giovedì 21 Novembre, 2024
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1937-1938

Il misterioso drappo di un Palio corso sotto falso nome

La frazione di Valleandona vinse la Corsa delle Contrade
C’è un drappo del palio che racconta una storia curiosa. Risale al 1938, ma avrebbe dovuto andare ai vincitori un anno prima. Riporta l’effige di San Secondo a cavallo e ha gli stemmi dei rioni cittadini, ma è invece finito a Valleandona che lo vinse durante una strana “corsa delle contrade” disputata durante i festeggiamenti patronali di Asti a maggio del ’38. Una vicenda complicata, fatta di rinvii e accomodamenti dove entra anche il divieto del 1935 di Mussolini agli astigiani di far correre i cavalli in nome del Palio. Il drappo “fantasma” è custodito con orgoglio nella canonica della chiesa della frazione e aggiunge un tassello in più alla storia della corsa astigiana.

Sul retro del drappo la data fu corretta e il 1937 diventò 1938

 

C’è un drappo del Palio dimenticato. Risale al 1938 e racconta una vicenda ai margini della storiografia ufficiale della manifestazione che, dopo secoli di corse, riprese nel Novecento dal 1929 al 1935 e dal 1967 torna ogni terza domenica di settembre. Quel drappo “misterioso” cela una storia curiosa. È custodito a Valleandona, frazione di Asti, famosa per i suoi fossili, appeso alla parere della canonica dietro la chiesa parrocchiale. È un drappo del tutto simile a quelli del Palio. Nella raffigurazione non mancano gli elementi caratteristici e peculiari: un bel San Secondo a cavallo che tiene in mano la città e lo stemma di Asti (affiancato dai fasci littori) con il motto “Aste Nitet Mundo Sancto Custode Secundo”. L’autore del disegno, la cui firma è celata sotto gli zoccoli del cavallo, è Ottavio Baussano, artista astigiano che ha realizzato numerosi drappi del Palio nel periodo della ripresa dal 1929 al 1935.

Sul drappo, sotto lo stemma della città, c’è però la scritta: “Corsa delle contrade MCMXXXVIII A. XVI”: 1938 in numeri romani, con l’indicazione del sedicesimo anno dell’era fascista. Attorno sono riprodotti otto stemmi, riconducibili ad altrettanti rioni della città di Asti: San Paolo, San Martino, Cattedrale, Santa Maria Nuova, San Secondo, San Pietro, Santa Caterina e San Silvestro. Sul retro del drappo c’è una sorpresa: sul velluto rosso, si legge la scritta “ab antiquo 1938 – XVI”, ma si nota chiaramente che il numero 8 della data è stato ricavato correggendo il numero 7, coperto con un altro colore. Il carattere “I” è stato aggiunto al numero romano XV (per ottenere appunto il numero sedici) ma l’allineamento del testo, in precedenza centrato in orizzontale, risulta sfalsato. Che cos’era la “Corsa delle contrade” del 1938? Perché la correzione da 1937 a 1938? Perché quel drappo, del tutto simile a un Palio, con gli stemmi dei rioni cittadini, si trova invece nella frazione di Valle Andona? Facciamo un salto indietro, ritornando a quanto già pubblicato sul numero 1 di Astigiani del settembre 2012, in cui si raccontavano le vicende che hanno portato nel 1935 alla cancellazione del Palio di Asti.

I senesi, infatti, il 5 giugno di quell’anno (qualche settimana dopo la corsa di Asti, che si era tenuta il 19 maggio) avevano richiesto al Duce, durante un’udienza romana, che il nome “Palio” fosse riservato esclusivamente alla loro corsa. Mussolini, sensibile per ragioni geopolitiche alla richiesta presentata dai toscani, impose che tutte le corse del Palio che si disputavano nella tradizione italiana, non solo quella di Asti, dovessero chiamarsi “certame cavalleresco”, lasciando il nome Palio alla sola città di Siena. Gli astigiani, forse paghi d’aver ottenuto nel 1935 l’istituzione della Provincia, con Asti capoluogo, ubbidirono a modo loro: smisero di correre il Palio, ma non “digerirono” l’imposizione del “certame cavalleresco”. 

La fotografia del gruppo di Valleandona vincitore della corsa del 1938: il fantino indossava la camicia nera con banda colorata

 

Nel 1935 era arrivato il divieto del Duce agli astigiani a usare il nome Palio

 

Fu dapprima indetta la corsa per i festeggiamenti patronali del 1936, ma poi la rinviarono all’anno successivo. Un gruppo di militari astigiani in Etiopia evocò Il Palio sulle rive del lago Ascianghi, facendo però trotterellare gli asini. Si è detto che la scelta di non correre più da quell’anno fu dettata dal rifiuto di sottostare all’imposizione “senese” ordinata dal Duce. Nel 1929 la rinascita del Palio (che si era disputato con questo nome fino al 1863) era infatti verosimilmente avvenuta anche per dare maggior lustro alla città, che si candidava a tornare a essere capoluogo di Provincia. Va considerato anche il cambio di Podestà, da Vincenzo Buronzo, deus ex machina del nuovo ente amministrativo e della rinascita del Palio, sostituito il 15 ottobre 1935 da Domenico Molino, che aveva differente sensibilità nei confronti della corsa. Buronzo aveva anche scritto a Roma e tentato, invano, di opporsi al divieto di uso del nome Palio, ma gli ordini del Duce non si potevano discutere. Confermando il rinvio dell’anno precedente, nel 1937 la corsa venne nuovamente indetta, con il nome di certame cavalleresco. La Gazzetta d’Asti del 13 aprile 1937, elencando i programmi delle Feste Patronali di San Secondo, annunciava che si sarebbe dovuto svolgere giovedì 6 maggio. 

Questo il testo dell’annuncio: “Sulla Piazza E. Filiberto (già del Mercato): CERTAME CAVALLERESCO – Tradizionale Corsa Cavalli di S. Secondo in costumi del 1500 – Sotto l’Alto Patronato di S.A.R.I. il Principe di Piemonte. Ore 11: Sfilata dei Cortei rionali. Ore 16,30: Sfilata del corteo e corsa”. Il medesimo programma è stato pubblicato anche sul giornale La Provincia di Asti (il nome che aveva assunto negli anni del Regime la ex testata liberale Il Cittadino) del 17 aprile. È curioso che sia stata aggiunta anche la denominazione “Corsa Cavalli di S. Secondo”, quasi a voler edulcorare il titolo imposto dal regime. Poche settimane prima del giorno previsto, la corsa venne però annullata (vedi Astigiani n. 1, pag. 10). È dunque presumibile che la correzione di data sul retro del drappo di Valleandona testimoni che il vessillo realizzato nel 1937, e non impiegato, sia stato riutilizzato l’anno successivo in una manifestazione chiamata appunto “Corsa delle contrade”. 

Un’immagine della spilla ricordo che fu realizzata nel 1938 in occasione della Corsa delle Contrade. La raffigurazione di San Secondo a cavallo ricorda quella disegnata da Baussano per il drappo vinto da Valleandona

Sui giornali poche notizie di quella corsa “fantasma”

 

Gli otto stemmi sono ancora quelli dei rioni iscritti alla corsa del 1937, mai disputata, e non più sostituiti con quelli degli effettivi partecipanti del 1938, principalmente frazioni della città. Notizie precise su questa corsa, se non quella della vittoria di Valleandona, non se ne sono trovare. Non è neppure nota la scelta del nome “Corsa delle contrade”, assai curiosa visto che ad Asti la denominazione “contrada”, tipica di Siena, non era abitualmente usata. Secondo documenti conservati all’Archivio Storico del Comune di Asti, nel mese di marzo del 1938, quando non era ancora certo il programma dell’evento, si utilizzava però la denominazione “Palio o certame cavalleresco”. Inserire la parola contrade può sembrare quasi una velata ripicca: i senesi ci rubano la parola Palio e noi ci prendiamo le contrade. La tradizione delle corse di cavalli per le feste di San Secondo non fu interrotta.

La Gazzetta d’Asti del 1938 non riporta la notizia di quella corsa e tra le copie de La Provincia di Asti conservate alla Biblioteca Astense mancano quelle delle edizioni pubblicate tra il 13 aprile e il 20 luglio. Negli Anni ‘30 il Palio si correva infatti a maggio, in occasione delle Feste Patronali di San Secondo. Le copie di quel settimanale, non reperibili in biblioteca, sono però presenti nella collezione privata dell’avvocato Luigi Florio che le ha messe a disposizione di Astigiani, permettendo di chiarire alcuni punti. Sull’edizione del 4 maggio 1938 si legge infatti che Valleandona, in corsa con il numero 14, aveva vinto la finale. I partecipanti erano stati quattordici e si erano sfidati in tre batterie sul campo di piazza Emanuele Filiberto (oggi piazza del Palio): cinque avevano preso parte a una corsa di consolazione, sei alla finalissima. Avevano disputato la corsa i cosiddetti “gruppi rionali” di Portacomaro, Sessant, Castiglione, Vaglierano, Serravalle, Valleandona, Variglie, Montemarzo, Quarto, San Marzanotto e Valgera, ma anche tre associazioni di origini fasciste, sempre definite “gruppi rionali”: “3 gennaio”, “23 marzo” e “28 ottobre”. Date legate a episodi della storia del Regime (discorso di Mussolini sul delitto Matteotti, fondazione dei fasci, Marcia su Roma) utilizzate dall’O.n.d. (Opera nazionale dopolavoro) per battezzare i gruppi ad essa affiliati.

La scelta di non far correre i rioni cittadini sarebbe stata presa per non urtare gli animi della popolazione della città che non gradiva l’imposizione di togliere il nome Palio. Diversi gruppi rionali che presero parte a quella corsa provenivano da frazioni di Asti che fino al 1929 erano comuni autonomi, poi aggregati alla città per accrescere il numero degli abitanti in vista dell’istituzione della Provincia e del nuovo ruolo di città capoluogo. Sul giornale del 1938, si riporta la partecipazione di ben 20 000 spettatori, e sono pubblicate anche due fotografie, una dei cavalli in corsa e una di un fantino a cavallo, attorniato dal pubblico: si tratterebbe dell’accoppiata vincitrice, ma non c’è una didascalia precisa, così come nell’articolo non sono riportati i nomi dei cavalli e dei fantini. La seconda foto confermerebbe la notizia, tramandata oralmente, che il fantino vincitore sarebbe stato un militare dell’esercito, vestito con una camicia nera e una fascia bicolore.

La corsa però non è stata circondata dal fasto di costumi degli anni scorsi per ragioni contingenti, ma non si può dire che sia mancato un grande concorso di popolo. Basti dire che dalle frazioni rurali e da alcuni paesi sono convenuti veri e propri cortei di migliaia di persone con vessilli, musiche, donne in costume” si legge ancora a pagina 3 de La Provincia di Asti del 4 maggio 1938. Altre informazioni sulla Corsa delle Contrade si possono trovare sul pieghevole stampato per le feste patronali di quell’anno. La corsa si svolse domenica 1 maggio, alle 15; nel pomeriggio di martedì 3 maggio, giorno di San Secondo, sulla medesima pista di piazza Emanuele Filiberto si disputò poi un’altra “corsa di cavalli”, non meglio specificata.

Il giorno precedente, sabato 30 aprile, alle 11, era prevista la consegna del Palio, cerimonia equivalente all’attuale stima, e per le 11 di martedì 3 era stata programmata l’offerta del Palio alla chiesa di San Secondo. Tale tradizione è stata mantenuta per diversi anni, anche nel Dopoguerra, utilizzando sempre il medesimo drappo, risalente all’Ottocento e custodito all’Archivio Storico comunale, nonostante non si disputasse più la corsa. Sul medesimo opuscolo si trova anche il regolamento della corsa, in cui è scritto che: ”Le Autorità presenti nel palco consegneranno al primo lo Stendardo e Lire 500”. Agli altri finalisti, erano riservati gli altri tradizionali premi, tra cui l’acciuga all’ultimo arrivato. Una manifestazione, quindi, del tutto simile al Palio, ma non nel nome, proibito dal Regime. Ulteriore curiosità che andò ad arricchire quella corsa fu la realizzazione di alcune spille che riportano la stessa figura di San Secondo dipinta sul drappo vinto da Valleandona e la scritta “Corsa delle Contrade – Asti – Anno XVI E.F.”. Furono probabilmente offerte agli ospiti a ricordo dell’evento.

L’articolo del giornale La Provincia di Asti del 4 maggio 1938

Il drappo abbandonato in solaio è stato ritrovato nel 1976

 

Ritornando al drappo custodito a Valleandona, va rilevato che era stato rinvenuto nel 1976 dall’attuale parroco Luigi Berzano dopo il suo insediamento nella frazione astigiana. «Ristrutturando la canonica, abbiamo visto casualmente quel drappo nel sottotetto: era arrotolato e dimenticato in mezzo alla paglia utilizzata come isolante – ricorda il sacerdote -. Valleandona era rimasta senza un parroco residente più o meno per otto anni dopo il trasferimento di don Venturello a Motta di Costigliole nel 1968. La canonica era quindi disabitata ed era caduta in degrado prima che arrivassi io. Pochi mesi dopo il ritrovamento, il drappo è stato sistemato da un pittore di nome Freddi che all’epoca si occupava di realizzare e restaurare opere nelle chiese».

La seconda guerra mondiale e le altre vicende storiche avevano fatto dimenticare quel cimelio, ma non del tutto. A quasi ottant’anni di distanza dalla vittoria il drappo viene esposto sul frontone della chiesa in occasione delle feste più importanti dell’anno, alla Madonna Assunta, celebrata il 15 agosto, cui è intitolata la chiesa. Di fianco al portale di entrata ci sono infatti due supporti per poterlo esporre e per ricordare quel particolare momento vissuto dalla comunità di Valleandona. Tra la gente della frazione, che ha visto nei suoi boschi crescere la discarica di Asti e negli Anni Ottanta ha vissuto la stagione delle battaglie contro l’ipotesi di raddoppio dell’impianto, ora chiuso e monitorato, quel drappo ha ancora un significato.

Valleandona, oltre alla vittoria nel ’38, ricorda don Gallina, un prete scomodo

Di Alessandro Besio

Don Giuseppe Gallina durante una manifestazione a Valleandona

 

Per la frazione astigiana cavallo e fantino furono presi in prestito dall’esercito

 

Il ricordo della vittoria di Valleandona in quella corsa del maggio 1938 non è svanito. Parlandone emerge tra le memorie degli abitanti più anziani della frazione il nome di un certo geometra Riccardo Boccignone che iscrisse cavallo e fantino alla gara a nome di Valleandona. L’invito doveva essere arrivato dall’alto delle gerarchie comunali che quell’anno avevano deciso di mantenere la tradizione della corsa dei cavalli montati a pelo, in occasione della feste patronali di San Secondo, trasformandola in una gara aperta al contado, tra le “contrade” rappresentate tra le frazioni del circondario di Asti città. C’era sicuramente anche la presenza del partito fascista, visto che tra le contrade concorrenti erano stati iscritti anche circoli dopolavoristici cittadini. Nelle rare foto dell’evento anche i fantini hanno la camicia nera e si distinguono solo per una tracolla dai colori diversi. Fu probabilmente lo stesso Boccignone a procurare a Valleandona un fantino assoldando un militare buon cavallerizzo di stanza in una delle caserme di Asti. Anche per questo il suo nome non compare nelle cronache. Se fosse stato un giovane del paese, la memoria della sua impresa sarebbe certamente più viva.

Estate 2015: il drappo è esposto fuori dalla chiesa di Valleandona in una giornata di festa.

Una staffetta in bici annunciò al paese la vittoria della corsa

 

Si ricorda invece l’arrivo in bicicletta lungo lo stradone per Torino, passando dal Palucco, di chi aveva assistito alla corsa in piazza Emanuele Filiberto e portò a Valleandona la notizia della vittoria. A fine giornata arrivò, su un’auto scoperta, anche il drappo conquistato in piazza ad Asti con l’immagine di San Secondo a cavallo, gli stemmi e i fasci littori. A Valleandona nessuno si accorse, o non fecero caso, al ritocco della data dell’anno prima e non andarono troppo per il sottile. Avevano vinto. Immaginiamo i discorsi di circostanza di qualche notabile in camicia nera. Fu certamente l’occasione per “tirare il collo” a parecchie bottiglia di vino. Si era nel maggio 1938. Due anni dopo la bufera della guerra avrebbe allontanato il ricordo di quel giorno che è riemerso dalla polvere solo dopo alcuni decenni quando, nel 1976, l’attuale parroco, don Luigi Berzano, ritrovò lo stendardo arrotolato nel sottotetto della canonica. Ed è proprio dalla parrocchia che possono arrivare altri spunti di riflessione attorno al significato di quella vittoria. È necessario però fare un ulteriore passo indietro e dal 1938 tornare al 1920, in pieno “biennio rosso”.

In quell’anno, nella parrocchia di Valleandona, si insediò un giovane curato, don Giuseppe Gallina, che fu presto molto amato da tutta la comunità. Un parroco di campagna dal temperamento impulsivo che, negli anni, non nascose l’insofferenza verso le regole della dottrina più rigida e verso le istituzioni più paludate. Don Beppe è ricordato così da un suo nipote, Luigi Zunino, già presidente dell’Ospedale di Asti negli Anni ’80, consigliere per il partito socialista: “Mio zio era un uomo di grandi passioni e di grandi virtù”. Tra i suoi meriti l’aver contribuito a sviluppare a Valleandona una società di mutuo soccorso tra i contadini e i piccoli artigiani. Nelle prediche non lesinava paragoni che, con l’avvento del regime fascista, suonarono ancor più sovversivi: “Gesù Crist a l’era el prim sosialista”. Anno dopo anno il suo “cantare fuori dal coro”, il non aggiungersi alle lodi e al consenso attorno al regime fascista, lo inimicarono con le gerarchie ecclesiastiche e politiche. 

Come collegare la figura di don Gallina alla corsa delle contrade vinta da Valleandona nel 1938? Azzardiamo. Un anno prima, nel 1937, don Gallina era stato trasferito dalla sua amata parrocchia valleandonese e mandato dal vescovo in un santuario nei pressi di Villanova. Quell’allontanamento, quella separazione dal paese fu mal digerita dagli abitanti della frazione che vissero la decisione come un torto subìto dalla comunità. Non mancarono proteste e petizioni. Quella corsa delle contrade, grazie all’intervento del geometra Boccignone, poteva essere un’occasione per far dimenticare le tensioni e riportare Valleandona nell’alveo del consenso verso le autorità costituite. Se l’operazione riuscì non è dato di saperlo. Il drappo fu vinto, custodito e poi dimenticato. E ora, dopo il ritrovamento, è tra i simboli della storia della piccola frazione alle porte di Asti, così come i fossili di quando qui c’era il mare e le battaglie della fine del Novecento per non essere sommersi dai rifiuti della mega discarica. Sembra uno di quei racconti che i nonni tramandavano ai nipotini, eppure ogni cosa è successa

Le Schede


 

 

L'AUTORE DELL'ARTICOLO

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Astigiani è un'associazione culturale aperta, senza scopo di lucro, che ha bisogno del sostegno di altri "Innamorati dell'Astigiano" per diffondere e divulgare la storia e le storie del territorio.
Tra i suoi obiettivi: la pubblicazione della rivista trimestrale Astigiani, "finalizzata alla raccolta e diffusione di informazioni e ricerche di storia e cultura astigiana dal passato remoto a quello prossimo, con uno sguardo al presente e la visione verso il futuro (dallo statuto), la raccolta di materiale per la creazione di un archivio fotografico, video e documentale collegato al progetto "Granai della memoria", la realizzazione di presentazioni pubbliche e altri eventi legati al recupero della memoria del territorio.

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