Sacerdote e progettista di chiese. Nato a Pisa, si laurea a Torino nel 1953
Don Quaglia, sacerdote da sempre interessato all'architettura e all'arte
Don Quaglia è scomparso il 25 luglio 2018 a 94 anni. Nella sua lunga vita ha progettato e diretto i lavori di restauro in decine di chiese. C’era chi lo chiamava l’architetto delle case di Dio.
Astigiani pubblica in esclusiva, grazie alla collaborazione con Caterina Calabrese, amica del sacerdote architetto, con il quale ha condiviso ricerche storiche, ampi stralci di questo memorandum autobiografo che lo stesso don Quaglia ha scritto intitolandolo
“BIOGRAFIA DI DON QUAGLIA
SCRITTA DA SÉ MEDESIMO”
Ecco la sua premessa.
Non era mia intenzione scrivere queste memorie, gli archivi della Curia sono abbondanti di notizie, ma sono state le Soprintendenze di Torino, e i miei Superiori Ecclesiastici a impormelo come ricordo storico, compreso il mio curriculum e la storia della mia famiglia.
Sfollato a Cerro Tanaro entra in seminario nel 1943
«Ho conosciuto meglio la città di Asti quando nell’ottobre del 1943 sono entrato nel Seminario Vescovile per frequentare il Corso Teologico. Doveva essere una soluzione provvisoria in quanto essendo nato e cresciuto a Pisa e sfollato a Cerro Tanaro nel 1943, la mia intenzione era quella di tornare, appena terminata la guerra, nella città natia. Invece le cose sono andate diversamente e sono rimasto per sempre ad Asti. Avendo mio padre una proprietà agricola di 20 ettari a Cerro Tanaro, ogni anno il mese di agosto lo passavamo in Piemonte e qualche mercoledì si veniva ad Asti per il mercato.
Proprio per questa frequentazione estiva del Piemonte, fino a 19 anni ne conoscevo un po’ la storia e soprattutto avevo notato la diversità dell’ambiente agricolo. In Toscana la zona della valle dell’Arno era pianeggiante. Ricordo le paludi fra Pisa e Marina di Pisa, la caccia ai germani reali di passaggio, la costruzione dei canali di bonifica, il mare, la pineta, bocca d’Arno con le barche dei pescatori che arrivavano col pesce ancora vivo. Non vi erano vigne come qua, ma le viti erano coltivate lungo il perimetro dei campi. Quando il treno arrivava verso Novi Ligure, dal finestrino entrava aria profumata con odore di fieno, di prati tagliati, un clima diverso. Asti è una città d’aspetto severo, con strade strette e acciottolate, chiese non di marmo, ma di mattone a vista. È questa la caratteristica delle città piemontesi, che mi faceva sentire la diversità dell’ambiente toscano nel quale ero abituato a vivere. Con l’abitare ad Asti ho conosciuto meglio il centro storico quasi del tutto ancora entro la cinta muraria, se si esclude la zona della stazione, di San Pietro e della borgata di Tanaro.
Ritenevo, come tanti, che la chiesa di San Secondo fosse la Cattedrale, ho poi scoperto una città ancora col reticolo stradale romano, antiche torri […]
Certo pensare agli inverni pisani assai miti, alle passeggiate domenicali sui Lungarno o al sole sul fianco sud del duomo, alla tramontana che rinsecchiva le labbra e la pelle, alle belle chiese romaniche o gotiche in marmo o in pietra verrucana, ai grandi monasteri, la differenza c’era. In seminario ho trovato un ambiente sereno e accogliente, il che ha facilitato il mio inserimento, anche se il primo anno ho trovato difficoltà nei testi di studio, tutti in latino, anche la grammatica ebraica, e io avevo la maturità scientifica […]
Ma con l’aiuto di Dio e la comprensione dei superiori […]
La mia famiglia ha le radici a Rocchetta Tanaro ove il mio bisnonno Giovanni Quaglia, medico chirurgo, laureatosi nel 1839 all’Università di Torino, è nato e ha sposato la rocchettese Francesca Pettazzi, di una famiglia di notai. Il figlio Angelo, nato a Cerro nel 1844, dopo molti spostamenti (Calabria, Varese, Nizza Monferrato e Susa), ha terminato la sua carriera amministrativa a Torino, quale Conservatore dei Registri Immobiliari […] Mio padre ha sposato Giuseppina Carli, nata a Sanremo nel 1896 dall’avvocato Alessandro e da Maria Gerolima Cassini. I Cassini provenivano da Perinaldo, erano per tradizione magistrati, Francesco fu l’ultimo Prefetto sabaudo di Nizza Marittima.
Dal tronco della famiglia Cassini di Perinaldo si è staccato il ramo originato dall’astronomo Giandomenico, prima docente all’Università di Bologna e Magistrato del Po, a servizio del Papa, poi direttore dell’Osservatorio Astronomico di Parigi ove ha iniziato la planimetria della Francia e ha fatto importanti scoperte astronomiche ed elaborato formule matematiche. (A lui è dedicata la sonda spaziale europea lanciata per studiare il pianeta Saturno, ndr)
Sono nato a Marina di Pisa l’11 febbraio 1924. Ho frequentato le prime tre classi delle elementari alla scuola pubblica Newbery con la maestra Dora Carpi Sighieri e la quarta e la quinta a Pisa col maestro Gustavo Lastrucci, essendosi la famiglia trasferita a Pisa nell’estate 1932. Ho poi frequentato due anni al ginnasio Galileo Galilei e un anno privatamente per passare al Liceo Scientifico Ulisse Dini. Qui ho avuto degni docenti, fra i quali autori di testi scolastici allora usati in quasi tutta la nazione come Augusto Sainati per Lettere, Alessandro Mazzari per Matematica e il prof. Paolo Emilio Taviani poi divenuto ministro, per Storia e Filosofia. Dopo la maturità scientifica conseguita il 20 maggio 1943, ho frequentato il Corso Teologico presso il Seminario Vescovile di Asti terminato con l’Ordinazione sacerdotale il 29 giugno 1947. Dopo l’ordinazione ho frequentato la Facoltà di Architettura al Politecnico di Torino, laureandomi il 31 luglio 1953 con una tesi contemplante il progetto di un complesso parrocchiale in zona Mirafiori per 18.000 abitanti comprendente la chiesa, la casa canonica, l’oratorio, il salone-teatro e i campi sportivi. Tornato ad Asti, nel settembre 1953 ho iniziato il mio impegno in Curia Vescovile come componente la Commissione Diocesana Arte Sacra e in seguito suo presidente […] Con il benestare e l’incoraggiamento dei vescovi ho anche esercitato la professione di architetto esclusivamente per gli enti ecclesiastici, cosa sempre fatta con spirito di gratuità richiedendo solo mi fossero rimborsate le spese vive, cosa che spesso avveniva generosamente, altre volte no […] Il maggior lavoro edilizio si è sviluppato negli Anni ‘50 e ‘60 del Novecento. C’era da recuperare il tempo perduto per causa della guerra e c’era da far fronte alla forte espansione urbanistica avvenuta in quegli anni. Sono state restaurate chiese, case canoniche, dipinti ecc. e anche edificate nuove costruzioni parrocchiali facilitate dal contributo statale. In questo periodo di ripresa si è inserito il Concilio Vaticano II, che ha portato notevoli novità nella liturgia e di conseguenza nella struttura delle chiese.
Il Concilio e quegli altari girati osteggiati dal vescovo Cannonero
L’attesa delle conclusioni del Concilio e la loro applicazione, per noi allora giovani preti, era un argomento vissuto con entusiasmo, nella certezza che l’aggiornamento programmato da papa Giovanni XXIII fosse davvero un’apertura verso il popolo dei fedeli. Per noi cattolici di Asti le cose non furono molto facili, avendo allora come Vescovo Mons. Cannonero, molto tradizionalista, e poco presente alle assemblee conciliari, tacito col clero circa le discussioni tenute in aula, mentre altri vescovi ne parlavano abbondantemente con i loro sacerdoti. Anche le applicazioni pratiche furono assai osteggiate a cominciare dagli altari volti verso i fedeli, dalle casule, dai tabernacoli non più sull’altare e via di seguito […] La prima volta che si riuscì, per modum actus, a far celebrare il vescovo verso il popolo, fu alla benedizione della nuova chiesa di Nostra Signora di Lourdes, alla Torretta, ove l’altare maggiore era in legno fatto per il salone parrocchiale mentre funzionava da chiesa e poteva quindi essere usato dai due lati […] Mons. Cavanna venne nel 1971 come ausiliare e amministratore apostolico con diritto di successione. Con lui, vescovo dal 1977, le cose cambiarono, perché molte cose che con Cannonero si facevano in nero, […] con Mons. Cavanna il Concilio si applicò alla luce del sole veramente con molta serenità di tutti. Così continuò quando Mons. Cavanna ci ha lasciati prematuramente e venne vescovo nel 1980 Mons. Sibilla che, essendo ingegnere, aveva vedute larghe e pratiche, e quindi con competenza poteva esprimere un parere. Il cardinale Pellegrino, Arcivescovo di Torino, aveva emanato precise disposizioni per la ristrutturazione dei presbiteri, e anche nella nostra Diocesi ci si è adeguati a tali disposizioni. Ho sempre cercato, nella ristrutturazione dei presbiteri, di salvare gli altari, che nelle chiese barocche fanno parte integrante dell’ambiente. Gli altari volti al popolo molte volte si sono fatti con pannelli di legno antichi di recupero, altre volte di marmo che si intonassero alla chiesa. Purtroppo alcune volte si sono trovate soluzioni improprie.
Le relazioni con le Soprintendenze sono sempre state di fattiva collaborazione […] Tanti interventi si sono programmati a voce con scarsi sopralluoghi, per cui di molte pratiche si troverà poca documentazione negli archivi. Ricordo con simpatia alcuni Soprintendenti: Mesturino (il cui figlio era mio compagno di corso ad architettura), Checchi, Giorgio Lambrocco, Franco Mazzini, Elena Ragusa, Rossana Vitiello, Nicola de Liso. Cristina Lucca…Ho avuto una particolare collaborazione con la dott. ssa Noemi Gabrielli (l’avevo già conosciuta a Torino), la quale personalmente faceva i sopralluoghi in tutto il Piemonte. Come ho scritto, oltre alla segreteria della Commissione Diocesana Arte Sacra e la direzione dell’Ufficio Tecnico Diocesano, nel contempo insegnavo alcune discipline nel Seminario Vescovile ove abitavo. Nel 1960 i miei genitori sono venuti ad abitare ad Asti, e allora sono andato ad abitare con loro. Nell’ottobre 1961 fui incaricato dell’insegnamento della Religione presso l’ITIS Artom ove sono rimasto fino al 1984. Nell’Istituto si è formata una conferenza scolastica della San Vincenzo, intitolata al papa Giovanni XXIII; nei primi tempi aveva sede presso l’Istituto medesimo, poi ebbe sede in Via San Martino in locali della Confraternita di San Michele; nel 1975 con la donazione alla San Vincenzo dell’ex orfanotrofio Casa Nazaret di Via Carducci 85, proprio qui ha preso la nuova sede e ha fondato il primo Centro Sociale per Anziani della città. Sono stato assistente del Consiglio Centrale della Società di San Vincenzo de’ Paoli dal 1959 al 1983, dimessomi per motivi di salute. Dal 1984 in poi ho collaborato all’attuazione delle norme dettate del riformato Concordato fra Italia e Santa Sede. Sono stato responsabile dell’Ufficio Diocesano Beni Culturali e Ufficio Tecnico fino al 2005, quando ho scambiato i miei impegni con l’architetto Fabrizio Gagliardi e l’ho aiutato fino alla sua prematura morte l’8 aprile 2011.»
Nel 1958 nasce la Parrocchia Nostra Signora di Lourdes. Don Quaglia progetta gli edifici. La chiesa venne inaugurata l’8 dicembre 1964
La chiesa della parrocchia della Torretta intitolata a Nostra Signora di Lourdes. È un tipico esempio di architettura degli Anni Sessanta con uso del cemento armato a vista e mattoni. Notevoli le travature interne. D’epoca cinquecentesca il grande Crocifisso in legno arriva da Bionzo di Costigliole e fu recuperato da don Quaglia e dal parroco don Bosticco.Con lo sviluppo del nuovo quartiere della Torretta sulla direttrice di corso Torino nacque la necessità di erigere anche la chiesa. Come si legge nella relazione dei primi Anni Sessanta, redatta dall’Ordinario diocesano, canonico Luigi Stella: «Il nuovo complesso parrocchiale è una evidente necessità: per la quantità di abitanti, la distanza sia geografica che psicologica delle parrocchie cittadine attuali, per la completa mancanza di una chiesa in loco».
Si stima che il complesso parrocchiale dovrà servire un numero di abitanti di circa 8000 unità: tale numero deriva dal censimento dell’ottobre 1961 che registrò 5500 residenti ai quali vanno aggiunti gli abitanti dei 563 alloggi di edilizia popolare che si stanno finendo di costruire in quegli anni. L’incarico della progettazione del complesso parrocchiale è affidato all’architetto don Alessandro Quaglia. Il progetto comprende la chiesa parrocchiale con il suo campanile, la casa canonica e gli edifici per le opere parrocchiali da far sorgere su circa 5000 metri quadrati di proprietà del ragionier Sebastiano Bertorello. L’ufficio tecnico del Comune approva il progetto inserito nel piano regolatore della zona. Sono chiesti alla Pontificia Commissione dell’Arte Sacra l’imprimatur e il finanziamento.
Partono i lavori e per primo viene costruito l’edificio parrocchiale con il salone al piano terreno e 5 aule per il catechismo al primo piano, oltre a una prima parte della casa canonica. Dal momento della costituzione della parrocchia, la liturgia veniva celebrata nella cappella delle suore Immacolatine di via Puccini. Quando diventa utilizzabile il salone-teatro, mancando ancora l’edificio chiesa, esso viene adibito anche a spazio di culto parrocchiale. Il presbiterio venne realizzato in una zona sopraelevata verso ovest con un altare in legno e un crocifisso ottocentesco donato dal parroco don Cesario Franco di Castelnuovo Calcea, il paese dove il giovane parroco della nuova parrocchia, don Luigi (don Gino) Bosticco, era stato vice parroco.
In un secondo tempo, avendo ottenuto il contributo finanziario statale in base alla Legge 2522, iniziano i lavori di costruzione dell’edificio della chiesa.
L’inaugurazione è fissata per l’8 dicembre del 1964 e, come ricorda don Quaglia nel suo memorandum, sarà la prima messa officiata dal vescovo Mons. Cannonero, a essere celebrata con il nuovo rito previsto dal Concilio Vaticano II, ossia con l’altare rivolto ai fedeli.
La struttura in cemento armato con travi da 26 metri
La chiesa della Torretta è una struttura in cemento armato, calcolato dall’ing. Guglielmo Tovo, futuro presidente della Provincia, che forma una grande aula a sezione basilicale con navata centrale e quelle laterali. Caratteristica della costruzione sono quattro grossi pilastri che sostengono due travi reticolari in cemento armato lunghe 26 metri, con un’unica navata senza altri sostegni. Tutto l’edificio è rivestito in mattoni a vista con tre grandi finestroni: uno in facciata e due in presbiterio. Due ordini di lame di vetro corrono alla sommità delle pareti al di sotto dei tetti. Tutte le aperture vetrate sono state arricchite con vetri colorati e soffiati, prodotti manualmente in una fabbrica di Milano. Questa produzione vetraria artigianale ha determinato diversi spessori nelle singole lastre e quindi la luce solare produce differenti sfumature.
Nella parte bassa della facciata, sulla sinistra doveva esservi un’apertura con scultura idonea che mettesse in vista il fonte battesimale, che sarebbe dovuto essere posizionato all’ingresso, ma poi venne cambiata la disposizione.
I due altari laterali ospitano quello a sinistra una tela di Piero Dalle Ceste raffigurante la Madonna di Lourdes titolare della chiesa; quello di destra, un tempo altare dell’eucarestia, ospita ancora una tela di Piero Dalle Ceste raffigurante Gesù che passa tra il quartiere offrendo pane spezzato.
Il tabernacolo del presbiterio è stato arricchito a opera della signora Neride Sozzi (moglie dell’avvocato Achille Dapino) con placche a bassorilievo in terracotta raffiguranti episodi eucaristici. Il pavimento in marmo fu donato dall’impresa Bruno Ercole, che aveva vinto l’appalto dell’intero complesso. In seguito venne completata la casa canonica e costruita la cappella invernale con la sacrestia.
Il grande crocifisso cinquecentesco arriva da Bionzo
Il grande crocifisso cinquecentesco proviene dalla chiesa parrocchiale della frazione di Bionzo di Costigliole. La sua precedente collocazione non è chiara, ma con ogni probabilità giunse dalla soppressione di qualche chiesa o convento in epoca napoleonica. Il parroco di allora raccontava che quel grande crocifisso così imponente incuteva paura ai bambini. A causa dello sfollamento per la guerra, i padri Orionini acquistarono il Castello di Burio nella frazione di Bionzo per alloggiare i novizi, e chiesero al parroco in dono il crocifisso per la loro cappella. Lo stesso castello però fu poi messo in vendita negli Anni Sessanta ed è diventato un centro culturale frequentato da artisti svizzeri e di altre nazionalità.
Don Quaglia racconta che si doveva provvedere all’allestimento liturgico della nuova chiesa della Torretta e avendo saputo che il castello era in vendita telefonò alla Casa Provinciale di Milano dei padri Orionini chiedendo se volevano restituire alla Diocesi di Asti il crocifisso per la nuova chiesa. I Padri furono d’accordo, ma specificarono che il giorno dopo si sarebbe fatto il rogito notarile, cioè l’atto di vendita. Senza indugio, don Quaglia e don Bosticco lo stesso pomeriggio andarono al castello. Purtroppo in quel frangente non si trovò un mezzo di trasporto idoneo, per cui il crocifisso, che pesa oltre due quintali, venne riposto in un vicino cascinale e alcuni giorni prima dell’inaugurazione venne trasportato e posizionato in chiesa.
Si vorrebbe ripulire l’opera dalla “patina del tempo” formatasi in 60 anni. La delicata operazione è affidata all’architetto Luciana Cavallaro e al restauratore Giuseppe Lucia. L’appuntamento è per l’8 dicembre di quest’anno quando saranno celebrati i 60 anni della parrocchia. Il parroco don Paolo Luongo ha invitato il nuovo vescovo Marco Prastaro che proprio in quel giorno compirà 57 anni. La chiesa custodisce anche i tre drappi del Palio vinti dal borgo Torretta nel 1976, 2004 e 2013.
Ecco una sintesi degli appunti di restauro curati dall’architetto don Alessandro Quaglia. Progettista dei lavori e direttore incaricato dei Beni Culturali della Curia di Asti. In quel periodo reggeva la Collegiata don Pietro Mignatta
L’inizio del restauro nel 1963 contemplò innanzitutto i lavori nella cripta di San Secondo, dove, secondo la tradizione, il soldato romano fu ucciso e sepolto. La situazione trovata era la seguente: attraverso due scale in pietra, di fianco al presbiterio, si scendeva nella cripta dove c’erano due ambienti. Il primo che si trova al termine delle scale era col pavimento in cemento, sei pilastri a sostegno di sottarchi in rinforzo delle volte a vela. E l’altro ambiente con pavimento più basso, anche questo in cemento con due muri residui della cella confessionis con all’interno quattro colonne ottoniane. I muri perimetrali avevano un intonaco ormai irrecuperabile causa l’umidità. Nel XVIII secolo, erano state chiuse le scale di accesso e l’urna con le reliquie di San Secondo trasportata nello scurolo dell’altare maggiore.
Nel 1964 l’urna reliquiaria d’argento, opera di un maestro orafo lombardo, venne ricollocata nella cripta restaurata. I lavori furono molto impegnativi perché l’ambiente ipogeo era stato murato per 200 anni […]. Nel 1968, dopo saggi eseguiti all’interno della chiesa scrostando l’intonaco da alcuni pilastri e archi, si è progettato il restauro dell’interno della collegiata con l’intento di mantenere la decorazione barocca del presbiterio e riportare all’originale tutto il complesso delle navate. A partire dalla navata nord rimuovendo l’intonaco dal campanile, dai pilastri, dagli archi, dalle nervature delle volte a crociera e dai pilastri successivi, giungendo al battistero in fondo alla facciata. Dall’ultima campata è stato rimosso il fonte battesimale seicentesco, che in parte era incastrato nel muro posto su una pedana in muratura e circondato da una inferriata. Rimuovendo l’intonaco sono apparsi gli archi di portoni esistenti nel palazzo, ora comunale, prima che fosse costruita l’attuale chiesa. Si dice che un tempo da quella porta il sindaco entrasse in chiesa a cavallo il giorno della festa di San Secondo.
Un misterioso piccolo scheletro
Il saggio effettuato sotto l’arco del passaggio ha svelato la presenza di un misterioso scheletro deposto con la testa verso il municipio e i piedi verso la chiesa […]. Sotto lo stesso muro si è pure trovato un resto della primitiva facciata della chiesa, demolita prima del suo compimento per raggiungere l’ultima campata verso la piazza.
Un ponteggio su ruote largo quanto la navata centrale ha permesso durante i lunghi restauri di procedere ai lavori, campata per campata, senza interrompere le funzioni. Rimosso l’intonaco e le pitture policrome dei capitelli si sono riaperte le finestrelle che danno sul solaio, che non hanno mai avuto infissi. Per tamponarle erano state scalpellate le nervature cilindriche che riquadravano le finestre. La fornace di Pianezza, nel momento del restauro in piena stagione invernale, era sprovvista dei terrazzani toscani già impiegati per i mattoni in curva, perché i mattoni a crudo si preparano d’estate per poterli asciugare al sole. Per proseguire i lavori si presero a modello i pezzi originali rimasti e si rifecero in cemento e poi si tinteggiarono opportunamente.
Le volte e le pareti della navata centrale furono tinteggiate di color avorio e leggermente spugnate. I mattoni di recupero furono impiegati per chiudere i fori dei ponteggi. La fornace di Pianezza si occupò di fabbricare, oltre ai mattoni in curva, anche quelli più piccoli per ricostruire parti delle lesene delle cappelle laterali. Le argille delle cave di Pianezza sono di colore più intenso rispetto a quelle delle terre astigiane, quindi furono inviati a Pianezza due camion di argilla, donata dalla fornace Cellino di Portacomaro. Gli sguanci delle otto finestrelle del tiburio, una volta scrostati, rivelarono le originali nervature, elegantissime. Rimosso tutto l’intonaco è apparso un tiburio rinascimentale veramente elegante, si sono aperte pure le 4 finestre sopra gli archi. Si pensava di lasciare i 4 evangelisti dipinti da Luigi Morgari sui 4 pennacchi, ma un piccolo assaggio rivelava un colore nell’intonaco sottostante. I dipinti in affresco furono distaccati dal laboratorio dei Nicola di Aramengo e sono venuti in evidenza 4 stemmi, due della città di Asti e altri due non identificati, può darsi si riferiscano al podestà del tempo. Alla profondità di 85-90 cm lo scavo mette in evidenza il pavimento originale in coccio pesto e come la prima costruzione del 1256, anno di inizio della Collegiata, sia stata poi modificata nel 1460 quando si costruisce la facciata verso la piazza, innalzandola notevolmente.
Le indagini sono state positive e sotto l’attuale pavimento ve ne è uno in cotto molto consunto con elementi di cm 18 x 36 fatto costruire da Mons. Migliavacca […]. Recuperato il nicchione sopra l’accesso all’interno del campanile, togliendo lo scialbo (la pallida tinta calce), è apparsa la visione di Asti cinquecentesca rappresentata come Gerusalemme al tempo della crocifissione.
Il miracolo del 1535 e i lanzichenecchi convertiti
Il restauro portò al recupero anche della cappella detta del miracolo. «Il 25 luglio del 1535 mentre il pio sacerdote Domenico Occelli verso le ore 7 celebrava la S. Messa presso l’altare maggiore della Collegiata di San Secondo, giunto alla frazione dell’Ostia la vide lungo tutta la lunghezza della frattura imporporarsi di sangue vivo. Tre gocce caddero nel calice e una quarta rimase all’estremità dell’Ostia. Inizialmente don Domenico continuò la celebrazione della messa. Quando staccò la parte dell’Ostia che doveva mettere nel calice vide uscire da questa altro sangue. Stupefatto si rivolse agli astanti e li invitò ad avvicinarsi presso l’altare a vedere il prodigio. Quando il sacerdote prese l’Ostia per consumarla, questa, scomparso il sangue, riprese il suo naturale candore.» (da I Miracoli Eucaristici di Asti 1535- 1718). Il calice non è più esistente, forse trafugato o prelevato con altri argenti. La raffigurazione di questo miracolo è dipinta in un quadro seicentesco sulla sinistra della medesima cappella. In questo dipinto risultano riconoscibili dei soldati lanzichenecchi e dei Luterani che alla vista del prodigio si convertono. Si è anche proceduto al restauro della cappella barocca di San Secondo. Era in uno stato preoccupante. Le lesene erano rivestite di onice di Aosta aderente a delle lastre di arenaria. La sottile pellicola in molte parti era caduta e in altre era distaccata dal supporto in pietra arenaria. Le finestre legate a piombo erano in parte sfondate, l’altare cadente, gli affreschi del soffitto che si staccavano. Pure le tele alle pareti e il quadro ovale sopra l’altare sono stati restaurati. L’altare è stato restaurato sommariamente per mancanza di fondi. È stato pure restaurato il lampadario di vetro e sono state sostituite le parti mancanti, rifatte in una vetreria di Murano. Rifatto pure l’impianto di illuminazione. I lavori furono curati dall’impresa Mascarino per la parte muraria e dalla ditta IRAC di Milano per le rifiniture, mentre i Nicola hanno curato i restauri murari medioevali ritrovati e tutte le opere pittoriche su tavola, su tela e dipinti ad encausto. La cappella barocca di San Secondo al termine della navata destra, è stata restaurata in tutte le pitture e nella ricomposizione del lampadario settecentesco in vetro di Murano. Nel 1974 venne collocato sull’arco trionfale, sopra l’altare volto al popolo, il grande crocefisso in legno scolpito e dipinto, datato 1658 opera di Michele Enatem.
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