Agli scacchi, con regole non troppo diverse dalle attuali, giocavano già gli antichi assiro-babilonesi, altri indicano la Cina come luogo d’origine. I primi trattati risalgono al Medioevo e tra questi, il più importante in assoluto, composto alla fine del XIII secolo, è stato scritto da un frate originario della Val Bormida astigiana, fra Jacopo da Cessole.
Il Liber de moribus hominum et officiis nobilium super ludo scachorum (in breve ricordato come De ludo), questo il titolo dell’opera, fu scritto dal monaco domenicano fra Jacopo, originario di Cessole, probabilmente verso il 1295.
Ricaviamo le notizie sul libro, che qui riportiamo, dal volume Storia degli scacchi in Italia (ed. Marsilio), scritto da Adriano Chicco e Antonio Rosino, due studiosi della storia degli scacchi, oltre che ottimi giocatori.
L’abbondanza di codici ancora conservati testimonia l’interesse che il Liber di fra Jacopo suscitò nelle corti italiane del tardo Medio Evo e del Rinascimento; del testo, scritto ovviamente in latino anche se contiene qualche intercalare in volgare lombardo, esistono circa 250 copie manoscritte redatte nel XIV, XV e XVI secolo, di cui una cinquantina sono custodite in diverse biblioteche italiane.
Uno dei codici più preziosi, per le illustrazioni che contiene, è quello della Biblioteca Estense di Modena, altri sono a Venezia, nella Biblioteca Marciana, due copie si trovano a Firenze (alla Biblioteca Medicea Laurenziana e alla Biblioteca Nazionale), una alla Biblioteca Vaticana di Roma.
Alcuni di questi codici sono ricchi di illustrazioni; ve ne sono di due tipi: talvolta i pezzi degli scacchi sono riprodotti tali e quali come si usavano al tempo della stesura del codice, mentre in altri casi troviamo illustrazioni in cui i vari pezzi sono sostituiti da personaggi (il re, la regina, i cavalieri, gli alfieri) in costume d’epoca. Con l’avvento della stampa, il Liber di fra Jacopo fu tra i primi ad essere pubblicato, sempre nella versione in latino. Le prime edizioni a stampa si collocano alla fine del ’400: ne troviamo un’edizione impressa a Tolosa nel 1476, ora alla Nazionale di Firenze, un’altra edita a Milano nel 1479 (se ne conservano copie a Mantova, all’Ambrosiana di Milano e alla Biblioteca Nazionale di Torino).
La prima traduzione in italiano risale al 1493, e fu edita a Firenze ad opera di un certo Miscomini; la seconda è del 1543 e fu stampata a Venezia; un’edizione si ebbe anche in Germania, risalente al 1495, e altre negli anni immediatamente successivi, in varie lingue, tanto che si può dire che nessun altro trattato medievale ha avuto la fortuna europea del libro del nostro frate di Cessole.
Veniamo appunto al contenuto dell’opera di fra Jacopo: va detto che non è un libro sul gioco degli scacchi, ma un trattato morale, tipico del Medioevo, ricco di exempla tratti da favole, racconti, aneddoti su cui i frati predicatori costruivano i loro sermoni.
Descriveva le mosse e ne traeva “exempla” per i suoi sermoni
La straordinaria curiosità dell’opera è che nel libro gli exempla, circa un centinaio, sono presi dal gioco degli scacchi. Dopo aver introdotto il suo raccontare narrando l’origine del gioco (secondo lui l’inventore fu il filosofo Xerses, che lo insegnò al re Evilmerodach, figlio di Nabucodonosor, affinché questi non vivesse in ozio, ma apprendesse la saggezza e la virtù), fra Jacopo passa a descrivere i “pezzi” presenti sulla scacchiera, che sono quasi come i nostri di oggi: troviamo il re, la regina, gli alfieri, i cavalieri (oggi li chiamiamo cavalli), i rocchi, vale a dire le torri. E poi ci sono i pezzi minori, gli otto pedoni, a ciascuno dei quali l’autore compara una categoria di lavoratori: il contadino, il fabbro, il notaio, il mercante, il medico speziale, l’albergatore, l’ufficiale del comune, lo scialacquatore. Tutta la gamma, insomma, della società, in cui ciascuno ha un compito e un destino.
è molto probabile che fra Jacopo servisse di questi exempla per le sue prediche, e che soltanto verso la fine della sua attività di predicatore, abbandonata per assumere incarichi di maggior rilievo, si sia deciso a raccogliere in un volume i suoi scritti, composti in un discreto latino tardo medievale.
Scrive lui stesso che è giunto alla decisione di riunire i suoi exempla sul sollazzevole gioco degli scacchi soltanto in seguito alle insistenti pressioni di molti suoi confratelli.
Le mosse della Regina e la condizione femminile nel Medioevo
Il De ludo scachorum non si può definire un trattato scacchistico vero e proprio, perché della teoria del gioco Fra Jacopo parla poco, e spesso in modo approssimativo. Tra l’altro, fra Jacopo segue le regole del tempo, per cui ad esempio la Regina poteva muoversi di una sola casella per volta (soltanto dopo la riforma del XVI sec questo pezzo degli scacchi ebbe la libertà di manovra che ha adesso), giustificando il fatto con l’affermare: «…la quale nel viaggio suo non va se non un punto… perché le femmine non debbono andare troppo… a torno».
Il suo è un libro di carattere morale, arricchito da ricordi di vita vissuta e da esempi pratici ricavati dal suo peregrinare come predicatore; qualche volta cita personaggi astigiani, come un certo Oberto d’Asti, mercante e cambiavalute, che si dice appartenesse alla famiglia dei De Gutueriis, i Guttuari; oppure quando afferma che Porteris, fratello del re dei Longobardi Edigoberto, nel fuggire dal suo nemico Grimoaldo «capitò ad Asti».
Ma molto più frequenti sono le allusioni a Milano – dove in un atto del 9 gennaio 1318 fra Jacopo figura come vicario dell’Inquisitore di Lombardia – ed ai milanesi, tra cui dovette predicare a lungo. Il nostro Jacopo non era tenero nei confronti dei milanesi e dei lombardi in genere: in un punto del suo libro si legge, in volgare, «Quei de Milan son larghi de bocca e stretti de man».
Per gli scacchisti questo libro ha un altro non piccolo merito: quello di aver contribuito a far capire alle autorità ecclesiastiche, allora piuttosto dubbiose sulla moralità del gioco, che gli scacchi non erano opera diabolica e che potevano essere praticati senza danno per la pubblica morale. Su fra Jacopo non si hanno molte notizie: si sa che era, appunto, originario di Cessole (la conferma del luogo di nascita si ebbe soltanto nel 1960, in seguito alle ricerche di uno studioso domenicano tedesco, Tommaso Kaeppeli), e che era un frate predicatore, appartenente con ogni probabilità all’ordine dei Domenicani; ad Asti esisteva sin dal 1219 un convento di Domenicani, e non è impossibile pensare che fra Jacopo sia vissuto qui per un certo periodo; sappiamo che negli anni attorno al 1320 visse a Genova nel locale convento dei Domenicani, dove ebbe la carica di “mandatario generale” nel 1317.
Dovette anche vivere in Lombardia, perché nel 1318 un documento lo definisce vicario di Jacopo da Levanto, inquisitore di Lombardia, ma qui i dati si fanno confusi, perché la provincia domenicana di Lombardia era molto estesa, e comprendeva anche Genova.
Sulle sue date di nascita e di morte non sappiamo molto: un documento del 1322 rogato dal notaio Ugolino Cerrino lo definisce esecutore testamentario, quindi evidentemente era ancora vivo a questa data; un testo settecentesco che lo nomina, opera di un certo G. Negri, afferma che il nostro frate morì nel 1295, ma la data è evidentemente sbagliata, e quell’anno, il 1295, è quello in cui più probabilmente fra Jacopo scrisse il suo libro, destinato a passare alla storia, perlomeno a quella degli scacchi.