Ritratti di artigiani, mecenati e imprenditori
Al secondo piano di Palazzo Mazzetti le collezioni civiche di pittura e scultura dell’Ottocento e del Novecento ospitano la raccolta dei ritratti di Michelangelo Pittatore, uno straordinario documento che mette in luce volti e personaggi della borghesia astigiana, in particolare quella d’epoca post unitaria.
Si tratta di una sezione dell’allestimento intitolata “Il ritratto della città”, dove le tele sono accompagnate da didascalie e immagini che permettono di identificare e collocare i personaggi raffigurati nella storia sociale ed economica della vita astigiana dell’Ottocento. Nel caso delle figure meno note le notizie sono state reperite anche attraverso gli atti di stato civile dell’Archivio storico del Comune. Si tratta di artigiani, mecenati, imprenditori, politici e intellettuali e di altre figure di cittadini ritratte da Pittatore. Di alcune di queste tele abbiamo il volto, ma non un nome. La storia di alcuni degli astigiani ritratti è ancora misteriosa.Si potrà a oltre un secolo di distanza tentare di dare un nome a quei volti? La ricerca continua e segue più piste.
La fierezza dei loro volti rivela l’ascesa sociale della crescente borghesia urbana
Cominciamo dai volti più noti. Dal 1859 Michelangelo Pittatore era impegnato ad Asti come ritrattista e uno dei primi dipinti esposti è quello raffigurante il cognato Giuseppe Picotti, la cui posizione di tre quarti cela parzialmente la menomazione all’occhio sinistro. Sposato con Felicita Pittatore, Giuseppe esercitava l’attività di indoratore come il suocero Sebastiano, che già nel 1852 il giovane Michelangelo aveva raffigurato con lo strumento del mestiere nella mano destra e con uno stravagante copricapo di leopardo che incornicia un volto segnato dalla stanchezza.
Al 1860 appartengono i ritratti dei coniugi Filippo e Caterina Brambilla: la fierezza dei loro volti rivela l’ascesa sociale della crescente borghesia urbana che in questo caso sembra presentarsi al piccolo mondo astigiano come una nuova aristocrazia. Sulla vita di questi astigiani sappiamo che nella piazza delle Erbe (oggi piazza Statuto), l’agenzia astigiana della prestigiosa compagnia di assicurazione North British and Mercantile trovava sede sotto i portici detti comunemente dei Brambilla, dal nome dei proprietari del negozio di alimentari che si affacciava accanto.
L’attività commerciale di Filippo, nato ad Asti nel 1813, e della vercellese Caterina Beccaro, nata nel 1832, era di “pizzicagnoli” come è specificato nell’atto di nascita del loro figlio Giuseppe Giacinto Pantaleone, battezzato nel 1857 nella Collegiata di San Secondo alla presenza dei padrini Pantaleone Brambilla, “chincagliere”, e di Maddalena Tortina nata Beccaro, “benestante” e quindi proprietaria di case e terreni. Una famiglia agiata. L’opera di Pittatore tramanda anche la memoria di un’altra famiglia: i Porcelli, di cui sono esposti i dipinti con Barbara Guglielminetti e con Sebastiano Porcelli. Barbara era figlia di uno dei più ricchi banchieri di Asti e il ritratto, datato 1861, è uno degli esempi della raggiunta maturità artistica del Pittatore.
Sulla tela appaiono i signori degli zolfanelli, dei vini e dei cappelli di paglia
Dopo il secondo soggiorno romano la tecnica si è raffinata e lo dimostra la resa pittorica del tessuto dell’abito chiaro della donna attraverso pennellate sottili e la definizione dei tratti del suo volto, il cui fascino discreto contrasta con il piglio arguto e ammiccante del marito Sebastiano Porcelli, raffigurato nella tela del 1856.
Questi era uomo colto ed estroso, contabile e professore di matematica e fisica. Era stato anche uno dei proprietari del primo teatro cittadino, detto di San Bernardino, che sorgeva in piazza Roma, dove oggi c’è il palazzo in stile medioevale con la torre Comentina. Il Porcelli legò il suo nome anche all’impresa sfortunata del Politeama Alfieri o Porcelli, inaugurato nel 1876 e chiuso per la scarsa affluenza del pubblico e per i debiti contratti durante i lavori di adattamento della vecchia chiesa conventuale sconsacrata di Sant’Agnese. I debiti furono appianati dal suocero banchiere.
Il rapporto di Pittatore con la committenza della ricca comunità ebraica era legato a personalità preminenti nell’élite cittadina. Al 1863 risalgono le tele raffiguranti il banchiere Zaccaria Ottolenghi (1797-1868), padre di Leonetto e presidente nel 1858 della Società Alfieri che porterà alla costruzione del Teatro Alfieri (con la famosa scommessa dello scalino), la moglie Esmeralda, il figlio Jacob Sanson e la nuora Nina Artom. Alla stessa epoca risale il ritratto a mezza figura del commerciante Elia Moise Clava (Asti, 1808-1868), in cui si nota la fede nuziale sull’indice della mano destra secondo la tradizione ebraica.
Membro del consiglio comunale di Asti ed esponente della Camera di Commercio ed Arti di Alessandria, socio della Società operaia l’Unione e socio azionista e consigliere ispettore municipale dell’asilo infantile, Elia donerà la sua casa nel vecchio ghetto alla scuola infantile ed elementare israelitica e in segno di gratitudine gli amministratori gli intitoleranno l’istituto (l’inaugurazione avverrà nel 1869).
L’immagine di Elia dall’aspetto morigerato è accostato al ritratto della moglie Michela, il più sfarzoso tra quelli dipinti da Pittatore (1861), la cui tecnica pittorica restituisce al meglio il carattere fiero della donna: il ricco abito nero e le grosse perle di corallo rosso danno un tocco di ostentazione al personaggio. Un’atmosfera più domestica caratterizza invece i ritratti dei coniugi Debenedetti, una delle famiglie che, dopo lunga e profonda permanenza ad Asti, subirà la persecuzione nazifascista. Raffaele (1828-1889), che solleva gli occhi dalle pagine del giornale Mercantile, ci osserva pensoso.
Proseguirà con fortuna l’attività commerciale paterna ed era tesoriere della comunità ebraica negli anni della riunificazione italiana. Il padre Todros (Asti, 1803-1874), uomo di cultura e patriota – tra i sottoscrittori de I miei tempi di Angelo Brofferio, di cui era amico – era stato tra i primi esponenti della Guardia Nazionale. Nel 1855 Raffaele sposava Marianna Clava (Asti, 1832-1904), figlia di Elia Moise, raffigurata all’età di trentacinque anni e con l’abito nero in cui sono descritti minuziosamente i motivi del colletto bianco e, con pochi colpi di pennello, le lucentezze della spilla e della catena d’oro.
Il pittore ritrae anche una vedova cui era legato da tenera amicizia
I ritratti che il Pittatore esegue dopo il soggiorno londinese, dove è evidente l’influsso della fotografia, documentano non solo personaggi dell’imprenditoria e del commercio della città, ma anche una figura femminile importante per l’artista astigiano: è Domenica Gerbi vedova Cravanzola, detta la biônda, che gli sarà vicina dal 1875 al 1903, immortalata con il fazzoletto blu, rosso e bianco che copre parzialmente i capelli biondi e che rivolge sorridente gli occhi azzurri verso il pittore. Il ritratto non nasconde i sentimenti che hanno legato i due.
Sulle tele i segni del potere
La rassegna dei ritratti prosegue con il volto colorito e cordiale di Stefano Boschiero (1873), benefattore delle pie istituzioni astigiane e fondatore, assieme al fratello Secondo, della fabbrica di “zolfanelli fosforici” in contrada San Francesco (via Solari), che aveva una posizione di rilievo nell’ambito dell’industria astigiana della seconda metà dell’Ottocento. Vi è rappresentato anche un esponente dell’allora florida impresa vinicola astigiana.
Il committente rappresentato dalla tela è il cavalier Giuseppe Taricco (1895), la cui ditta “Taricco e C.”, costituita nel 1874, era in grado di produrre dai 4000 ai 5000 ettolitri di vino. Nel ritratto del 1895 l’imprenditore, il cui volto è incorniciato dalla barba, con punti luce resi incidendo la pittura fresca, porta orgoglioso sulla giacca la Croce dell’Ordine della Corona d’Italia conferitagli nel 1892.
Un volto incorniciato da grossi baffi e dal pizzetto dallo sguardo attento ma velato di melanconia
Originario del Biellese (Sagliano) e residente in via Morelli, era invece Giovanni Evangelista Ferraro, ritratto nel 1880 (due anni prima della moglie Angela) che nel 1860 fondò ad Asti una ditta di cappelli di paglia e feltro premiata alle esposizioni di Parigi, Milano e Torino, con sede in corso Alfieri (n° 40) e “dotata di 20 operai”.
Giovanni gestirà successivamente anche uno stabilimento vinicolo e all’inizio del Novecento la cappelleria si era evoluta anche in depositaria di macchine da cucire, stufe e carbone, come documenta la carta stampata pubblicata in uno dei volumi curati da Venanzio Malfatto e dedicati ad Asti.
Marcellina Sorba, figlia del sarun di Santa Maria Nuova
Il commercio del carbone era l’attività principale di Filippo Vogliolo, proprietario dei “Grandi Magazzini Carboni”. Il suo ritratto (1880) precede quello dell’anziana madre Maria Terzuolo (Asti, 1805-1897), dipinto con evidente influsso della fotografia e con buoni esiti pittorici: si veda il colorito del volto e le tonalità dello scialle della donna messi in risalto dalla luce solare.
Nel gruppo dei ritratti della famiglia Martin spicca uno dei volti di donna astigiani più intensi tra quelli eseguiti da Pittatore. È quello della trentenne Marcellina Sorba (1890), impostato nelle tonalità grigio-azzurre. Moglie di Amedeo Martin, Marcellina proveniva dal quartiere di Santa Maria Nuova ed era figlia del fabbro serragliere, costruttore di serrature (sarun), Aventino e della negoziante di crusca Maria Guasco. Il dipinto che raffigura il marito (1888), mercante-sarto, è di poco successivo al rinnovo del suo negozio laboratorio di corso Alfieri, “Drapperie e mercerie”, al numero civico 50 bis, destinato a ingrandirsi all’inizio del Novecento e per il quale Amedeo aveva già richiesto l’autorizzazione alla costruzione della nuova devanture in legno (1883).
I depositi del Museo Civico di Palazzo Mazzetti conservano altri ritratti di astigiani pronti a essere esposti e a raccontare altre storie, tra cui quelli del sindaco Giacinto Rolando (1848), di Luigi (1852) e Francesco Bocchino (1862), del signor Cornaglia (1867), di Giuseppe Pogliani (1873), di don Carlo Gilardi (1897), di Vincenzo Adorni (1900).
Le schede
Il mistero del sindaco con l'orecchino
Tra i ritratti del Pittatore c'è anche un sindaco di Asti: Giovanni Matteo Palmiero (1801-1892) che fu primo cittadino dal 1858 al 1865. Era anche lo zio materno del pittore. Di professione risulta causidico. Durante il suo mandato si inaugurò il monumento a Vittorio Alfieri e la piazza omonima diventava il fulcro della città, che prima gravitava maggiormente attorno a piazza San Secondo.
Palmiero fu anche propugnatore e firmatario del regolamento di polizia urbana (1858) che portò alla creazione del Corpo dei civic. Erano anni di grandi innovazioni: nel 1858 si attivò l'illuminazione a gas, nel 1860 veniva inaugurato il Teatro Alfieri. Lo sviluppo delle attività commerciali favorì l'espansione di Asti verso sud (borgo San Paolo) e verso est (zona Santa Maria Nuova, San Pietro).
Il ritratto del sindaco Palmiero presenta tuttavia un particolare curioso che non passa inosservato: un orecchino d'oro che il nostro personaggio porta al lobo dell'orecchio destro. Come mai? Erano pochi allora gli uomini che portavano orecchini. L'iconografia li associa ai lupi di mare, agli zingari e al vezzo di qualche possidente meridionale. Pare che se ne fregiassero anche gli ex combattenti della guerra di Crimea (il Regno di Sardegna vi mandò un contingente nel 1855) e potrebbe essere questa la spiegazione dell'orecchino sfoggiato dal sindaco. Ma è una questione che va approfondita integrando la ricerca sull'origine della famiglia Palmiero e sulla vita d Giovanni Matteo.
Michelangelo Pittatore un talento precoce amico di Mazzini
Appena undicenne Pittatore frequenta la bottega del pittore braidese Agostino Cottolengo, fratello del canonico Benedetto, e successivamente studia a Roma all’Accademia di San Luca dove è allievo di Tommaso Minardi. Nuovamente a Roma (tra il 1852 e il 1858), Michelangelo conosce il pittore tedesco Rudolph Lehmann (1819-1905) e dipinge soggetti religiosi su commissione di don Giuseppe Serratrice, parroco di Costigliole d’Asti. Rientrato da Roma alla fine degli anni Cinquanta è impegnato come ritrattista.
L’opera di Pittatore (al quale la città di Asti nel 1931 ha dedicato una via che da corso Milano incrocia via Antica Certosa, si immette in via Dini e prosegue a nord) fu studiata in occasione della mostra dedicata all’artista astigiano (Michelangelo Pittatore, 1983) e il Museo Civico di Palazzo Mazzetti conserva numerosi dipinti dell’artista (A. Rocco, in Le collezioni civiche, 20001, pp. 32-35). La raccolta comprende le opere giovanili (tra cui la piccola tela con l’Allegoria dipinta nel 1848), quadri di genere come Il Trasteverino di ispirazione nordica, soggetti religiosi e infine il nucleo di ritratti. Il ritratto dell’artista datato 1874 è firmato dall’amico Rudolph Lehmann, grazie al quale Michelangelo parte per Londra. Qui, giunto con la lettera di presentazione di Giuseppe Mazzini, ha contatti con l’ambiente dei fuoriusciti italiani e con esponenti in vista della comunità ebraica. Tra i ritratti eseguiti durante il soggiorno londinese (1868-1872) va ricordato quello di Sir William Boxall, nominato direttore della National Gallery nel 1865. Ecco la lettera di presentazione che Pittatore ebbe da Giuseppe Mazzini.
Londra 22 marzo 1868: Caro Adolfo, Da Brusco [Vincenzo Brusco Onnis, cagliaritano, vicino a Mazzini] e da altri amici che stimo sono pregato di presentarvi il sig. Pittatore, distinto pittore piemontese, buonissimo come individuo e come cittadino. E lo fò volentieri, pregandovi di tenere la mia raccomandazione come indirizzata non solamente a voi, ma a Ernesto, a Davode, a Enrici, Emilia e Virginia.
Vostro sempre Giuseppe
I volti che non hanno un nome
I depositi del museo conservano altre tele di Pittatore di cui non è stata ancora rinvenuta la documentazione relativa all’arrivo nelle collezioni e la mancanza di iscrizioni o di dettagli significativi non ci consegnano la vera identità di alcuni ritratti. Dalle caratteristiche dei dipinti che raffigurano gli Astigiani “senza nome”, a cominciare da quelle degli abiti dei tre personaggi, possiamo ipotizzare differenti ruoli sociali. Nel ritratto datato 1878 la donna con l’abito viola esprime grande sicurezza e “l’autocompiacimento della donna arrivata”, mentre quella ritratta nel 1889 spicca per la semplicità e il riserbo della sua apparenza nell’abito nero. In un’elegante giacca e papillon di fine Ottocento si presenta anche l’uomo dal volto incorniciato da grossi baffi e dal pizzetto, dallo sguardo attento ma velato di melanconia.