Un giornalista e un medico uniti dalle stesse passioni per la storia, la politica e la letteratura
E’ un giorno chiaro, pacato e con un flebile respiro di vento freddo. Le foglie rimaste dell’ultima rappresentazione di autunno manifestano il colore di una tenerezza indifesa,
prossima a un addio inevitabile, trepidano nella brezza. E si vorrebbe fermarle così, sospenderle dentro un tempo che replicasse all’infinito se stesso. Ma perché, infine? Tutto appartiene a un muoversi inarrestabile, già deciso. Siamo viandanti provvisori, camminatori a termine.
Volgono le stagioni, i cieli cambiano.
A questo penso mentre ricordo un amico che non c’è più, Agostino. sono le undici. A quest’ora saremmo partiti per l’allenamento, dieci, quindici chilometri di corsa nelle sue o nelle mie campagne, Rocchetta o Govone, cercando di tenere a bada il fiato che monta, ingannandolo con il parlare di politica, letteratura, storia, battaglie.
Gli anniversari! Le date di chi non c’è più! Agostino è morto lentamente e lo sapeva. Era medico, leggeva su se stesso le piccole continue avanzate del male, come sulla mappa di una battaglia. Anche i momentanei, subdoli arretramenti del Nemico che era dentro di lui non lo ingannavano. Lo conosceva il Nemico implacabile, che scherza con noi perché, alla fine, sa quale sarà il risultato, suo eternamente suo.
Non ricordo se don Chisciotte fosse uno dei suoi libri amati. certamente sì, era uomo, come non ce ne sono quasi più, di vaste e buone letture, non come oggi di squinternati e furbi best seller. Con la sua voce che era sempre pacata, le parole misurate, le idee ben articolate che quando le presentava ti sembrava di veder snodarsi un congegno , fatto semplice e lucido da lunghe esperienze, avrebbe citato forse i versi del cavaliere manchego: ‘’…così il viver mi uccide che la morte mi torna a dare la vita…’’. Per beffarla, la morte, avere in fondo lui l’ultima parola.
Sono felice di non ricordarlo nella fase finale della sua lotta, spianato e sfinito in un letto: che le parole che dici per salutarlo te le senti ricadere addosso come avviene a chi parli in una tenebra vuota.
L’ho visto, l’ultima volta, ancora nella sua casa, in mezzo ai libri e alle cose che resistono al nostro tempo breve, si impregnano a toccarle della nostra unica immortalità che è il ricordo di chi ci ama.
Era provato e si vedeva. La lotta durava già da tempo. Ma … un attimo. Gli occhi, in cui sentivi raccolta tutta la volontà. E il sorriso, che rispondeva a quello degli occhi lucenti . Di se, della sua lotta non parlava. Parlava delle mille cose che gonfiavano la sua vita come il maestrale le vele.
Già: come la raccogli una vita così? Quando è così gonfia e soda. Di ogni esperienza curiosità attenzione seduzione richiamo, ed erano la lettura la maratona la musica la ricostruzione plastica delle grandi battaglie la medicina la carità verso i sofferenti la politica, spremeva con una voglia e un garbo infiniti ogni goccia: prima di cercarne un’altra. Non per la epidermica affezione che è dei dilettanti approssimativi ma perché il tempo non gli sembrava mai sufficiente per provar tutto, succhiare il midollo di tutto, entrare nel cuore delle cose.
Una conversazione con Agostino era un interminabile esercizio di connessioni, di rimandi, di agganci che poteva continuare all’infinito. Partivi da una data, un fatto, un tempo e correvi a capo fitto, a perdifiato verso altro, senza saper mai dove ti saresti fermato. Perché quella era l’ebrezza delle sue curiosità e delle sue conoscenze. Il suo anelito di finalità, questo insaziabile: a che?
Ho corso con lui alcune maratone. La maratona era per lui non un esercizio per restare in forma, ma una prova quasi iniziatica, scelta quando non era più giovane e gli altri ripiegano sul tennis o il golf: per provare, a se stesso, dove la tenacia, la volontà scavalcavano l’istinto che ti dice di fermarti, la fatica, l’usura dei chilometri interminabili. la maratona infatti: non il jogging che è moda stucchevole travestita da salutismo. E le sceglieva tra le più dure, le quasi impossibili, quella a Capo Nord che spaventa anche i vichinghi. Era un corridore di volontà non di puro talento. E sono i migliori, gli apostoli della podistica religione di Fidippide.
Avrei da scrivere ore su di lui, e invece sintetizzo, vado a lampi, poto, condenso. E lo sento come colpa. La passione per la storia militare ad esempio. Potrebbe sembrare, e per molti ahimè lo è, la ambigua suggestione del guerrafondaio da scrivania, del guerriero di soldatini e di carta.
Che è sempre offesa a chi la guerra l’ha vissuta davvero e pagata su di se e non può permettersi di considerarla un fatto estetico, nozionistico o razionale. Conoscere la guerra, la battaglia, decifrarla dal di dentro, sezionarla come un corpo di cui si deve scoprire la anatomia e le ragioni del male serviva a viverla come esperienza, senza dimenticare mai il bagaglio di atroce dolore che ha dentro. Le amicizie, quelle forti, non salottiere o legate a brevi abitudini, sono fatte, sembra paradossale, anche e soprattutto di lontananze, di spazi vuoti, di silenzi. E così era la nostra. Solo in questi silenzi ci togliamo da addosso questa spessa cappa di pudore che ci isola gli uni agli altri, solo nelle solitudini della amicizia vera ci incontriamo e incontrandoci incontriamo gli altri in noi stessi.
Lascio per ultimo allora il capitolo più importante. Il suo cammino di solidarietà che, mi dicono, continua grazie a Maura e ad altri uomini di buona volontà, come lui capaci di spogliarsi di mille ragioni proprie per ascoltarne una e una soltanto: la fratellanza con chi soffre a mille miglia da qui o assai più vicino, Che diventa circostanze di amore evidenti, palpabili, quotidiane, carne, sangue, sudore, milizia, volontà, esempio e audacia.
Agostino Gaglio nato il 17 novembre 1950 ad Imperia, laurea in medicina e chirurgia con medaglia e diritto di pubblicazione, specialità in anatomia patologica, in medicina legale e in dietologia all’università di Nizza Marittima. È stato per anni perito anatomo patologo per il tribunale di Asti. Astigiano per lavoro e per amore dal 1986. Passione per gli studi storici, musica classica e jazz, sax, golf, teatro, gatti soprattutto randagi. Grandissima la sua passione per la corsa che condivideva con Domenico Quirico. Ha corso la maratona di New York , quella di Parigi, Firenze e decine di altre gare.
Fondatore, con un nutrito gruppo di amici, del circolo di storia Armi del Re e della We- care onlus. Attivo in Uganda come medico anche al fianco del dottor Erik Domini. Ha scelto di essere astigiano per sempre perché il suo motto era “la patria è là dove c’è l’ amore più grande”.
È morto il 13 ottobre 2013.