All’abate cistercense Filippo Malabayla (1580-1657) – oggi è noto – si debbono falsificazioni che miravano a esaltare Asti nobilitandone il passato a discapito della realtà storica.
Ma queste sue manovre non passarono inosservate neppure ai suoi tempi: anzi, diedero vita a metà del secolo XVII a un acceso confronto “a colpi di libro” con un altro ecclesiastico e storico del tempo, Francesco Agostino Della Chiesa.
Il Clypeus del 1647 dell’abate Filippo Malabayla custodito dalla Biblioteca Astense: “scudo” a difesa dell’onore di Asti difende la veridicità delle sue fonti, rifacendosi, con abile mossa e dimostrando una buona conoscenza delle antiche cronache, proprio all’astigiano Ogerio Alfieri, che nella sua Cronaca aveva f issato l’inizio dell’attività creditizia della nobiltà al 1226.
Nel 1645 il Della Chiesa, vescovo di Saluzzo, pubblicò a Torino il volume Cardinalium, archiepiscoporum, episcoporum, et abbatum Pedemontane regionis chronologica historia, nel quale sosteneva che il Comune di Asti si era affermato nel Medioevo ribellandosi ai vescovi e che l’aristocrazia cittadina aveva accumulato ricchezze gestendo banchi di pegno, cosa per il tempo considerata poco nobile e disdicevole.
Queste affermazioni (storicamente incontrovertibili e oggi comunemente accettate) suscitarono l’indignazione del Consiglio civico astese, che incaricò il Malabayla di replicare adeguatamente. Così il padre cistercense pubblicò nel 1647 un opuscolo anonimo polemico intitolato Clypeus civitatis Astensis (Scudo della città di Asti), in cui sosteneva che l’aristocrazia astigiana era stata costretta a darsi al commercio per assicurarsi un tenore di vita confacente al suo status.

Il volumetto è arrivato fino a noi e conservato dalla Biblioteca Astense. Le obiezioni di Della Chiesa non si fecero attendere molto. Nella Illustratio historica, pubblicata a Mondovì nel 1649, egli si scaglia apertamente contro il Malabayla, definendolo “nasutulus sophista”, e giudicando il Clypeus opera non attendibile: ne evidenzia le inesattezze, le modifiche e le contraffazioni e Malabayla risponde pubblicando a Lione nel 1656 un secondo Clypeus, in cui espone le supposte giustificazioni giuridiche dell’attività mercantile dell’aristocrazia astigiana: un diploma – da lui contraffatto – di Federico Barbarossa, in cui la nobiltà di Asti veniva autorizzata all’esercizio della mercatura e dei cambi senza pregiudizio della qualità nobiliare, e un altro diploma imperiale, anche questo falso, risalente al 1037, in cui anche l’imperatore Corrado II permetteva ai nobili astigiani di praticare il commercio e il credito.
Il Malabayla difendeva non soltanto l’onore della città, ma anche (e forse soprattutto) la storia della sua famiglia, che aveva operato nel settore mercantile e bancario nei secoli XIII e XIV, accumulando ingenti patrimoni. Il vescovo saluzzese, certo del fatto suo, replica con la Corona reale di Savoia, stampata a Cuneo nel 1655, in cui attacca il Malabayla senza più mezzi termini: «un certo monaco di San Bernardo riformato asteggiano, che si professa historico di questa città, [autore di] alcuni scritti pieni di vanità apocrife, fondati sopra iscrizioni inventate o da alcuni supposti memoriali di persone, che furono mai al mondo cavate overo dal medesimo monaco insegnate». (Corona reale, II, pp. 46 s.).
Tutto vero: e l’abate Malabayla questa volta non poté replicare perché era morto ad Asti nell’ottobre del 1656. Ma le sue fantasie, tese ad esaltare il passato della città, avrebbero avuto in Asti ancora lunga vita e molto più successo delle ben più rigorose ricostruzioni storiche del suo antagonista.