Prima dell’avvento dei termosifoni e del più recente affermarsi delle stufe a pellet o di altri tipi di riscaldamento, nelle cucine delle case, soprattutto in quelle di campagna, regnava il putagé. Il nome deriva dal francese potage (minestra), che a sua volta rimanda al termine pot (pentola).
Il putagé è nato soprattutto per cucinare custodendo il calore del fuoco al suo interno, con una canna fumaria collegata all’esterno per far uscire il fumo, meglio dei vecchi camini a focolare. I primi putagé erano in ghisa, piuttosto bassi a una o due piastre con un solo sportello sul davanti per il carico della legna. Si ricordano, tra l’altro, anche gli amburau, piccole stufe rotonde a una sola piastra che bruciavano soprattutto segatura: devono il loro nome, in dialetto piemontese, alla forma che ricordava la vecchia zangola, l’attrezzo usato dai pastori per ottenere il burro dal latte.
A partire dagli Anni Trenta del Novecento, si afferma una versione più “tecnologica” del
putagé, conosciuta come cucina economica. Era la caratteristica stufa quadrangolare che, oltre a scaldare l’ambiente, consentiva di cucinare sulle varie piastre munite di anelli di diverso diametro per accogliere tutti i tipi di pentole e padelle. Erano, queste stufe, in genere smaltate di bianco e successivamente disponibili anche in color marrone chiaro sfumato. Avevano da tre a cinque sportelli frontali compreso il forno rivestito di materiale refrattario.
C’erano regolatori del tiraggio e spesso al “cannone” dei fumi veniva applicato uno stendino a ombrello con stecche in metallo per far asciugare i panni. Uno spazio della piastra era occupato dalla vasca dell’acqua calda di stagno o alluminio, dotata di
coperchio con pomello. Un modo comodo ed economico di avere sempre a disposizione qualche litro di acqua calda che poteva essere utilizzata per le cotture, per allungare brodi, oppure, alla sera, per riempire le borse dell’acqua calda da portarsi a letto nei
periodi più gelidi.
Per mantenere la fiamma “vispa” si usavano tralci raccolti in fascine dopo la potatura del vigneto (sermenti) e rami di nocciolo. Sul putagé si sono esibite generazioni di
cusinere. A seconda delle stagioni, cucinavano prelibatezze che divennero, proprio grazie alla paziente e lenta cottura, piatti simbolo della cucina tradizionale del Piemonte. Dall’autunno molti tenevano in permanenza, sul bordo della stufa, la pignatta di terracotta con la bagna cauda, che di tanto in tanto veniva rabboccata con l’aggiunta di acciughe e olio.
Altri piatti tipici della cucina con il putagé sono il minestrone di verdure e fagioli, lo
stracotto di vitello fassone al Barbera e il bonet cotto nel forno a bagnomaria. Durante le giornate di festa, e in particolare alla vigilia del Natale quando si preparavano gli agnolotti, i nonni ne posavano alcuni ad abbrustolire sulla piastra del putagé per la
golosità dei bambini.
Si mettevano a seccare pure le bucce dei mandarini e delle arance con lo scopo di profumare l’ambiente.Anche nelle cucine delle osterie c’erano grandi putagé con
piastre molto capienti. Ancora oggi qualche locale ne ha mantenuto l’utilizzo: citiamo ad esempio l’Osteria della Posta da Camulin a Cossano Belbo e il Ristorante dei Cacciatori a Cartosio. Ci sono sul mercato moderne e tecnologiche cucine economiche che riproducono i vecchi putagé per mantenerne il fascino e il saggio calore.
Quel calore che, grazie alle cotture lente e pazienti, dava ai cibi sapori indelebili nella mente di chi ne ha potuto godere.