Alessandria.
Una bella soddisfazione.

Quel viaggio ha avuto un valore aggiunto speciale grazie alla sicurezza di essere con amici
peruviani che conoscevano tutto alla perfezione. A Lima dormivo e vivevo in un barrio a un’ora di macchina dall’aeroporto, nella piccola casa della famiglia di Jenny, moglie del
mio amico. Pochi comfort ma tanto senso dell’ospitalità.
Sulle strade bianche di quella zona, da solo non avrei mai potuto andare. Ma insieme a Marco e ai suoi tanti amici limegni ho visto e conosciuto un Perù lontano dalle brochure di viaggio (Machu Picchu, con le sue erte scale in pietra, per me era inavvicinabile), ma vicino alla vita reale della gente.
Per qualche giorno, una volta a sud, “Indiana Jones” sono però riuscito a diventarlo: prima con l’emozionante viaggio in Dune Buggy a 150 all’ora sulle dune di sabbia alla Huacachina.
Poi andandomi a tuffare nelle acque del Pacifico nel giorno dedicato a vedere la riserva di Paracas.
Infine, volando sui cieli di Nazca per andare a leggere le “linee”, misteriosi geoglifi tracciati nel deserto – chissà quando e chissà per chi – che si vedono bene solo dall’alto. Un volo straordinario su un piccolo aereo a elica.
Una volta tornato a Lima, il giorno prima di partire per il rientro siamo andati in un grande centro commerciale. Mentre giravo incuriosito in cerca di piccoli souvenir, nel reparto
vini ho visto una bottiglia di Asti Spumante. Mi sono sentito in dovere di acquistarla e regalarla ai miei ospiti per un ultimo brindisi.
A casa mi stavano aspettando. Quella bottiglia me lo aveva fatto capire.








































