Organizzare un viaggio in auto lungo migliaia di chilometri in paesi sconosciuti, il tutto senza l’ausilio di Internet. Oggi sembra un’impresa impossibile, nei primi anni Sessanta è stata l’avventura di tre ragazzi poco più che ventenni. Carlo Veiluva, Fiorenzo Castino e Ulderico Busoni erano amici e colleghi; astigiano, originario di Monale il primo, torinese il secondo, vercellese il terzo. Tutti erano operai specializzati, addetti alle manutenzioni impianti alla Fiat. «Capitava di dover pulire una caldaia a carbone con 50 o 60 gradi, o di dover salire sulle torri di raffreddamento spaccando il ghiaccio. Facevi quel lavoro se eri uno con dei numeri», ricorda Veiluva, 79 anni. E avere i numeri garantiva un discreto stipendio, rispetto a quanto guadagnavano ogni mese gli altri operai sulla linea di produzione.
Per questo molti specializzati andavano in vacanza, un’abitudine che all’epoca non era diffusa come ora. «Sentivamo di altri che giravano l’Europa in roulotte, così un giorno nell’estate del 1963 ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti: perché non lo facciamo anche noi?» Con il naso sulla carta dell’Europa, i tre amici decidono di attraversare Spagna, Gibilterra e Marocco con la 500C − la mitica Topolino − verde oliva di Castino. La piccola Fiat, un modello del ’49, aveva già sei anni e non era il massimo del comfort. «Dietro si viaggiava con le gambe rannicchiate, ma per fortuna si poteva aprire la capote per un po’ di refrigerio. Attrezzammo l’auto con un portabagagli, una tanicaper la benzina e una per l’acqua. Partimmo a settembre da Torino, e l’avventura rischiò di finire già in corso Francia».
Un automobilista infatti non rispettò lo stop e per poco non speronò la 500C dei tre operai. Fortuna volle che le due macchine si sfiorarono soltanto. Con un sospiro di sollievo, Veiluva e i suoi compagni di viaggio puntarono verso ovest. Percorsero tutto il Sud della Francia, paese per paese. Allora i transalpini non avevano le autostrade. «In Spagna comandava ancora il regime di Francisco Franco, alla frontiera ci fermarono per ore. I doganieri praticamente ci smontarono la macchina per i controlli. Alla fine ci lasciarono passare». I tre giovani viaggiatori tirarono un sospiro di sollievo, davanti a loro c’era la prima meta: Barcellona.
Fermati dalla Guardia civil, proibito girare con i calzoni corti
«Al porto erano ancorate navi della flotta americana, migliaia di marinai si erano riversati in città. Avevano occupato praticamente ogni bar, sotto l’occhio della Military Police che aveva il compito di sorvegliare i più esuberanti. Ovviamente qualcuno dei marinai finiva per sbronzarsi, così quegli armadi della MP accompagnavano il malcapitato al porto e lo facevano letteralmente volare su una barca, in modo da farlo risalire sulla nave».
Carlo Veiluva continua a ripercorrere quel viaggio del 1963, ricostruendo un episodio accaduto a Madrid: «A settembre faceva ancora molto caldo. Così avevamo la capote abbassata, e notavamo che le ragazze ci fissavano e si mettevano a ridere. In breve tempo siamo stati fermati dalla guardia civil, che ci ha fatti scendere dall’auto con metodi poco cortesi. Sulle prime non capivamo quale fosse il problema, ma dopo qualche spiegazione abbiamo capito: era proibito girare in pantaloni corti. Così ci hanno costretto a vuotare le valigie in mezzo alla strada e indossare dei pantaloni lunghi sopra quelli corti».
In Spagna visitarono ancora Saragozza, Cordoba, Siviglia, Granada. «Molte strade erano ancora in terra battuta, i distributori rari, a Cordoba ricordo i ragazzini che chiedevano elemosina. C’è questa immagine che mi è rimasta impressa: un asino che tirava su l’acqua da un pozzo, ai piedi di un traliccio dell’unica linea ad alta tensione della Spagna». Nell’itinerario di Veiluva, Castino e Busoni ci fu anche una breve puntata in Africa. «A Tangeri ogni cinque passi ci chiedevano il passaporto. Eravamo assaliti dai bambini, che chiedevano le 500 lire d’argento, e non capivamo come mai: «quelle con le vele», chiedevano, in qualche modo sapevano che il valore dell’argento contenuto era maggiore del valore nominale, oppure cercavano quelle rarissime con le vele delle caravelle incise al contrario?»
Quel giro clandestino nella Kasbah di Tangeri proibita agli occidentali
Veiluva la descrive come una città affascinante e misteriosa, con la sua Kasbah proibita agli occidentali che finisce a strapiombo sul mare. Ma per i turisti, allora ancora rari, era meglio muoversi con circospezione. «Abbiamo visto un tedesco malmenato perché voleva entrare nel minareto. Nonostante questo, noi volevamo vedere la Kasbah: facemmo amicizia con un ragazzino che ci fece fare il giro passando di negozio in negozio, senza mettere piede nella strada principale».
Dopo una veloce visita a Rabat, i tre lasciarono il Marocco quindici giorni prima che scoppiasse la guerra con l’Algeria. Poi il ritorno attraverso la Spagna e la Francia, a bordo della 500C che non li lasciò mai a piedi. «Solo una volta – sorride Veiluva – forammo alle porte di Madrid. Un presunto gommista riparò il danno, ma dopo venti chilometri la gomma era di nuovo a terra. Un secondo gommista, questa volta vero, svelò il motivo: il suo collega aveva sostituito la camera d’aria con una già usata». Dopo 35 giorni e quasi 10.000 chilometri, finalmente a casa. I colleghi in Fiat li accolsero con un ironico «Ah, siete tornati!», poi la routine prese il sopravvento e iniziò a depositare polvere sulla memoria di quell’avventura.
Carlo Veiluva dopo qualche anno si spostò all’Ibimei, poi nel 1993 la meritata pensione. Si dedica all’arte dello sbalzo su rame, ha due figlie e una nipotina. Castino e Busoni sono scomparsi ormai da anni. Nonostante l’affiatamento tra i tre, non risalirono mai a bordo di un auto verso un’altra meta lontana. E quell’avventura sulla Topolino verde oliva restò per loro il viaggio della vita.