Senza nome
239 vittime del Coronavirus in Provincia di Asti dal 21 febbraio 2020 all’8 giugno 2020
Abbiamo lasciato la forma terrena di vita uno dopo l’altro in una manciata di settimane tra l’inverno e la primavera di questo anno bisesto. Sorpresi e sgomenti che la falce del Coronavirus recidesse proprio il nostro stelo nel grande prato dell’umanità. Eravamo a casa, ci hanno portato negli ospedali o siamo rimasti in quelle residenze che, per tanti di noi sono diventate case di riposo eterno.
A noi non è andato “tutto bene”. Ai nostri funerali non c’eravate, non potevate esserci. Quante storie, quanti saperi, quanta esperienza lasciamo a chi resta e quanto di tutto questo se ne andrà con noi per sempre.
Vorremmo come tutti essere ricordati. Vorremmo che la burocrazia degli uomini trasformasse almeno quei numeri in nomi. Uscire dalle tabelle e tornare ad avere il nome e il cognome che ci hanno accompagnati in vita. La privacy non c’entra: a chi interessa se siamo morti “per” o ”con” il Coronavirus?
Negli Stati Uniti il New York Times ha pubblicato un’intera prima pagina con mille nomi di vittime dell’epidemia. Piantate alberi che cresceranno nel nostro ricordo.
Marisa Goria De Stefano
8 gennaio 1939 – 5 marzo 2020
Ex insegnante, ecologista
E così, in una giornata di fine inverno mi sono ricongiunta per un tango infinito al mio amatissimo Bepi, nella Venezia che abbiamo tanto amato. Ho abitato molti anni ad Asti, dove Bepi di occupava di basket e io ho insegnato a generazioni di allievi e dove ho lasciato le amicizie della migliore gioventù.
A Venezia ho goduto dell’infanzia delle mie adorate nipoti Emma e Maddalena, figlie di mia
figlia Barbara, architetto, e di Andrea. Da Venezia ho seguito le imprese sostenibili di mio figlio Giacomo ecologista e navigatore. Ho vissuto intensamente tutti gli stimoli intellettuali che questa città mi ha offerto. L’arte, il cinema, la musica, l’ambiente cosmopolita e la lenta vita lagunare, ricca di suggestioni naturalistiche mi hanno trascinato in una dimensione di gioiosa energia e di amore, ricca di incontri e di condivisione.
Ho condiviso l’impegno dei miei figli e delle mie nipoti: negli ultimi anni ho fatto dell’ecologia, della sostenibilità, della salvaguardia del clima e della bellezza la mia bandiera. Che fortunata sono di tutto questo e di voi, per come vi ho conosciuto.
Vi auguro ogni ben e buona vita.
Giovanni Rabino
Montaldo Scarampi, 15 dicembre 1931 – Asti, 12 marzo 2020
Senatore, ex sindaco di Montaldo Scarampi
Guarda un po’. Mi è toccato essere la prima vittima ufficiale del Coronavirus nell’Astigiano.
Stavamo bene ad Alassio in quell’albergo a goderci qualche giornata di sole di fine inverno. C’era anche una signora lombarda, molto simpatica. Abbiamo fatto le foto ricordo tutti insieme. Chi l’avrebbe mai detto. Ho lottato anche nei giorni d’ospedale, come ho sempre
fatto nella vita, ma ho dovuto arrendermi.
Per tutti ero il senatore. Sono orgoglioso di aver rappresentato a Roma la terra astigiana per tre legislature dal 1983 al 1994, prima da deputato e poi da senatore. Ero stato direttore della Coldiretti ad Alessandria e ho portato in Parlamento le istanze del modo agricolo.
Noi onorevoli di quegli anni eravamo il punto di riferimento dei nostri elettori, il contatto con il territorio era continuo, tutti ci conoscevano e noi conoscevamo tutti. Mi sono preso la soddisfazione di fare anche il sindaco del mio paese Montaldo Scarampi. Un pugno di case che mi sono rimaste nel cuore.
Vittorio Croce
23 maggio 1941 – 27 aprile 2020
Sacerdote, giornalista direttore Gazzetta d’Asti
Ho osservato il mondo che cambiava e ho sempre cercato di capire dove stavamo andando. Il mio osservatorio per 44 anni è stata la scrivania da direttore della Gazzetta d’Asti, il settimanale della mia diocesi. Ho fatto il prete e il giornalista e mi piacevano entrambi questi mestieri.
Sono partito su un carro di fieno da Camerano Casasco accompagnato da Vincenzo e Cecilia, i miei genitori. Da bambino ho visto il sangue della guerra e poi sono andato in seminario che ero un ragazzino. Ho studiato tanto e conosciuto il mondo ascoltandolo dietro
la grata dei confessionali. Sono diventato giornalista quasi per caso. I miei editori erano i vescovi. Ne ho conosciuti tanti, li ho rispettati e sopportati. Mi hanno fatto monsignore ma io preferivo essere chiamato come sempre don Croce.
Ho continuato a studiare, a scrivere, ad amare la mia terra e raccontarla: dalla storia delle chiese ai modi di dire e imprecare in dialetto. Quanta saggezza e quanta ironia. Alla Gazzetta mi hanno lasciato il computer perché continuassi a scrivere. Ma si era spenta la mia luce.
Michele Serra
21 dicembre 1928 – 2 aprile 2020
Sportivo, ex presidente del Coni provinciale e governatore del Panathlon
E alla fine è toccato anche me prendere la strada di viale Don Bianco ma devo dire che mi consolo con il fatto che proprio da lì si può vedere il Campo scuola e il mitico Palazzetto. Sarà un modo per stare vicino ai luoghi che mi hanno visto agire in piena forma per almeno mezzo secolo anche se la mia carriera sportiva può essere calcolata senza tema di smentite
in almeno sette decenni.
Davvero non poca cosa per un “ragazzo del Tanaro” che un bel giorno aveva scoperto l’atletica correndo campestri e saltando con l’asta. Sono stati quelli anni bellissimi, ma devo
dire che anche i tanti che sono seguiti, questa volta nel ruolo di dirigente sportivo, non sono stati avari di soddisfazioni: Panathlon, Veterani sportivi, Coni. Impegni talvolta molto pesanti ma ripagati da tanti riconoscimenti e grandi amicizie.
Me ne vado dunque tutto sommato senza rimpianti pensando ai bei giorni passati con Carla e Cristina e il solo rammarico per aver dovuto fare da solo l’ultimo viaggio, anche se ho avvertito che il pensiero di chi mi ha voluto bene era con me.
Vittorio Marchisio
3 gennaio 1933 – 8 aprile 2020
Giornalista, corrispondente de La Stampa
Hanno detto di me che ero un cane da trifole della notizia, nel senso che avevo naso e sapevo dove andarle a scovare. La mia rete di informatori era sempre all’erta e io più di loro. Bisognava essere sempre pronti a dettare ai dimafonisti oppure andare alla stazione e spedire le foto fuorisacco affidandole in una busta al capotreno.
Asti era il mio mondo e io rappresentavo Asti sulle pagine formato lenzuolo della Stampa. Dal nostro corrispondente, si scriveva all’inizio dell’articolo e solo in qualche caso la firma,
per il resto bastava la sigla v.ma. Ho amato il mio mestiere di cronista. Passato notti intere a caccia di una notizia nella speranza di averla solo io e di dare un “buco” alla concorrenza.
Ho portato fiori sul luogo degli incidenti per rendere più drammatica la foto e fatto carte false per avere la testina di un arrestato o di un annegato in Tanaro. Potevo sembrare
cinico, ma avevo un gran cuore e ho fatto da chioccia a tanti giovani poi diventati giornalisti. Ora sono con Angelo, il mio amato fratello e con Nora la moglie poliziotto che non si lamentava mai dei miei orari impossibili. La mia scomparsa ha fatto notizia. Questa volta però non l’ho firmata io.
Giuseppe Quaglia
8 luglio 1934 – 25 marzo 2020
alpino, ex impiegato Consorzio Agrario, Variglie
Sarà stato per il fisico piuttosto possente, ma non potevano che mettermi tra gli Alpini. Ero orgoglioso del mio cappello con la penna. Ho amato le montagne, le marce e perfino i muli. Quando sono venuto a casa ho lavorato come ragioniere al Consorzio Agrario.
Era un mondo che conoscevo. Figlio di contadini, mi piaceva la campagna e nei fine settimana ho sempre coltivato un po’di vigna e le pesche limonine che sono la specialità e
l’orgoglio di noi di Variglie. Con la mia Rosanna ci siamo sempre tenuti per mano. È lei, con mia figlia Giovanna che tiene le pubbliche relazioni di famiglia, io sono un piemontese di
poche parole, ma la mia stretta di mano vale come un contratto scritto.
Ditelo alla mia cagnetta Cloe, che mi aspetta in cortile che non arriverò più a casa e non dimenticatevi di dar da mangiare alle mie tartarughe.
Giovanni Saracco
8 dicembre 1932 – 31 marzo 2020
Architetto, sindaco, senatore
Esistono molti modi per mettersi al servizio di una comunità. Quando avevo nemmeno trent’anni, io ho scelto la politica. Una passione che mi ha accompagnato fino all’ultimo.
Ricordo i miei primi passi a Torino: c’era un fermento indimenticabile, le aree cattoliche e di sinistra si parlavano e non era una faccenda scontata. Più avanti sono entrato in Consiglio Provinciale e ho conosciuto l’emozione di essere sindaco di Villafranca, il mio paese di
origine.
Oggi non è un’opinione molto popolare, ma penso che l’esperienza conti, e tanto. Quello che avevo imparato a casa, l’ho portato con me a Roma quando sono diventato senatore. Ma bisogna anche sapere dire basta. Così in questi ultimi vent’anni mi sono limitato a scrivere, le mie “Spigolature” erano lette da tanti amici e compagni. Erano le opinioni di uno che ha vissuto per la politica. Una parola che spero altri dopo di me continueranno ad amare.
Riccardo Meschia
21 aprile 1942 – 7 aprile 2020
Insegnante di fisica
Fin da piccolo ho coltivato la passione per la Fisica, l’ho studiata e mi sono laureato alla Normale di Pisa. Ho capito da subito che la mia missione sarebbe stata l’insegnamento perché la gioia più grande era stare in mezzo ai ragazzi e trovare modi sempre nuovi per appassionarli alla materia e coinvolgerli nelle lezioni.
All’Istituto Tecnico Artom, la mia adorata scuola, ho avuto migliaia di alunni delle classi prime e seconde, dalla fine degli Anni ‘60 alla fine degli Anni ‘90. Tre di loro, Silvia, Vincenzo e Paolo sono diventati colleghi e oggi è un piacere saperli docenti nella mia stessa scuola.
Quando ho iniziato a insegnare avevamo solo lavagna e gessetti. Negli anni Settanta sono stato tra i primi a voler utilizzare il computer per la preparazione di verifiche personalizzate, la gestione degli orari delle lezioni, la compilazione dei fogli stipendio del personale della
scuola. Ho tenuto corsi pomeridiani di Informatica per gli allievi e anche per il personale di segreteria, perché capivo che l’informatica sarebbe diventata fondamentale nella vita e nel lavoro.
Il mio mitico Olivetti 6060 è conservato nel Museo “Industriamoci” che la scuola ha aperto quasi due anni fa. È un posto bellissimo, andate a visitarlo e ricordatevi di me.
Carlo Leva
27 febbraio 1930 – 4 aprile 2020
Scenografo cinematografico
Ci torno, adesso ci torno in quella campagna assolata del sud della Spagna dove Sergio, leone di nome e di fatto, volle con testardaggine che costruissimo un intero paese del Far West. Come mi sono divertito. Sono andato a cercare perfino uno scheletro vero per la celebre scena del triduello nel film Il buono, il brutto e il cattivo.
Ne ho fatti 155 di film come scenografo:155 ciak che hanno segnato la mia vita. Ero partito dal Monferrato dal paesino di Bergamasco e mi sono ritrovato a Cinecittà, senza mai perdere la fantasia e il gusto della sorpresa. Vorrei che i cimeli raccolti in tanti anni di vita professionale non andassero dispersi. Dove lo potreste vedere altrimenti lo scudo che portava Clint Eastwood nel film Per un pugno di dollari?
Vincenzo Greco
27 giugno 1926 – 8 aprile 2020
Fiorista
Il viaggio dall’Aspromonte ad Asti è stato lungo perché ho fatto tappa a Ventimiglia, sulla Riviera dei Fiori, dove mio padre mi ha insegnato il mestiere del fiorista. Asti mi ha accolto pochi anni dopo la guerra: si respirava un’aria nuova e il profumo dei miei fiori l’ha impreziosita.
Ho iniziato in piazza Roma con il mio chiosco sulle ruote, ma in tanti vi ricorderete di me ai
giardini pubblici. In quel chiosco vicino al laghetto, dove un tempo nuotavano i cigni, oggi c’è mia figlia Cristina a curare i miei fiori con la passione che le ho insegnato. Quando passate da quel lato dei giardini, guardate i fiori pensando a me.
Renato Franco
8 agosto 1954 – 5 maggio 2020
Pensionato, ex tecnico di laboratorio scolastico
Il maledetto virus ha fatto la sua parte su di me, già debilitato da un altro problema fisico. Pazienza, in solitudine ho accettato il destino, quel medesimo che si portò via, molti anni fa, mia moglie Maria Pia.
Lascio dei figli grandi e autonomi, dei magnifici ragazzi: Ilaria, Jacopo, Irene. A detta loro sono stato un buon padre, forse anche un amico: vero Jacopo? Le nostre gare virtuali, le conversazioni sui temi più disparati, con una predilezione per le questioni scientifiche, le tue materie. La lettura, il cinema, il lavoro ai fornelli (questi figli vanno pur nutriti! E anche
i due nipotini che abitano in Svezia, li ho visti poco: questo è un rimpianto…).
Ho cucinato bagna cauda per le cene dagli amici, arrosti per Lorella, maialino alla brace nelle brevi vacanze a Ormea. In un passato quasi remoto ho creato vetrate colorate, ho suonato un po’ di chitarra e di sax, ho dato due calci al pallone (anch’io ho fatto le mie brave presenze al campetto di Revignano!), mi sono circondato di libri, a cominciare da
quelli di fantascienza. Gli amici dicono che sono un chiacchierone e che, non appena c’è un tema che mi appassiona, mi lancio in lunghe e “dotte” digressioni. Ma mi è anche sempre piaciuto star solo con me stesso e coltivare i miei pensieri.
Edoardo Bobba
20 febbraio 1955 – 11 maggio 2020
Tappezzie, materassaio
Ho continuato il mestiere di famiglia e con me si era arrivati alla terza generazione di materassai/tappezzieri. È cominciato tutto da mio nonno Edoardo, prima in Via Bonzanigo e poi in Via Balbo. È continuato con mio padre Cesare per poi arrivare a me Edoardo, per tutti “Edo”.
Sin da quando avevo 15 anni ho lavorato con mio padre che mi ha insegnato tutto, anche i trucchi del mestiere. Tra i tanti lavori che mi affidarono, ho avuto l’onore di aver lavorato per la Curia che mi commissionò il rivestimento della poltrona su cui si sarebbe seduto Papa Wojtyla nella sua visita ad Asti, la stessa offerta a Papa Pio VII che visitò la città il
28 aprile 1805. Rivestire quella poltrona è stato un onore e un ricordo che conserverò sempre nel mio cuore.
Quando mio padre Cesare venne a mancare ero poco più che quarantenne e proseguii insieme a mia madre Sara il lavoro, purtroppo poco tempo dopo mia madre raggiunse mio padre in cielo e mia moglie Ester, per tutti “Lalla”, ha preso con rispetto e capacità il lavoro di mia madre in laboratorio.
Ho sempre avuto un occhio di riguardo per tutti, sono sempre stato pronto ad aiutare chi mi chiedeva aiuto e spesso anche senza che me lo si chiedesse. Mi hanno sempre detto di essere stato molto buono con tutti, io sorridevo per questo, perché sapevo che era più forte
di me, un sorriso e una mano tesa ad aiutare gli altri sono sempre stati per me gesti spontanei.
Con mio padre condividevo anche il privilegio di far parte della Società di Mutuo Soccorso Fratellanza Militari in Congedo di Asti. Lì, ho scoperto il bello di essere uniti per il bene comune. Ho avuto l’onore di entrare prima come socio, poi per tanti anni ho ricoperto la
carica di Direttore per poi essere con grande orgoglio il Presidente dal 2014. È stata una bellissima esperienza che mi ha fatto conoscere persone diverse tra loro e con pensieri diversi, che cosa meravigliosa! Quando ci vedevamo in vesti “non ufficiali” eravamo soliti
parlare della nostra passione, il calcio. Ci divertivamo, perché anche se chi come me era juventino, si parlava e discuteva con armonia anche con chi era di altre squadre concludendosi sempre con una grossa risata in serenità ed amicizia. Perché capisci che quella è come se fosse la tua seconda famiglia, o meglio, come la chiamavo io, la mia seconda casa.
Mi congedo con il simbolo proprio del Mutuo Soccorso: “Una cordiale stretta di mano” da Edo
Feliciano Gaggioli,
28 novembre 1937 – 27 maggio 2020
Potevo starmene tranquillo dietro il vetro della postazione ASL, a sentire le esigenze dei pazienti e a prenotarli, spesso indirizzarli con l’aiuto di qualche amico medico dell’ospedale. Ma mi piaceva lo sport, parlarne, viverne l’ambiente. E così ho iniziato a scrivere sui giornali dell’epoca, Il Cittadino, l’Eco. E ho frequentato lo stadio all’epoca della Torretta Calcio e dell’Asti dopo la fusione.
Mi ricordo bene. “Culfelice” mi chiamarono, giocando sul mio nome, un paio di colleghi della “Nuova Provincia”, che misero su una seguitissima rubrica satirica sul mondo del football nostrano. Non ero solo. Ugualmente presi in giro il dirigente Dante Lachello (“Ceralacca”)
e il general manager il dottor Malchiodi (“Malabrocca”) che forse, giudice del tribunale, fu l’unico ad adombrarsi. Io ci ridevo su, come ho sempre fatto anche quando il commenda Nosenzo, con un “tocca a te !”, mi affidò la conduzione della trasmissione sportiva del lunedì su Tele Asti International (TAI).
E poi la radio, mia vera passione, ore e ore di registrazioni e di diretta, con la complicità
del medico sociale che sfuggendo ai suoi doveri di assistenza ai giocatori riusciva a telefonare in diretta (era ancora l’epoca dei telefoni a gettone) dagli stadi in cui si giocava, Pistoia, La Spezia…, anche Sassari per risultato e improvvisata cronaca. Ed erano in tanti a sintonizzarsi.
Ok. Ora è tempo di andare, vi saluta il vostro Culfelice, sorridendone ancora una volta.
Roberto Genta
17 giugno 1954 – 31 maggio 2020
Dipendente comunale, Asti
Anche se ho passato la vita a lavorare per la pace, quest’ultima battaglia mi è toccato combatterla. Non ci è dato decidere ogni cosa. Ma ora che ho tempo per guardarmi indietro, posso vedere la strada percorsa fin qui. È come quando andavo per le mie amate montagne.
Arriva quel momento in cui sali tanto in alto da abbracciare con lo sguardo tutto il sentiero. E nel raggiungere la vetta, lo sforzo acquista un nuovo significato. Vedo laggiù la mia gioventù nell’Azione Cattolica. Vedo il periodo da obiettore di coscienza con la Caritas, l’ingresso in Comune, gli anni alla guida delle Acli di Asti.
Gli amici e i colleghi diranno che cosa ho lasciato alla comunità. Spero che la mia sia un’eredità che parla di fratellanza e accoglienza del prossimo. Quanto è stata lunga e piena
di entusiasmi, questa salita. Se ho rimpianti? Avrei voluto accompagnare Tommaso, mio nipote, nei suoi primi passi in montagna. Ma so che ci penserà mio figlio Davide: la mia passione vivrà in loro.
Enzo Bertolino
11 maggio 1941 – 4 giugno 2020
Ex dirigente industriale, ex Rettore San Secondo
Sono nato nel cuore di San Secondo e nel centro storico ho trascorso la mia infanzia. Per il mio lavoro alla Sisa mi spostavo in corso Alessandria verso San Pietro, ma sono sempre
stato legato al rione del Santo, fino a diventarne Rettore del Palio.
Con me, in quel lungo periodo, sono arrivati tanti giovani, appassionati e determinati, che
ancora oggi sono tra i protagonisti della nostra festa. Non ho mai vinto il Palio, ma nel 2000
ce l’ha fatta mio figlio Maurizio, che con lo stesso entusiasmo aveva ereditato il mio ruolo di Rettore, prima di restituirmi di nuovo il testimone.
La pensione mi ha portato a vivere a Portacomaro e alla comunità del mio nuovo paese ho
dedicato tempo ed esperienze. Ora seguirò il Palio da un’altra tribuna e il fazzoletto al collo sarà sempre bianco e rosso.
Ugo Saccà
17 giugno1943 – 6 giugno 2020
Ex impiegato servizi sociali del Comune di Asti
Chi sono? Un bambino, nato il 17 giugno 1943 a Roveré della Luna in Trentino, che crede di essere brutto. Un ragazzo che scopre la bellezza del suo credo. Per taluni “una ligera” che
si corica sui binari perché giustizia e libertà urlano nel suo cuore. Un uomo che ha sempre usato testa e anima nel mondo del lavoro. Un amante della natura, della sua casa sul fiume e del suo Tanaro. Un grande amante dell’amicizia. Un paio di scarpe di tela bianca sono
sempre state il mio simbolo e con quelle scarpe camminerò in luoghi a me prima sconosciuti.
Voglio urlare ancora una volta: “Lottate tutti e sempre per la giustizia e la libertà”.
Ora vi dico chi sono. Sono Ugo Saccà, 6 giugno 2020, Ospedale di Cuneo.









































