Asti ebbe un forte legame con Garibaldi, che venne in città più di una volta. A fianco dell’eroe dei due mondi combatterono anche alcuni astigiani, che poi costituirono la Società Reduci Garibaldini Astesi.
La terza moglie di Garibaldi, Francesca Armosino, era dei Saracchi di San Martino Alfieri, dove Garibaldi si recò a fine ottobre 1880, per controllare i lavori di una casa che aveva finanziato al cognato e poi rientrò a Caprera.
La sua prima visita ad Asti è ricordata dalla lapide posta sulla facciata del Reale in piazza Alfieri. Il 13 marzo 1867 una grande folla lo accolse alla stazione, lungo le vie del centro e gremì piazza Alfieri. Garibaldi si affacciò da un balcone dell’albergo Reale per arringare e spronare gli astigiani sulla necessità di rivendicare a Roma il ruolo di capitale d’Italia, cosa che avverrà tre anni dopo con la presa di Porta Pia.
La morte di Garibaldi (2 giugno 1882) destò grande commozione anche ad Asti. Il sindaco Pittarelli stabilì che ai balconi degli edifici pubblici e delle associazioni “sventolassero bandiere velate a bruno, issate a mezz’asta”, mentre imponenti onoranze funebri si tennero la domenica successiva 11 giugno. I sindaci, le associazioni di Asti e del circondario, la banda musicale, le bandiere di 20 comuni, 82 società operaie e 28 corporazioni con una marea di gente giunsero in piazza Alfieri, dove era stato eretto un palco con una colonna che sosteneva un busto di Garibaldi, realizzato in
soli tre giorni dallo scultore astigiano Ernesto Solari.
La signora Bigliani, proprietaria del Reale, fece addobbare il balcone da cui parlò Garibaldi con fiori e bandiere e con l’epigrafe dettata dal geometra Carlo Benzi: «Da questo balcone il 13 marzo 1867 Garibaldi arringava con forti parole gli astigiani preconizzando l’entrata in Roma».
Fu di grande effetto, piacque molto quell’epigrafe e nacque così l’idea di inciderla sul marmo. La lapide, realizzata dall’astigiano Giovanni Arduino, fu inaugurata il 29 aprile 1883. Posta al centro tra due balconi del palazzo però, oggi non consente di stabilire esattamente da quale balcone si affacciò il generale. Forse da quello verso cui volge lo sguardo il suo profilo.
Una curiosità che non muta il valore storico della lapide. Quel giorno, insieme alle autorità, c’era anche la vedova Francesca Armosino, con i figli Manlio e Clelia, tutti vestiti a lutto. C’erano bandiere e labari di 40 società e associazioni e la banda intonò l’inno di Garibaldi.
Subito dopo fu scoperta la lapide di marmo bianco sormontata dall’effigie dell’eroe. Al termine della cerimonia, tutti in municipio dove, dopo il brindisi, l’avvocato Canuto
Borelli donò alla città una lettera autografa di Menotti Garibaldi, il figlio dell’eroe diventato deputato, e un bastoncino uncinato di ginepro che era servito a Garibaldi
per avvicinarsi ai mobili di casa, quando a Caprera negli ultimi anni di vita doveva trascinarsi sulla carrozzella.