Guglielmo e Orsola Caccia: padre e figlia. Lei, conosciuta nel Seicento come “La monaca di Moncalvo instrutta nella pittura” fu la figlia prediletta del grande pittore detto “Il Moncalvo” e che molti definiscono “Il Raffaello del Monferrato”. E ora negli ambienti artistici che studiano la pittura del Seicento la figlia sta diventando più famosa del padre.
Una storia di famiglia intrecciata tra arte, religione, vita monastica che ha attirato l’attenzione degli studiosi solo a partire dalla metà del Novecento.
Il primo a compiere studi approfonditi su Guglielmo Caccia è stato il prof. Giovanni Romano, che durante le frequenti visite a Moncalvo scoprì anche un tesoro giacente in Comune e di fatto fino ad allora sconosciuto agli storici dell’arte. Tre quadri a soggetto floreale, ricchi di simbolismi e di eccezionale valore artistico, dipinti da Orsola Caccia. Uno di questi dipinti è in questi mesi, fino al prossimo gennaio, in mostra in Belgio nella città di Gand, capoluogo delle Fiandre.
Il quadro, da leggere come una preghiera, è ricco di simbolismi: ogni fiore porta un messaggio. La svettante peonia e ai suoi lati due garofani, sono simboli mariani e ricordano le lacrime versate da Maria alla vista del figlio crocifisso; l’oleandro e i frutti di bosco di color rosso rimandano alla Passione di Cristo e paiono osservati da tre curiosi gruccioni dal colorato piumaggio.
Del ruolo di Guglielmo e della figlia Orsola nella storia della pittura italiana si è parlato lo scorso 4 ottobre a Moncalvo, durante la commemorazione del 450° della nascita del pittore che ha preso il nome dal luogo dove è vissuto più a lungo ed è morto nel 1625.
Ma chi sono stati Guglielmo e Orsola?
Nel 1582 Guglielmo va a bottega e dimostra una sicura vocazione artistica
Vediamo la figura del padre. Nasce il 5 maggio 1568 a Montabone d’Acqui sulle colline del Sud Piemonte, da una famiglia contadina. Sono passati solo cinque anni dalla conclusione del Concilio di Trento e il Caccia, in quel clima culturale e religioso, sarà destinato a diventare, come lo definiscono gli storici dell’arte, da Timothy Verdon e Vittorio Sgarbi, “Il più importante pittore della Controriforma in Piemonte”.
Già con le prime opere Caccia, che era religiosissimo e devoto della Madonna, rispetta i dettami tridentini diffusi dall’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo e ripresi in specifico per gli artisti dal cardinale bolognese Gabriele Paleotti. La Chiesa vuole, anche attraverso le opere d’arte, riprendere il primato dottrinale e dogmatico di Roma e bloccare l’estensione del protestantesimo luterano. Non ci possono essere dubbi e distrazioni. I quadri devono “parlare” ai fedeli ai vari livelli interpretativi.
Caccia sa di essere un ambasciatore con pennello e colori chiamato a stimolare la conoscenza del divino attraverso opere dallo spessore teologico, ma dall’iconografia semplice, immediata, capace di commuovere qualsiasi credente e, secondo il Paleotti, di “compungere le viscere”.
La sua vocazione pittorica è precoce. Ha una innata capacità di disegnare e i familiari decidono di metterlo a bottega da qualche pittore perché impari il mestiere cominciando a conoscere pigmenti e tecniche di decorazione. Nel 1582 la madre e lo zio paterno Antonio lo accompagnano a Nizza della Paglia (Monferrato), alla bottega del pittore Giovanni Francesco Biancaro, detto “il ruscone” originario di Trino Vercellese, che aveva forse conosciuto il piccolo artista contadino durante suoi lavori in una chiesa di Acqui. Ci fu certamente l’intercessione del parroco di Montabone, ma soprattutto il Biancaro vide la buona mano del giovane che gli aveva mostrato qualche suo disegno.
L’accordo, consueto per quei tempi, prevedeva la permanenza del giovane allievo per un anno in bottega al fine di apprendere la pittura “con diligenza ed ubbidienza” e Biancaro si obbligava a insegnare l’arte, nutrire e vestire il discepolo.
In realtà la scuola del Biancaro durò più a lungo: dall’ottobre 1582 al marzo 1585. Il giovane apprendista imparò a conoscere tele, pennelli, colori e biacche.
La prima commessa autonoma, favorita dal suo maestro, sarà a Trino, dove realizza l’Annunciazione e la Madonna con il Bambino, San Michele e San Rocco, entrambe firmate e datate 1585. L’esito non è ancora quello di un grande pittore, ma la stoffa c’è. Le tele finiranno a Guarene.
Viene poi chiamato a collaborare per gli affreschi di una chiesa a Candia Lomellina dalla bottega dei Lanino di Vercelli dei fratelli Pietro Francesco e Gerolamo, figli del più famoso Bernardino.
Guglielmo Caccia ha così modo di frequentare attivamente una delle botteghe artistiche meglio organizzate del Piemonte. Un laboratorio ricco di cartoni e bozzetti. Inizia col montare i ponteggi, miscelare l’intonaco, preparare la calce, e dimostra ai fratelli Lanino di sapere macinare le polveri e trattare i pigmenti.
Nel 1593 prende casa a Moncalvo e prosegue a dipingere al santuario di Crea
Meraviglia tutti quando disegna a carboncino sul muro dimostrando di avere un senso innato delle proporzioni e con i pennelli delinea a mano libera i visi dei personaggi.
Quattro anni dopo svela definitivamente le sue doti iniziando a lavorare alla prima cappella del Sacro Monte di Crea. Il legame con il Monferrato non si interromperà più.
Nel 1589, a 21 anni, sposò a Casale Laura Oliva, figlia del pittore Ambrogio Oliva. La coppia nel 1593 prende casa a Moncalvo dovendo proseguire il giovane Guglielmo, tra tele e affreschi, a lavorare a Crea. Nel 1605 il duca Vincenzo Gonzaga, signore del Monferrato, gli consente di “emigrare” per soddisfare nuove richieste artistiche. Il Caccia si sofferma a Chieri poi arriva a Torino alla corte dei Savoia di Carlo Emanuele I° che lo affiancherà al maestro del tardo manierismo romano Federico Zuccari, nelle decorazioni della Grande Galleria che collegava il castello d’Acaja al nuovo palazzo ducale (un’opera andata perduta per un incendio).
La consacrazione a maestro, che negli ambienti artistici comincia a essere conosciuto come il “Il Moncalvo”, lo porta, sempre con la benevolenza dei Gonzaga, a Milano dove lavora moltissimo, cumulando anche buoni guadagni, che si sommano a quelli delle committenze a Novara, Monza, Como e, ovviamente, a Mantova dove il legame con la corte dei Gonzaga era strettissimo.
Caccia è passato alla storia dell’arte per le indubbie doti pittoriche (è stato anche un ottimo frescante) legate alle spessore teologico delle sue opere.
La sua tecnica esecutiva prevedeva, come per tutti a quell’epoca, l’uso di cartoni e modelli derivanti da incisioni che gli consentirono di dipingere moltissimo e di affidare parti delle opere agli allievi che ebbe durante il suo lungo girovagare tra Piemonte e Lombardia, compresa una puntata a Lugano. La tecnica pittorica è ammirabile nei famosi chiaro-scuri, ancora oggi oggetto di stupore e di studi accademici. Lavorò moltissimo non solo per principi, casati, ordini monastici e conventuali, importanti parrocchie, ma non disdegnò commesse meno lucrose di parroci di campagna e pievani monferrini.
Nella lectio magistralis tenuta a Moncalvo dal titolo Guglielmo e Orsola Caccia e l’arte della Riforma Cattolica, monsignor Thimoty Verdon, tra i massimi esperti d’arte sacra, da anni a Firenze con vari incarichi di responsabilità, ha tracciato un parallelo tra il Caccia e il Caravaggio.
Il confronto iconografico è stato sullo stesso tema: San Matteo e l’angelo dipinto dai due, che non si conoscevano, a pochi anni di distanza.
Della tela del Caravaggio purtroppo è disponibile solo una foto in bianco e nero perché l’originale datato 1602, fu saccheggiato dai nazisti a Roma dalla chiesa di San Luigi dei Francesi e portato in Germania; nel 1945, andò in fumo a Berlino durante un bombardamento che colpì il deposito dove c’erano alcune delle opere d’arte trafugate.
Il confronto tra le due opere secondo Verdon è stimolante: «L’angelo del Caccia ha uno sguardo intenso e devozionale, mentre quello di Caravaggio sembra prendersi libertà indecorose e distrae il lettore nonostante la stupenda luminosità dell’insieme. La storia premierà Caravaggio e non Caccia, ma dal punto di vista religioso il poco devoto Caravaggio porta il fedele fuori strada».
Un dipinto floreale da leggere come una preghiera
Un’altra storia parte da un disegno rinvenuto nell’archivio di Stato di Alessandria dal ricercatore Carlo Bianchi. È una mappa realizza da Guglielmo nel 1610 al termine di una lite con un confinante che mostra il progetto per la costruzione di un caseggiato. A lavori ultimati, il Moncalvo volle destinare parte della struttura a sede conventuale delle Orsoline in grado di ospitare quattro delle sue sei figlie, tutte monache, chiedendo al vescovo di Casale, Scipione Agnelli, di riservarsi un passaggio diretto dalla sua abitazione alle stanze delle figlie monache, per sentirle vicine e dirigerne il lavoro di pittrici.
Nel 1625 a Moncalvo nasce la scuola convento per le quattro figlie monache del Caccia
Il permesso, con precisi vincoli, arrivò nella primavera del 1625. Il Caccia, ringraziando, donò mille scudi alla curia. Il vescovo concesse il passaggio ma impose «che siano serrate e oscurate tutte le finestre quali guardano o nella strada pubblica o in case de vicini». Non senza specificare «se vi sono muraglie comuni con li vicini o con le quali si possono vedere le dette monache in casa, cortile, camere o in chiesa, si debbano alzare». Come non bastasse il vescovo puntualizzò: «Detto signor Caccia possa ritenere l’uscio aperto per il quale dalla casa della sua habitatione s’entra nel detto Monastero, ma quando vi entrerà altra (monaca non della famiglia, ndr) subito sia tenuto e obbligato a farlo serrare di materiali et buona calcina, sì che perpetuamente resti otturato e chiuso».
Verdon lo ha definito “un monastero familiare” in cui le figlie entrarono a maggio del 1625, ma pochi mesi dopo, nel novembre 1625, dovettero piangere la morte del padre.
La struttura continuò comunque a ospitare religiose fino al 1802, quando fu soppressa con altre congregazioni dagli editti napoleonici.
Secondo gli archivi le monache che vissero tra quelle mura furono centoundici, ma l’atelier di pittura cessò l’attività poco dopo la morte di Orsola nel 1676.
Le monache artiste intorno al 1650 erano una ventina. Le pittrici dovevano possedere “la virtù della pittura” e obbedire alla badessa Orsola Maddalena Caccia che, trattenute le spese per pennelli e colori, deteneva i ricavati delle commissioni «in una cassetta a due chiavi per il bisogno della Congregazione».
Non si sa quante centinaia di opere, di formati diversi, vennero create in quel monastero. I dipinti certamente attribuibili alla sola Orsola sono almeno duecento, mentre Giovanni Romano ritiene che le opere di mano di Guglielmo, dipinte o affrescate tra Moncalvo, Novara, Milano, Torino e Chieri, Astigiano e Lombardia siano state circa cinquecento.
Calcolando le opere degli allievi, i Caccia hanno direttamente e indirettamente donato alla storia dell’arte almeno un migliaio di opere.
Nonostante le limitazioni della vita conventuale, Orsola, badessa dal 1627 al 1643, ebbe committenze di livello, soprattutto da parte dei Gonzaga e della nobiltà sabauda.
Il suo dipinto capolavoro è giudicato San Luca nello studio che, ancora per qualche mese in Belgio, poi tornerà nella sede naturale, che è la sacrestia della parrocchiale di San Francesco in Moncalvo.
Sue opere sono anche al Museo Diocesano Gonzaga di Mantova, che di suor Orsola Caccia ospita l’altro sommo capolavoro il Matrimonio mistico della Beata Osanna Andreasi.
Il suo recente destino artistico la porta in questi anni a superare per notorietà la fama del padre.
Nel 2012 il castello di Miradolo ospitò una rassegna con 70 tele in mostra, cui seguì la trasferta in Usa nel 2014-15 per la mostra “Painting Mary” di Washington. Nel catalogo curato da Verdon, con il supporto di due suoi colleghi americani, appare in copertina un’opera di Botticelli e nel frontespizio un quadro di Orsola che aveva in mostra cinque tele.
Secondo monsignor Verdon «Orsola Caccia merita di essere conosciuta anche in America perché oltre al segno morbido e avvolgente la composizione pittorica denota un’intensa spiritualità, una cultura umanistica straordinaria e, in alcuni dipinti, tratti alchemici».
La figlia badessa nell’arte sacra è ora più famosa del padre
Invitato a una promotion sui tartufi moncalvesi Vittorio Sgarbi sentenziò da par suo «Orsola Caccia è la pittrice trend del momento. Le auguro di avere in America il successo che merita». Verdon sembra innescare il dibattito sulla diversa fama dei due Caccia. Il confronto tra padre e figlia considera il primo artista in attesa di una completa rivalutazione, ma al momento ancora “regionale”. La seconda, più volte “battuta” da Sotheby’s, è diventata una star internazionale. L’ultimo a richiederla è stato il Museum voor Schone Kunsten di Gand che ha ottenuto in prestito due sue tele dalla parrocchia (San Luca nello studio e San Francesco e due angeli), mentre al Comune, come si è detto, è stato chiesto il prestito di una delle tre nature morte floreali del Museo civico Vaso con fiori e tre uccelli.
Le opere dei Caccia offrono opportunità a tutto il Moncalvese
Dunque la Caccia è in mostra dal 19 ottobre al 20 gennaio 2019 in uno dei più noti musei del Belgio in compagnia di altre protagoniste della mostra Les dames du Baroque. Femmes peintres dans L’Italie du XVIème siecle et XVIIème siecle.
Dopo la parrocchia anche il Comune vuole promuovere i dipinti di suor Orsola: «Gli stupendi quadri floreali che ospitiamo nel museo civico sono uno straordinario biglietto da visita del nostro patrimonio culturale» commenta il sindaco Aldo Fara.
Il valore di queste opere è altissimo. Per fare un paragone, una piccola tela di Orsola, Madonna con Bambino dormiente, è apparsa in mostra nel 2016 al Museo civico di Moncalvo grazie a un privato che, dopo averla acquistata da Sotheby’s per 20 mila sterline, l’ha prestata per la singolare rassegna con un solo quadro esposto, per l’occasione ribattezzata Una tela riscoperta.
A Moncalvo sono in molti in questi ultimi anni ad aver A Moncalvo sono in molti in questi ultimi anni ad aver contribuito alla riscoperta del valore artistico e storico della pittura dei Caccia. In prima fila don Giorgio parroco da 9 anni, e Andrea Monti, assessore comunale al Bilancio, dipendente della Fondazione Cassa di Asti e presidente dell’Associazione culturale dedicata ai Caccia.
Il parroco non ha esitato a commissionare alla Luigi Parma, di Milano, il restauro dell’intero patrimonio cacciano detenuto dalla parrocchia: 23 tele di grandi dimensioni riportate agli originali splendori con quasi 200 mila euro di spesa, sostenuta anche dalla generosità dei fedeli e dai contributi bancari.
L’assessore Monti ha scelto nella cerchia di amici consapevoli del valore dei Caccia, appassionati moncalvesi decisi a far nascere l’Associazione cacciana. Da allora è stato un susseguirsi di pubblicazioni di notevole spessore, prima fra tutte Le chiese di Moncalvo e i capolavori di Guglielmo e Orsola Maddalena Caccia.
Attiva dal 2014, l’Associazione conta una cinquantina di soci in tutto il Piemonte e comprende anche tredici guide volontarie, coordinate da Giovanna Ferraro, che seguono turisti e visitatori proponendo un interessante itinerario cacciano.
Un vino della “Sette Colli” dedicato a Guglielmo Caccia
E ora il Caccia arriva anche in tavola con l’etichetta che riproduce il ritratto del padre Guglielmo, schizzato dalla figlia Orsola, che la cooperativa enologica “Sette Colli” ha deciso di utilizzare per vestire il “Caccia”: un suo Monferrato Rosso in bottiglia da un litro, per metà Barbera d’Asti 2015 e per metà Cabernet Sauvignon, dedicato al famoso pittore.
Per saperne di più
Orsola Maddalena Caccia, edito della Fondazione Cosso in occasione della mostra del 2012 al castello di Miradolo. Le chiese di Moncalvo e i capolavori di Guglielmo e Orsola Caccia, di Adrea Monti, don Giorgio Bertola, Giuseppe Vaglio per l’editore Lorenzo Fornaca di Asti.
Timothy Verdon e Andrea Longhi, Fede e cultura nel Monferrato di Guglielmo e Orsola Caccia, edito da Aleramo onlus in Casale Monferrato.