Ferruccio Ghigo
26-agosto 1924 – 9 novembre 2013
Enotecnico
Sono nato a Savona, ho amato il mare e vissuto di vino che imparai a conoscere alla scuola enologica di Alba. Cercavo il silenzio delle vigne e delle cantine. Silenzio e pensieri. Ne ho inseguiti tanti. I libri mi hanno fatto compagnia. Ho letto Fenoglio conosciuto ad Alba da giovane. Dei libri che più mi piacevano sottolineavo le pagine e poi li regalavo perché andassero a stupire altri. Sottolineavo anche i giornali per gli articoli che meritavano di non essere dimenticati. Ho conosciuto tanta gente e regalato loro allegria con i miei vini. Non importa se non portavano in etichetta il mio nome. Ero come l’istitutore severo di figli di altri fatti crescere ed educati vendemmia dopo vendemmia. Con Giacomo Bologna partivamo da Rocchetta alla scoperta del mondo. Ho attraversato il fiume e a Cerro ho trovato Giorgio Carnevale. Lui amava l’opera, io la letteratura. Ci siamo intesi. Sulle colline del Monferrato ho fatto sbocciare novelli e spumanti. La fama e i riti degli enologi superstar non mi hanno sfiorato. Ora non sento più l’istinto d’andar contro corrente. Tace anche quel grido…«di corsa bersagliere» che un tempo ha accompagnato il ritmo del mio fare. A quel corpo invecchiato vi chiedo, non pensate. Di me cercate traccia nel bello dei nipoti. Mi è sempre piaciuta l’ombra delle cantine e il biondo dei capelli dei miei nipoti.
Carlo Quarello
22 agosto 1939 – 16 gennaio 2014
Maestro e vignaiolo
Fui maestro, già. Ma di che cosa? Per il Ministero dell’istruzione avrei dovuto insegnare italiano, aritmetica, storia, geografia… L’ho fatto, per tanti anni, e mi piaceva affascinare i ragazzi con il racconto di luoghi lontani o di personaggi del passato che, talora, si potevano accostare a certe figure dei nostri paesi. E lo facevo, con un pizzico di irriverenza. Maestro di vita? Così mi ha detto un ragazzone con la barba e le spalle larghe, un giorno che già respiravo male. Uno dei miei tanti allievi-uomini. Può darsi. Ma mi piaceva di più essere gran ciambellano nelle tavolate degli amici nella mia casa a Cossombrato, dove il vino era festa, buonumore, ospitalità, come illustra l’etichetta del Cré, il mio grignolino che nasceva dalla vigna di Alfiano Natta. Me la disegnò Giancarlo Ferraris e ci mise, come volevo io, un’allegra compagnia. Gli amici popolavano spesso la mia casa e non mi lasciavano solo nei lavori in vigna. Una comunità chiassosa che aveva colpito Dinu, ragazzo della Svizzera francese arrivato al Cré in tempo di vendemmia per chiedere lavoro al maestro (le Maître), che sarei stato io. Ha finito per rimanere un mese da me, fino alla bagna cauda, l’appuntamento che concludeva l’annata vignaiola. In quell’occasione tutti diedero il meglio di sé, fra lazzi, frizzi, canti, balli. E generose bevute. Alla fine Dinu, al solito piuttosto taciturno, mi apostrofò dicendo: «Enfin j’ai compris, en quoi t’es maître, Carlo. Maître des ivrognes». Quella definizione mi è piaciuta molto, e starebbe bene anche sulla mia lapide.
Felice Steffenino
16 novembre 1920 – 18 gennaio 2014
Scrittore e cacciatore
Ho camminato a testa alta. Insegnato ai giovani, scritto di uomini e cose. Ho lottato per la libertà e odiato la guerra. Amavo la caccia e soprattutto i miei cani pointer che addestravo per la ferma. Divenni un esperto, scrissi libri, raccontai della loro intelligenza e della loro eterna fedeltà all’uomo che sapeva capirli.
Mi piaceva andare con loro nelle campagne attorno alla mia Calliano. Incontravo gli amici. Ricordo una mattina in un campo d’erba medica a inizio primavera. Le starne si erano già accoppiate e, a portare i cani in prova (senza schioppo!), non si faceva danno. Un amico aveva il suo setter, io al fianco un mio pointer. Discutemmo delle loro virtù venatorie. I cani non badarono alle chiacchiere e si misero in mostra: in ferma solida. Smettemmo di parlare e ci avvicinammo. Avevano ragione: una coppia di starne (per favore non chiamatele pernici) era a pochi centimetri dal loro muso. Partirono in volo, quel frullo era il segnale del buon lavoro fatto dai cani. Li ringraziammo con una carezza.
Gea Baussano
12 giugno 1932 – 28 gennaio 2013
Pittrice e restauratrice
In famiglia la pittura è il nostro linguaggio. Mio padre Ottavio mi ha insegnato disegno e teoria del colore così come io le ho trasmesse a mia figlia che del nonno porta il nome. Mio zio Eo tracciò le sue memorie anche dal lager di Mauthausen. Ho amato la storia e il Medioevo che rendevo vivo con i miei pennelli. Alla mia città ho lasciato 11 drappi di Palio con il nostro San Secondo a cavallo e la sfida tra guelfi e ghibellini che orna la sala consigliare del municipio. Ascoltano fieri, tra stendardi e torri, le parole, spesso vane e vanagloriose, che colmano l’agorà cittadina. Ho amato la natura: i fiori che coltivavo mi hanno fatto da tavolozza e ho cotto nel forno di casa pane alle olive profumato di legna del mio frutteto.