Sfatiamo un mito: il mandolino non si suona e si ascolta soltanto a Napoli. Anche al Nord lo strumento piace ed è suonato con passione. Ad Asti c’è un ensemble che difende questa tradizione. È la “Mandolinistica Pietro Paniati” che vanta novant’anni di attività. Un tempo il gruppo era più numeroso (il mandolino era uno strumento più diffuso), oggi lo è meno, ma non mancano le nuove leve a dimostrazione che la vena non si esaurisce e che il suono degli strumenti a plettro esercita sempre un certo fascino.
Paniati: chi era costui? Un astigiano con una spiccata predisposizione per la musica. Era nato il 4 marzo 1902. Suo padre costruiva strumenti per il gioco del tamburello in rione San Pietro. Intraprese gli studi tecnici, trovando un lavoro alla Way-Assauto. Ma era destinato alla musica. A 17 anni si iscrisse all’Istituto “Verdi”, dove studiò clarinetto sotto la guida di Ezio Baroncini. A 19 entrò nella banda cittadina. Una curiosità inesauribile lo spinse verso altri strumenti. Si esercitò con un flauto di terracotta, giungendo, infine, al mandolino. Appena ventenne radunò alcuni strumentisti “non professionisti” in un gruppo che si costituì formalmente nel 1924 sotto il nome di “Circolo Mandolinistico Astigiano”.
La sede del Circolo era anche un luogo di incontro, dove si poteva suonare, ma anche giocare a carte bevendo un bicchiere di vino. Fra i soci suonatori vi erano astigiani molto conosciuti come il pasticcere Piero Giordanino, il libraio Dante Caldi o il giocattolaio Francesco Tagini. Il primo presidente del sodalizio fu lo stesso Pietro Paniati; vice, l’avv. Carlo Bologna. I due erano mandolini primi, come lo era Vittorio Caramagna. Il resto della formazione era composto da Ettore Ghno e Pietro Serena (mandolini secondi); Luigi Ratto ed Enrico Martinengo (mandole); Vittorio Olivero (il mitico “Joselito”), Giovanni Tirelli e Luigi Visconti (chitarre).
Nel 1926 il consiglio si dimise “e il sodalizio fu fascistizzato”
Nel ’26 Paniati si trasferì a Milano dove fondò una società per la lavorazione del legname. Con deliberazione unanime i componenti del circolo lo nominarono presidente onorario, intitolandogli l’ensemble in segno di riconoscenza. Per salutarlo venne anche organizzato un pranzo all’Hotel Salera, gestito da “Joselito”. A Milano Paniati coltivò la sua passione: divenne primo mandolino dell’orchestra “Rinaldi” e vice presidente della Federazione Italiana Plettro.
La sua fama crebbe, tanto da essere scritturato all’Eiar, l’ente di Stato che curava le trasmissioni radiofoniche. Ma il successo non gli fece dimenticare Asti, né la mandolistica nei cui concerti continuò a suonare regolarmente. Il ’26 fu un anno turbolento: l’allontanamento di Paniati si fece sentire, ma anche pressioni esterne diedero uno scossone. Era l’epoca del fascismo e le formazioni andavano inquadrate. La Mandolinistica fu invitata ad aderire all’Organizzazione Nazionale Dopolavoristica. Il Consiglio tergiversò, opponendo un timido rifiuto. Pronta, la risposta della Prefettura che chiese al Consiglio di specificare per iscritto le ragioni del diniego.
Fu la fine delle opposizioni. La Mandolinistica si iscrisse all’OND ma quel Consiglio si dimise, di fronte a quello che, nei verbali, fu definito un mascherato tentativo di «boicottaggio di tutti gli enti apolitici». Qualche tempo dopo, abolite le elezioni interne, i vertici del sodalizio furono imposti dai gerarchi. A ogni riunione era d’obbligo il saluto al Duce. Dal punto di vista musicale la partenza di Paniati per Milano non demoralizzò il gruppo che anzi vide una crescita del numero degli strumentisti. Dopo la breve parentesi di Giovanni Bosi, la direzione dell’orchestra fu affidata al maestro Aristide Fantozzi.
Le donne erano ammesse solo per meriti artistici
Era un po’ più anziano di Paniati: nato nel 1884, Fantozzi si distinse come eccellente violinista. Si esibì per l’Europa con il violoncellista Camillo De Angeli. Durante la prima guerra mondiale fu fatto prigioniero e finì nel campo di Mauthausen (non ancora famigerato come sarebbe diventato con i nazisti), dove formò una piccola orchestra che suscitò l’entusiasmo dei militari prigionieri di guerra.
Ad Asti sotto la sua guida la Mandolinistica visse anche momenti difficili. Era molto severo sull’impegno e la qualità dei suoi strumentisti e c’è chi lo accusava di avere metodi dispotici che non tutti tolleravano. Per stemperare le tensioni una volta si invocò la mediazione di Paniati da Milano, un’altra fu richiesto l’intervento del Podestà. Questa severità artistica sortì però ottimi effetti musicali e Aristide Fantozzi mantenne la direzione dell’orchestra sino al 1937.
Al miglioramento del gruppo contribuì la scuola di musica interna che venne istituita per colmare le lacune, anche teoriche, di molti strumentisti. Venne affidata a un chitarrista e mandolinista torinese: Carlo Reineri. Sotto di lui si educarono ottimi suonatori, come Secondo Viarengo, Alfredo Goria, Vincenzo Isocrono, Candido Lodezzano e Guido Maggiora. I risultati non si fecero attendere. Già nel ’27 la Mandolinistica astigiana si aggiudicò il primo posto al concorso internazionale di Como; successo replicato a Sanremo nel ’34 e a Torino nel ’36 e nel ’48.
Le donne non erano ammesse se non per meriti artistici, come la mandolinista Gilda Parena. Secondo Viarengo, detto “Gundin”, entrò nella Mandolinistica a 16 anni. Aveva talento da vendere, così fu premiato con una borsa di studio e uno strumento da riscattare a rate. Diventò primo mandolino, affiancando Paniati e Maggiora nei concerti importanti e nei concorsi. Nei concerti locali, invece, si distinse come ottimo mandolino “di spalla”. Di professione faceva il calzolaio, ma anche sul lavoro non rinunciava alla musica. Teneva sempre con sé uno strumento e, quando gli amici andavano a trovarlo in bottega, improvvisava con loro piacevoli concerti. Dopo Fantozzi la direzione venne assunta da
Secondo Rambaldi, ma si trattò di una parentesi breve. La seconda guerra mondiale ostacolò l’attività concertistica. Non mancarono, tuttavia, gesti di “eroismo” dettati dall’amore per la musica. Come quello di Dante Occhiena che, nella fase terminale della guerra, aderì alla Resistenza. Avvisato che stavano arrivando i tedeschi a casa sua si diede alla fuga, ma giunto all’altezza del ponte sul Tanaro si accorse di avere dimenticato il mandolino. Allora, tornò indietro e riuscì ad evitare i soldati, portando in salvo il prezioso strumento.
Al termine del conflitto assunse la direzione Alfredo Marello. Dotato di ottime conoscenze teoriche, adattò molti brani alle esigenze del gruppo. Una delle sue trascrizioni, “La danza delle ondine” dalla Loreley di Alfredo Catalani, piacque talmente che un’orchestra svizzera la volle per sé. Nel ’58 morì Pietro Paniati, lasciando la Mandolinistica orfana del suo fondatore. La bacchetta passò, quindi, ad Alfredo Goria (sarto da uomo per mestiere e abile suonatore di tutti gli strumenti a plettro, in particolare della mandola) e, dall’86, nella sede di via Solari, a Fabio Poggi.
Preside, baritono e maestro di canto, Poggi così ricorda il suo approccio con il mondo della mandolinistica: «Era venuto a mancare il precedente direttore, Alfredo Goria, suocero di Giorgio Conte, e ne stavano cercando uno nuovo. Provvisoriamente chiamarono Giuseppe Gai, che però non poté mantenere la carica, visti i numerosi impegni già assunti. Fu il chitarrista Candido Lodezzano, che mi conosceva come direttore di coro e corista al Teatro Regio di Torino, a chiedermi di dirigere il complesso. Così mi presentai, diressi alcuni brani e… fui promosso! La prova andò talmente bene che l’allora presidente del circolo, Angelo Aizzi, mi offrì di dirigere il concerto che si sarebbe svolto da lì a poche settimane. Fui spaventato dalla proposta, visto che non conoscevo i brani in programma, ma alla fine ce la cavammo bene».
Con l’arrivo di Poggi l’orchestra ha rinnovato il repertorio. Si è dato spazio ai compositori barocchi, a Vivaldi, Roeser, Baston e alla produzione originale per mandolino, sino ad allora trascurata. «Ho sentito l’esigenza di mettere mano al materiale musicale. Pur essendo ottime le elaborazioni dei precedenti direttori, Goria e Marello, ho notato che erano poco in linea con il gusto moderno e non sempre adatti alla perizia degli esecutori. Da allora ho elaborato, scritto e trascritto centinaia di brani». Ad affiancare Poggi in quest’opera di trascrizione è stato Vittorio Fossa, musicista poliedrico, che negli anni ’90 ha infoltito le file delle mandole.
Il nuovo secolo ha portato nuove energie. Si sono aggregati giovani, introdotti dalla loro insegnante Amelia Saracco, primo mandolino, diplomata al conservatorio di Padova. L’orchestra ha ampliato la tavolozza espressiva, collaborando con musicisti esterni, come i flautisti Massimo Caroldi e Simona Scarrone, il trombonista Gianpiero Malfatto o i pianisti Fabio Mengozzi e Mauro Ronca. «In questi ventisei anni di attività ho potuto godere del pieno sostegno dei vari presidenti che si sono succeduti (in particolare il comm. Giulio Saracco) e delle “colonne forti” del circolo: Gioachino Terzolo e Vittorio Duretto. Ho diretto musicisti di notevole valore, come Amelia Saracco, i chitarristi Giorgio Vogliolo e Cristian Saggese» ricorda soddisfatto Poggi. Per il novantennio la mandolinistica ha organizzato il 14 dicembre scorso un corso di perfezionamento, tenuto da Raffaele Napoli, direttore d’orchestra e presidente dell’associazione “Celibidache”. Una bella giornata di musica insieme.
La Scheda
Per saperne di più
- Malfatto-P. Rogna, Asti nella storia delle sue vie, vol. II, Savigliano, 1979, p. 401;
- Poggi, All’ombra dell’Alfieri. Luoghi, spettacoli, personaggi della vita musicale astigiana dal Medioevo ai nostri giorni, Asti, 1998;
- Sacchetti, La creazione musicale nell’area astigiana nei secoli, in Il Platano, II fasc., 1997, p. 6 s.;
http://www.mandolinisticapaniati.it/